L'inchiesta
Chi vuole il nucleare in Italia: la corsa tra lobby, pressioni e false promesse
L'Europa spinge per le nuove centrali, il governo è favorevole, il ministro Pichetto Fratin promette di studiare un piano (con scarsa trasparenza). Come dice all'Espresso il presidente di Legambiente, tutti sono consapevoli che l'energia atomica non tornerà in Italia, ma nel frattempo si possono spendere soldi con la gioia delle società del settore. E intanto nessuno sa dove stoccare le vecchie scorie
Crisi petrolifera più nuove tecnologie uguale pazza idea di riprovarci con il nucleare. Ce lo chiede l’Europa? Non proprio, almeno non tutta. Ma il taglio dei barili manovrato da Vladimir Putin e dal reggente saudita Mohammed bin Salman si sposa a meraviglia con l’inserimento della fissione di nuova generazione nella tassonomia delle fonti energetiche pulite previste dall’Ue. «La prima centrale la voglio a Milano, nel mio quartiere», si esalta il vicepremier Matteo Salvini mentre si unisce all’appello di un nuovo referendum.
In un Paese che fa enorme fatica a mantenere in piedi ponti, viadotti e gallerie, cioè manufatti con migliaia di anni di elaborazione tecnica, confidare nei nuovi piccoli reattori Smr o Amr, più sicuri e meno impattanti in termini di scorie, appare comunque un azzardo. Ma le imprese sono già in pista. Ansaldo, Cecom, Ags sono nel progetto Iter, finanziato dai francesi con 20 miliardi di euro e dedicato alla terra promessa, la fusione, attesa dopo il 2050. Sulla fusione a sconfinamento magnetico del reattore sperimentale Sparc lavora l’Eni guidata da Claudio Descalzi con la Cfs, uno spinoff del Massachusetts Institute of Technology. L’Enel è nel nucleare spagnolo e sloveno.
Il governo sta a guardare. I traguardi del nuovo atomo sono tutti a lungo termine, oltre i dieci anni, e la legge di bilancio in arrivo basta a soddisfare tutti gli incubi del centrodestra per i prossimi mesi. Intanto l’Europa si muove.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen finora ha mostrato una capacità acrobatica ammirevole. È partita nel 2021 per dire che «serve una fonte stabile, il nucleare». A gennaio 2022 ha ribadito: «Ok al nucleare. Solo, sicuro e moderno». Lo scorso marzo ha scoperto: «Il nucleare non è strategico all’interno della transizione energetica».
Ursula si barcamena fra un fronte Ue contrario all’energia da fissione, con la Germania che in aprile ha chiuso gli ultimi tre impianti, e una platea sempre più ampia che difende i reattori moderni. Nell’Alleanza nucleare varata due anni fa ci sono sette Paesi (Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Cechia, Romania) sotto la guida della Francia, superpotenza atomica dotata di una sessantina di reattori vecchi e a rischio crescente. Oggi l’Alleanza ha raddoppiato a quattordici con Bulgaria, Croazia, Olanda, Belgio, Estonia, Svezia, che in agosto ha annunciato la costruzione di dieci nuovi reattori in vent’anni, e Finlandia, dove in aprile è stato avviato Olkiluoto 3, il più grande reattore continentale di nuova generazione, una formula rassicurante contro un passato di incubi che torna.
Il 24 agosto 2023 è esplosa la crisi internazionale fra Giappone e Cina dopo che il governo di Fumio Kishida ha dato via libera allo sversamento in mare delle acque di raffreddamento della centrale di Fukushima Dai-ichi dove l’11 marzo 2011 un terremoto e lo tsunami successivo provocarono una fuoruscita di radioattività di livello 7, la quota più alta della scala di misurazione Ines che corrisponde a “incidente catastrofico”. L’altro caso marcato 7 è datato 26 aprile 1986 quando esplose il reattore 4 a Černobyl, al tempo territorio della Repubblica Sovietica dell’Ucraina e oggi in pieno teatro di guerra. Un anno e mezzo dopo Černobyl (novembre 1987) e tre mesi dopo Fukushima (giugno 2011) l’Italia andò a votare i referendum sul nucleare con bocciature nette. Per dismettere le sue centrali (decommissioning) nel 1999 lo Stato ha fondato la Sogin. L’obiettivo della società era chiudere la partita del deposito unico dei rifiuti radioattivi entro il 2019. Oggi si parla del 2036. La spesa finora è stata di 3,8 miliardi di euro. Ci vorranno altri 250 milioni all’anno per una spesa finale di 8 miliardi. Le 67 aree individuate come possibili sedi del deposito sono scese a 63 e il ministro dell’Energia si sta muovendo con una leggina per consentire ai Comuni di candidarsi, a dimostrazione che il deposito non lo vuole nessuno nonostante la promessa di un parco tecnologico dedicato al nuovo nucleare. Tanti soldi sul territorio per studiare le nuove tecnologie energetiche.
Il 4 agosto, dopo una serie di scontri interni al management, licenziamenti rientrati e il commissariamento per ordine del ministro Roberto Cingolani, il suo successore Gilberto Pichetto Fratin ha nominato il nuovo cda di Sogin. L’ad è Gianluca Artizzu, che esercitava la funzione di capo del personale. Presidente è Carlo Massagli, già consigliere militare di Giuseppe Conte. Nemmeno il tempo di sedersi per i nuovi amministratori che altri militari, i carabinieri del Noe di Napoli, il 10 agosto hanno sequestrato le due condotte dell’Itrec-Sogin a Trisaia di Rotondella, nel Materano.
I reflui delle condotte, che scaricano una nel fiume Sinni e l’altra direttamente nello Jonio fra Policoro e Rocca Imperiale, avrebbero mostrato valori troppo alti. Si parla di trielina e cromo esavalente dalle acque meteoriche ma si cercano tracce di torio e uranio, le materie prime delle barre importate dalla centrale di Elk River (Minnesota) ben sessant’anni fa.
Il Noe era già stato chiamato in causa l’anno scorso da Cingolani per ispezioni sia a Trisaia sia nell’impianto Sogin di Saluggia (Vercelli). Sono notizie poco rassicuranti. Infatti non sono state diffuse. Invece le notizie esaltanti non soltanto vengono diffuse, ma soprattutto amplificate. Come la mozione proveniente dalla blanda opposizione di Carlo Calenda e Matteo Renzi approvata a larga maggioranza alla Camera lo scorso 9 maggio dopo tre mesi di gestazione. Il documento finale, presentato da Daniela Ruffino (Azione), corretto e accolto dalla viceministra leghista Vannia Gava, ha impegnato il governo a spendere più denaro per la debole ipotesi di un ritorno al nucleare. «Adottare iniziative per sostenere», si legge nel testo, «la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi e sulla fusione nucleare, ampliando l’offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l’attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri. Partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico sia promossa da organismi di natura politica, volta a incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili».
Questo passaggio parlamentare in apparenza marginale ha rimosso ogni tipo di ritrosia e, per esempio, ha permesso al governo di modificare il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) inviato all’Ue. Il forzista Pichetto Fratin ha definito il tema nucleare un tabù ormai caduto e l’ha fatto a Montecitorio, a luglio, durante l’intervento conclusivo al convegno “Nucleare in Italia: scenari e prospettive” organizzato dal suo partito e da una rivista specializzata. Era un evento solenne di tre ore per riallineare le posizioni e gli interessi di politica, scienziati, imprese. C’erano Gilberto Dialuce, presidente dell’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie (Enea), Massimo Garribba, vicedirettore generale Energia per la Commissione Europea con delega al coordinamento Euratom, Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. E c’era una schiera di ad: Descalzi per Eni, Cingolani per Leonardo, Nicola Monti per Edison, Riccardo Casale, ex Sogin, per Ansaldo Energia, Federico Gianni per Campoverde Perma-Fix. È stato anche il debutto di Stefano Monti da presidente dell’Associazione Nazionale Nucleare. A questa platea il ministro Pichetto ha spiegato l’utilità strategica della mozione e ha promesso più soldi: «Grazie alla mozione non abbiamo più tabù. Noi seguiamo le indicazioni del Parlamento che ha votato per andare avanti a passo spedito su ricerca e sperimentazioni senza più vincoli. Siamo abbastanza avanti in cinque collaborazioni a livello nazionale e internazionale. Ci siamo già dentro in pieno, ma non potevamo dirlo prima, mettiamola così. Io ritengo, a nome del governo, che il futuro è nucleare perché nessuno è in grado di dimostrare come, fra 30 o 40 anni, si possano soddisfare le esigenze di consumo senza il nucleare. Questa è la soluzione e ciò significa che dobbiamo creare la filiera». E i referendum del 1987 e del 2011 con i quali i cittadini hanno affondato il nucleare? Pichetto non se ne cura perché si riferivano a tecnologie superate.
Così a metà settembre il ministero ha lanciato la Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile con il contributo di Enea e Rse. Entro la prossima estate il governo dovrebbe presentare le linee guida per il nucleare. Al momento sono ignote le menti e le aziende coinvolte. Però il ministero garantisce che terrà informati gli italiani.
L’ingegnere Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, spiega come andrà a finire: «È una perdita di tempo e di soldi. Non ci sarà mai più una centrale nucleare in Italia, e lo sanno tutti. Non siamo capaci neppure di installare una pala eolica, figurarsi il resto. È solo un diversivo. che serve a far girare il denaro, ad aumentare i finanziamenti per le aziende italiane del settore che già sono attive all’estero. La politica si fa trascinare da questa lobby senza avere una direzione chiara. Piuttosto il governo si preoccupi di individuare i siti di stoccaggio per il vecchio materiale radioattivo di media e bassa attività: questa è una emergenza». I tifosi del nucleare potrebbero ribattere che i contestatori sanno smontare una proposta, ma non sanno montare un’alternativa: «Falso. Il nostro modello deve essere la Germania. Dopo Fukushima, nonostante le pressioni lobbistiche, Angela Merkel ha ordinato la chiusura delle centrali. Fra qualche decennio, il più grande Paese manufatturiero d’Europa userà energia prodotta unicamente da fonti rinnovabili».