Sanità

I Pronto Soccorso allo sfascio tra medici a gettone e costi alle stelle

di Gloria Riva   29 marzo 2023

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Nel 2020 le aziende ospedaliere avevano speso 6 milioni per gestire i Ps con le cooperative. Nel 2022 la cifra è salita a 23. E a causa della flat tax molti dottori si licenziano dal servizio pubblico per tornare in corsia a partita Iva. Ora il governo cerca di risolvere con provvedimenti urgenti presi nel Consiglio dei Ministri

Circolano aneddoti poco rassicuranti sui medici gettonisti, arruolati per una notte o poco più nei Pronto Soccorso. Nell’urgenza di coprire i turni, è stato preso a bordo anche uno specialista in Metodologia Clinica, esperto in Semeiotica Medica che di ictus e polmoniti ne ha visti pochi. Ha preso servizio anche un medico di base in pensione di San Marino, investito da un moto di nervosismo dei colleghi del turno successivo, ritrovatisi con 23 pazienti arretrati - nessuno dei quali era stato visitato e preso in carico - , più quelli di giornata. «Basta respirare e avere una laurea in medicina per essere arruolati», Fabio De Iaco è il capo del Pronto Soccorso dell'Ospedale Maria Vittoria di Torino e presidente di Simeu, Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza, che avverte: «Gli specialisti in Emergenza Urgenza sono così pochi da poter decidere dove lavorare. Scelgono gli ospedali centrali, più strutturati, con un minor carico di turnazione, e restano sguarnite le aree periferiche, i presidi più piccoli, creando disparità di servizio offerto», una sanità di serie B, insomma.

La novità di queste ore è che nel consiglio dei ministri di ieri, mercoledì 28 marzo, il governo ha preso alcuni provvedimenti urgenti per porre un freno all’abuso di medici a chiamata. Ad esempio, il governo ha imposto che i medici a gettone, ai quali sarà imposto un tetto di retribuzione e potranno lavorare per un massimo di dodici mesi, possano essere impiegati nelle aziende sanitarie solo in caso di necessità e urgenza e in un'unica occasione, senza possibilità di proroga, e solo se è impossibile utilizzare personale in servizio.

All’appello mancano cinquemila medici di pronto soccorso e il 25 per cento degli ospedali ricorre alle cooperative - in realtà sono per lo più società a responsabilità limitata - che reclutano persino i medici in pensione (anche se gli over 70enni non potrebbero lavorare in ospedale) e neo laureati. L’inchiesta dai Nas di fine 2022 ha smascherato 165 posizioni irregolari, segnalato 205 persone, sono stati deferiti otto titolari di cooperative per frode e inadempimento nelle pubbliche forniture. 43 i casi di esercizio abusivo della professione, con medici e infermieri che smontavano da 12 ore di turno, per attaccarne un altro, fino a 36 ore filate. Il caso più eclatante è quello di medici spediti a effettuare parti cesarei in sala parto, senza averne mai fatto uno.

«Il fenomeno pone problemi di qualità e notevoli costi che gravano sul settore sanitario, in forte sofferenza», ha detto il procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Pio Silvestri, preannunciando un’inchiesta «sul sempre più massiccio impiego di gettonisti».

Anche il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, ha chiesto ai ministeri della Sanità e dell’Economia e delle Finanze di predisporre un decreto ministeriale per dare indicazioni certe sui prezzi da applicare perché all’Anac: «Sono giunte parecchie richieste di pareri di congruità dei prezzi per “forniture di servizi medico-sanitari disposti in somma urgenza”. Specie in reparti “sensibili” come Pronto Soccorso e Anestesia molti dipendenti si licenziano, per tornare allo stesso posto assunti da società private, con costi moltiplicati».

Lo stesso ministro della Sanità Orazio Schillaci, dopo aver definito «allucinante che in uno stesso reparto ci sia chi percepisce il triplo di chi è assunto», ha promesso provvedimenti legislativi e l’apertura di un tavolo al ministero che, tuttavia, non ha ancora dato risultati.

Di fatto l’unica certezza è che grazie alla flat tax introdotta dal governo in legge di bilancio, un medico gettonista che guadagna 85 mila euro con 20 turni di lavoro da dodici ore ciascuno, paga 12.750 euro l’anno di tasse.  Mentre il suo collega dipendente, 85mila euro li guadagna in un anno e versa allo Stato 36.550 euro. Per evitare che i medici in servizio si licenzino per assumere incarichi professionali da libero professionista sempre nello stesso ospedale, il governo ha imposto che costoro non possano più essere reintegrati in futuro nel Ssn e ha inoltre previsto 200milioni di euro di incentivi per i medici del pronto soccorso. 

Snocciola dati Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, Federazione delle Aziende Sanitarie Ospedaliere: «La spesa lorda sostenuta dalle aziende sanitarie per il personale medico delle cooperative nel 2020 è stata di 6,3 milioni. Nel 2022 è salita a 23,3 milioni. Il costo orario per il personale strutturato è di 49,45 euro, mentre un gettonista costa alle casse pubbliche 99,26 euro l’ora». Ecco perché le società di medici a partita Iva fioriscono.

A Vicenza tre medici anestesisti hanno aperto la Mst Group, passata da 3.500 euro di fatturano nel 2019 a 1,2 milioni del 2021. Hanno solo tre dipendenti, ma reclutano - con accordi di prestazione d’opera - 75 medici per i reparti di Emergenza e Urgenza di Veneto e Sardegna. In Piemonte e in Lazio è attiva Medical Line Consulting, di Lorenzo Bartoletti, romano, ben introdotto nei palazzi del potere. Il volume d’affari della Srl in tre anni è passato da 10 a 15 milioni. I dipendenti sono dieci, ma offrono servizi sanitari per 14 milioni di euro. Stesso discorso per la romana Medical Service Assistence: il fatturato è passato da tre a sei milioni in tre anni, 10 i dipendenti. Il grosso dei costi di produzione se ne va “per servizi” e in nessun bilancio c’è l’ombra di contratti siglati con i medici. Perché le società non offrono agli ospedale personale medico, bensì un servizio. Così facendo qualsiasi responsabilità legale ricade sul professionista assoldato, mentre gli ospedali contabilizzano il costo nella voce “beni e servizi”, anziché sul personale.

Il motivo dell’esplosione dei medici gettonisti sta tutto qui, in una mera questione contabile: «Il blocco del tetto di spesa sul personale non consente né di aumentare gli stipendi, né di assumere. Mentre non vi sono limiti alla voce “beni e servizi”, su cui le Aziende Sanitarie hanno mano libera, riuscendo così a offrire ai gettonisti remunerazioni tre volte superiori rispetto al personale dipendente. Incredibile», commenta Andrea Filippi della Cgil. Già, perché il ministero dell’Economia e delle Finanze da un lato mette a dieta le Asl sul fronte del personale, dall’altro concede spese pazze per i servizi.

Orazio Schillaci, essendo un ministro-tecnico, non ha il potere politico di far passare quel regolamento che vieterebbe l’attività libero professionale all’interno degli ospedali, anche perché la materia dovrebbe quantomeno essere condivisa con Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione.

E sempre Schillaci non ha la possibilità di intervenire sullo sblocco dei tetti di spesa al personale, o di accordare aumenti ai medici di pronto soccorso, perché la questione è in capo a Giancarlo Giorgetti, titolare del Mef, per nulla interessato ad allargare i cordoni della borsa. Nel frattempo si favorisce l’esternalizzazione di fette del servizio pubblico -ad esempio gli infermieri, ricercati ma sottopagati, stanno passando all'outsourcing - a scapito della qualità. Per esempio, nel 2021 una cooperativa di Sassuolo, la Fenice, è stata oggetto di segnalazioni per criticità e disservizi da parte dell’Ordine dei Medici di Campobasso, ma la stessa continua a crescere, passando nel giro di tre anni da 243 mila euro di ricavi a cinque milioni, perché le aziende ospedaliere non hanno alternative.

O forse ne avrebbero, se si riuscisse almeno a far passare un decreto d’emergenza per i prossimi 36 mesi: «Quello che osserviamo è l’effetto dell’imbuto formativo, ovvero per troppi anni le scuole di specializzazione hanno offerto poche borse di studio rispetto al turnover ospedaliero», spiega Migliore, della Fiaso, che propone di «valorizzare il trattamento economico di chi lavora nelle aree critiche e marginali e, in via transitoria, di reintrodurre la figura dell’assistente medico, così da consentire agli specializzandi, fin dal primo anno, di lavorare nei reparti. Per loro sarebbe un’occasione di formazione sul campo, di fare più attività pratica, per l’ospedale sarebbe così possibile ridurre il ricorso alle cooperative, affiancando specializzandi e medici strutturati, in un’ottica di continuità, maggiore qualità e minori costi». Una porposta che è stata parzialmente accettata nel Cdm di ieri: Fino al 31 dicembre 2025, in via sperimentale, i medici in formazione specialistica possono infatti assumere, su base volontaria e al di fuori dall'orario dedicato alla formazione, incarichi libero-professionali presso i servizi di emergenza-urgenza ospedalieri, per un massimo di 8 ore settimanali.

Mentre a lungo termine, dice Alessandro Vergallo, presidente di Aaroi-Emac, l’associazione degli anestesisti, c’è una questione da risolvere: «Il fenomeno ha colpito soprattutto i medici di emergenza e urgenza e gli anestesisti perché, in entrambi i casi, non hanno margini per effettuare la libera professione, come invece è consentito fare ai colleghi ospedalieri specializzati in cardiologia, dermatologia, ortopedia e via dicendo. Se il lavoro straordinario fosse retribuito e fosse compensata l’attività - più impegnativa - di emergenza urgenza, sarebbe possibile porre un freno ai gettonisti».