ESCLUSIVO / DEFORESTATION INC
Foreste distrutte col certificato verde: lo scandalo mondiale delle etichette eco
ESCLUSIVO / DEFORESTATION INC
Foreste distrutte col certificato verde: lo scandalo mondiale delle etichette eco
Le aziende pagano attestati e marchi di sostenibilità. Ma almeno 347 società promosse sono state accusate o condannate per gravi violazioni ambientali. L’inchiesta dell’Espresso con il consorzio Icij e IrpiMedia sul greenwashing e il finto ecologismo
In Brasile c'è un'azienda che estrae legname nelle foreste dell'Amazzonia con tanto di «certificato di sostenibilità ambientale», anche se è stata multata per 37 volte, dal 1998 al 2022, per disboscamento illegale e commercio illecito. In Cile una società giapponese ha comprato tonnellate di legno da fornitori che utilizzavano finte attestazioni ecologiche sulla provenienza dei tronchi.
In Canada un gruppo di imprese ha elaborato un «piano di gestione forestale sostenibile», certificato da una società di revisione, che è servito ad abbattere distese di alberi nelle foreste protette delle popolazioni indigene, alterando drasticamente il territorio e la vita delle comunità, come spiega una sentenza del tribunale.
Sono alcune delle centinaia di storie di soldi, scandali ambientali e carte truccate che emergono da un'inchiesta giornalistica, chiamata Deforestation Inc (Deforestazione spa), coordinata dall'International consortium of investigative journalists (Icij). Per mesi 140 cronisti di quaranta testate internazionali, tra cui L'Espresso e il sito investigativo IrpiMedia (in esclusiva per l'Italia), hanno esaminato i dati sulle importazioni di legname, i registri delle ispezioni, i verbali delle violazioni ambientali e i dossier della magistratura sul business dello sfruttamento dei boschi e delle foreste in oltre 50 Stati, dall'Europa all'Asia, dalle Americhe alla Nuova Zelanda.
L'inchiesta ha identificato 48 società di certificazione che hanno rilasciato attestati di sostenibilità ambientale a imprese che erano già accusate di aver devastato riserve naturali e oasi verdi, falsificato permessi e organizzato commerci illegali di legno e prodotti derivati. I documenti raccolti mostrano che negli ultimi 25 anni, dal 1998 all'inizio del 2023, almeno 347 aziende del settore del legname hanno ottenuto certificazioni ecologiche anche se erano state denunciate pubblicamente, per gravi violazioni ambientali, da autorità locali, grandi organizzazioni ecologiste e spesso anche da agenzie statali. Almeno 50 di queste società hanno potuto vendere prodotti in legno con le etichette verdi di sostenibilità perfino dopo essere state sanzionate o condannate nei processi. E questa mole di casi è solo la parte visibile del problema: molti governi non pubblicano i nomi delle aziende (e dei manager) responsabili dei reati ambientali.
Al centro dell'inchiesta c'è il sistema delle certificazioni ecologiche, che permettono di vendere prodotti ricavati dal legname, dai mobili alla carta, dai pannolini alle bare, con etichette verdi che rassicurano i consumatori. Queste certificazioni non sono obbligatorie: le lobby dei colossi del legno hanno finora bloccato i progetti per istituire un'autorità pubblica di controllo a livello europeo o mondiale. Ottenere un attestato di sostenibilità ecologica è una scelta volontaria delle aziende, che in questi anni di crisi climatica e disastri ambientali si rivela fondamentale per pubblicizzare i prodotti, per mostrare che si rispetta la natura, le leggi sul lavoro, i diritti umani, i regolamenti e le sanzioni internazionali.
Le certificazioni verdi sono diventate una vera e propria industria, in continua crescita, che a livello mondiale vale dieci miliardi di euro all'anno. Ma soffre di due problemi strutturali. Le certificazioni vengono rilasciate da società private, selezionate dalle stesse aziende interessate. Quindi è il controllato che sceglie e paga il suo controllore. Se la verifica è negativa, si può cambiare il certificatore, magari pagandolo di più. Altro problema documentato da questa inchiesta: succede molto raramente che le società di certificazione (e i loro dirigenti) vengano chiamate a rispondere delle omissioni o addirittura delle false attestazioni contenute nei loro rapporti di sostenibilità, redatti per conto dei clienti.
Anche tra gli esperti di controlli ambientali c’è chi critica l’efficacia delle certificazioni, come Grégoire Jacob, che lavora in una società del settore. Intervistato da Radio France, partner del consorzio Icij, ha dichiarato: «È tutto il sistema su cui facciamo affidamento, quello delle certificazioni in generale, che non funziona. Siamo portati a credere che avremo dei prodotti più rispettosi dell'ambiente. A volte è vero, ma a volte è falso».
Jacob è uno dei sei funzionari o consulenti di varie società di revisione e certificazione, con basi anche in Canada o Stati Uniti, che hanno ammesso che i controlli sono inadeguati e le procedure di verifica inefficaci. Il risultato è che molte etichette verdi ingannano il pubblico, mentre le foreste continuano a scomparire. Secondo i dati raccolti dalla Fao, tra il 1990 e il 2020 il nostro pianeta ha perso 420 milioni di ettari di boschi, una superficie più grande di tutta l'Unione europea.
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Il marketing della sostenibilità
Anche se non obbligatorie, le certificazioni ecologiche private sono ormai considerate necessarie, per ragioni commerciali, da molte delle imprese che producono, utilizzano e vendono legname o prodotti agricoli collegati ad attività di disboscamento. Al vertice di questo sistema di autoregolamentazione delle aziende ci sono alcune organizzazioni internazionali, in particolare il Forest Stewardship Council (Fsc), il Programme for the Endorsement of Forest Certification (Pefc) e la Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo). Sono istituzioni private, create a partire dagli anni Novanta su pressione dei maggiori gruppi ecologisti, con l'obiettivo di fermare la deforestazione.
Questi organismi hanno un ruolo di garanzia e supervisione: i controlli ambientali sono affidati alle società accreditate per le certificazioni. Sono queste ditte private a verificare se le industrie di legname, olio di palma, gomma e altri prodotti della terra utilizzino forniture collegate al disboscamento illegale o ad altri reati ambientali. Nel 2007 la scrittrice J.K. Rowling fu tra le prime a chiedere al suo editore americano di utilizzare solo carta certificata con il marchio Fsc per stampare il suo romanzo «Harry Potter e i doni della morte».
Il settore dei controlli ambientali, che comprende anche test e ispezioni sul campo, ha attirato anche colossi della revisione dei bilanci come Kpmg e Pwc, grandi società quotate in borsa come la multinazionale Svizzera Sgs, e molte altre aziende, come la Pt Inti Multima Sertifikasi in Indonesia. I certificatori possono ispezionare cartiere, intervistare operai forestali, controllare le fabbriche e i processi di produzione e smaltimento. I loro uffici di marketing proclamano obiettivi epocali come «la protezione delle foreste» e «la salvezza del pianeta».
La realtà è però diversa. La distruzione delle aree verdi continua a ritmi folli: l'agricoltura intensiva, la costruzione di strade e palazzi, lo sfruttamento industriale delle foreste sono tra le principali cause del cambiamento climatico e, secondo importanti studi scientifici, sono responsabili di oltre il 10 per cento delle emissioni mondiali dei gas serra che provocano il riscaldamento globale. L'abbattimento degli alberi provoca anche frane, inondazioni, perdita di biodiversità e scomparsa della fauna selvatica.
Un esempio di deforestazione massiccia è il Brasile, dove gli esperti stimano che il 90 per cento del disboscamento sia illegale. Qui solo una piccola percentuale di aziende è disposta a richiedere e pagare i costi delle certificazioni. Per una ragione molto semplice, come spiega ai giornalisti di Icij Marcos Pianello, un ispettore forestale di San Paolo: «Nella foresta girano persone armate, non è un campo giochi. Noi controlliamo solo quelle aree dove un'azienda vuole essere certificata volontariamente. Ma se decide fare qualcosa di sbagliato, è in grado di farlo».
Verde sbiadito
Le organizzazioni Fsc e Pefc sono state fondate negli anni '90 come soluzione volontaria: ambientalisti e politici non erano riusciti a raggiungere un accordo vincolante a livello internazionale per la difesa delle foreste. Da allora, in tutto il mondo sono nate una dozzina di istituzioni private di questo tipo. Ma Fsc e Pefc restano le più influenti. Dichiarano di essere riuscite a fare certificare come «sostenibili» oltre 319 milioni di ettari di foreste, da cui si ricavano migliaia di prodotti venduti in tutto il mondo con le loro etichette verdi. I consumatori possono trovare il loro logo su moltissime merci di uso quotidiano, dai quaderni venduti a Washington agli involucri delle caramelle nei supermercati di Berlino, dai bicchieri di carta negli alberghi canadesi ai mobili venduti su Amazon.
I gruppi ambientalisti e gli esperti di foreste, confrontando i due più diffusi sistemi di certificazione, hanno spesso definito le norme di Fsc più rigorose e più in linea con gli standard degli ecologisti, mentre hanno criticato l'approccio di Pefc, considerato più vicino alle esigenze dell'industria. Negli ultimi anni, però, la reputazione di entrambe le organizzazioni è stata messa in dubbio, con accuse di scarsa trasparenza nelle verifiche ambientali, sequenze di scandali che hanno coinvolto aziende certificate, accuse di conflitti d'interesse e mancanza di controlli sulle società accreditate per le revisioni e ispezioni ecologiche.
Tre ex dipendenti di queste società private hanno confessato a Icij di aver lasciato il lavoro dopo aver visto svanire l’illusione che potesse avere effetti positivi sul mercato internazionale del legname. Secondo le testimonianze di diversi revisori ed esperti di foreste, i problemi sono iniziati quando sono aumentate a dismisura le aziende pronte a pagare per avere le certificazioni verdi. Con il boom del settore, entrambe le organizzazioni avrebbero allentato i loro standard. «Molti pensavano che questi sistemi di controllo volontario fossero una buona idea, dato che nel mondo si vedono cose orribili», ha dichiarato Bob Bancroft, biologo ed ex revisore forestale in Canada. «Ora sono sollevati se vedono un'etichetta verde su un prodotto in un negozio. Pensano che sia tutto a posto e hanno la coscienza pulita nell'acquistarlo. Ma il problema è proprio questo».
Il direttore generale di Fsc, Kim Carstensen, ha risposto alle critiche con un'intervista a Icij e alla tv tedesca tedesca Wdr: «Riteniamo di essere un buon marchio per una serie di motivi. Abbiamo un sistema di governance che coinvolge le parti interessate, applichiamo norme ambientali rigorose e anche princìpi sociali». In un mondo ideale, ha aggiunto il dirigente, sarebbero i governi a dover controllare e difendere le foreste. «Ma il nostro non è un mondo ideale», ha aggiunto: «Quindi, in una situazione in cui un governo consente la deforestazione, pensiamo che la certificazione Fsc possa svolgere un ruolo importante».
Il capo ufficio stampa di Pefc, Thorsten Arndt, ha precisato: «La credibilità della nostra organizzazione e di altri sistemi di certificazione è stata valutata più volte», sottolineando che le Nazioni Unite hanno riconosciuto a Pefc il merito di aver favorito «progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l'accordo sulla biodiversità». Arndt ha inoltre risposto, con una nota scritta, che il Pefc rivede le sue regole «sulla base delle più recenti conoscenze, della ricerca scientifica e delle questioni emergenti», proprio per garantire che le foreste siano «gestite in modo sostenibile».
Le società accreditate per la certificazione ambientale, da parte loro, non negano che ci sia stato qualche problema, ma affermano che l'attuale sistema di verifica ha complessivamente contribuito a migliorare la tutela delle foreste in tutto il mondo e ad aumentare i controlli aziendali. «Ai critici che sostengono che la certificazione sia semplicemente un'operazione di greenwashing, vorrei replicare che scambiano l'eccezione con la regola», ha dichiarato Linda Brown, co-fondatrice della Scs Global Services degli Stati Uniti.
Una soluzione vera, europea
L'inchiesta Deforestation Inc ora documenta 347 di queste eccezioni: società certificate che sono state accusate o condannate per attività distruttive delle foreste. La realtà dei fatti resta molto lontana dalle rassicurazioni ambientali diffuse dalle industrie interessate. Nel 2021 le agenzie per la tutela dei consumatori del Regno Unito e dell'Olanda hanno esaminato centinaia di siti aziendali e hanno stabilito che il 40 per cento delle dichiarazioni di eco-compatibilità è in grado di «ingannare i consumatori». Un comitato pubblico australiano ha avviato una ricerca dello stesso tipo nell'autunno scorso.
A Bruxelles la Commissione europea sta elaborando una nuova direttiva contro il cosiddetto greenwashing, definito come una strategia di marketing che si basa su «affermazioni ambientali fuorvianti». Secondo una bozza della proposta in discussione, trapelata da poco, gli Stati membri della Ue verrebbero impegnati a imporre «sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive» alle aziende che pubblicizzano prodotti con qualità ambientali non dimostrabili. La bozza prevede, inoltre, di affidare i controlli su etichette verdi e marchi ecologici a «verificatori indipendenti». Un primo testo ufficiale è atteso per le prossime settimane: la Commissione, con l’approvazione del Consiglio europeo, punta a rendere operative le nuove regole sulle certificazioni ecologiche entro il 2024.
Questo articolo è il frutto del lavoro collettivo dei giornalisti dell'Espresso e di altre testate internazionali, in particolare Agustin Armendariz, Jelena Cosic, Emilia Diaz-Struck, Miguel Fiandor, Karrie Kehoe, Brenda Medina, Delphine Reuter, Margot Williams (Icij), Giulio Rubino, Edoardo Anziano, Fabio Papetti (IrpiMedia), Anne-Laure Barral (Radio France), Allan de Abreu (Piauí), Attila Biro (Context), Petra Blum (Wdr), Krisna Pradipta (Tempo), Stefan Melichar (Profil), Francisca Skoknic (LaBot), Kirsi Skön (Yle), Lina Verschwele, Marcus Engert (Der Spiegel), Benedikt Strunz (Ndr), Shirsho Dasgupta (Miami Herald), Karlijn Kuijpers (Nrc), Ritu Sarin (Indian Express), Frederik Obermaier, Timo Schober (Paper Trail Media).