A metà del secolo scorso prese vita l’idea che le macchine potessero pensare (A.M. Turing: “Computing machinery and intelligence”, 1950). Nacque l’idea di ciò che oggi definiamo un’intelligenza artificiale (IA), con l’obiettivo di creare macchine che utilizzassero algoritmi finalizzati a fare quel che fa l’intelligenza umana.
L’IA non appartiene più a un ipotetico futuro, è già qui e sta cambiando il mondo. La nostra vita, come la viviamo oggi, non sarebbe più possibile senza. È lei che ci aiuta nelle diagnosi mediche e ci fornisce capacità di analisi dati e di comunicazione straordinari. È lei a procurarci salute, benessere, piacere, socialità, divertimento, assecondando i nostri gusti e le nostre idee. Le sue applicazioni riguardano l’economia, l’agricoltura, il mondo giuridico, quello scientifico, l’architettura, il mondo del lavoro con la disoccupazione e le nuove opportunità che si creano, l’amministrazione pubblica, ecc. Senza l’IA l’uomo non andrebbe tra le stelle. Siamo agli inizi di una storia che si sta evolvendo con una velocità impressionante. Il mondo del giornalismo è stato messo in allarme dall’arrivo di Chat-Gpt, un programma di IA con una capacità di apprendimento fenomenale, basata sulla possibilità di scaricare da Internet miliardi di testi e di scrivere un articolo in pochi secondi.
Ma che ne sarà del tocco umano, dell’emozione, dell’empatia e della prospettiva che caratterizzano i buoni articoli? Una macchina proiettata nel passato riuscirà mai a effettuare un’analisi che non sia mera cronaca, senza una visione del futuro? Un rischio è che, pescando le notizie su Internet, il robot possa diffondere false informazioni o essere usato per manipolare le notizie a fini disonesti. Certamente per ogni applicazione saranno necessari un sistema regolatorio stringente e un efficiente sistema di vigilanza. L’evoluzione dell’IA è ritenuta così importante per il futuro del genere umano e per la rilevanza strategica che potrà avere nell’equilibrio tra le nazioni, che da tempo c’è una corsa per diventarne leader. Henry Kissinger in un editoriale pubblicato di recente sul Wall Street Journal, ha segnalato come la nuova guerra fredda tra l’Occidente e la Cina per il dominio del mondo si stia giocando proprio sull’IA.
Ma cosa fanno più di noi le macchine intelligenti? Innanzitutto ci battono in numero di elementi computazionali e velocità di operazione. Il cervello biologico possiede all’incirca 86 miliardi di neuroni, numero non modificabile, ci mette tanti anni per maturare ed è deteriorabile. I supercomputer, invece, non hanno limiti di grandezza, possono essere duplicati e implementati continuamente. Il nostro cervello è capace di compiere un numero di operazioni per i nostri parametri strabiliante: 38 miliardi al secondo. Ma una delle macchine più potenti al mondo, l’Hpc5, del Green Data Center Eni, è capace di effettuarne 70 milioni di miliardi di operazioni al secondo. I neuroni impiegano almeno 5 millisecondi per fare qualcosa di utile, mentre i transistor di silicio possono funzionare a una velocità quasi un milione di volte maggiore. E questo potrebbe essere incrementato enormemente dall’avvento dei computer quantistici. Una neocorteccia in silicio potrebbe, in teoria, apprendere un milione di volte più velocemente di un essere umano. Ma velocità di operazione significa veramente acquisire conoscenze in modo altrettanto rapido?
L’evoluzione biologica umana è molto lenta: un cervello di oggi funziona grosso modo come uno del 1944. Un iPhone X supera in capacità di calcolo un computer Ibm del 1944 di quattro milioni di miliardi di volte ed è più performante dei computer della Nasa che mandarono l’uomo sulla luna. Deep Blue dell’Ibm, il programma che sconfisse il campione di scacchi Garri Kasparov nel 1997, poteva esaminare 200 milioni di posizioni al secondo, mentre Kasparov, nello stesso tempo, ne poteva valutare forse tre. Ma qui si entra nel grande campo della conoscenza. Il programma di scacchi, pur così potente, in realtà non sapeva neppure che stava giocando a qualcosa che si chiama scacchi. Quindi, semplicemente calcolo ad alta velocità, non intelligenza. Come dice Gerd Gigerenzer nel suo libro “Perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi” (Raffaello Cortina), un limite degli algoritmi complessi è di funzionare al meglio in situazioni ben definite, stabili, in cui sono disponibili grandi quantità di dati. L’intelligenza umana, invece, si è evoluta in modo da gestire l’incertezza a prescindere dalla quantità di dati disponibili, anche quella derivante dalla presenza di un caso singolo mai incontrato prima: vede la novità e l’affronta con occhi nuovi.
Ma dobbiamo considerare definitivamente superato il cervello umano? Per fortuna no. Possiede punti caratterizzanti che, almeno fino ad ora, le macchine non sono riuscite a emulare. Una prerogativa importante è quella di provare emozioni, di avere cioè quei moti dell’animo che rendono viva la nostra esistenza, ci permettono di provare gioia o paura, nostalgia o tristezza, e ci spingono ad agire; svolgono un ruolo importante in ogni processo decisionale, anche nella scelta del bene e del male.
Un’altra differenza sostanziale è la creatività. Se la immaginiamo come frutto della libera associazione di idee, pensieri ed emozioni, un computer guidato da rigidi algoritmi come farà ad esprimerla? Come farà ad avere quello che Marcus du Sautoy chiama il «codice umano», cioè quella straordinaria capacità di immaginare, rinnovare e di creare opere d’arte che elevano ed espandono ciò che significa essere umani. E infine c’è la coscienza, senza la quale tutto quanto detto prima, l’emozione, la creatività, la percezione del senso della vita, non potrebbe essere. Una caratteristica che implica così tante cose, come consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda, visione morale del mondo, capacità di riflettere sui propri pensieri e su questi elaborare un progetto, e talmente tante altre ancora, che appare difficile che una materia grezza possa farla emergere. Possiamo chiamare «intelligenti» macchine incapaci di costruire una rappresentazione del mondo o di dare vita a processi creativi? Più che operare come la mente umana, di fatto si limitano a processare i dati in modo più sofisticato e veloce, per cui sarebbe meglio definirle supertecnologie. La saggezza o l’intelligenza, non sono solamente un accumulo di informazioni, per quanto numerose queste possano essere, ma la capacità, partendo da una mole di dati, di rielaborarli e riuscire a pensare una prospettiva più ampia e diversa.
Certamente il futuro, o almeno il futuro più prossimo, vedrà un adattamento reciproco in cui l’uomo si relazionerà a modelli di IA sempre più avanzati, ma in cui le tecnologie, benché straordinarie, dovranno seguire scelte e strategie lasciate nelle mani dell’uomo, perché questo, ancora per molto tempo, sarà punto di partenza di ogni forma del sapere possibile. Penso che l’impiego migliore a cui debba essere destinata questa stupenda tecnologia sia quello di aiutarci a rendere il mondo più giusto e a preservarne l’ecosistema. È morale un mondo dove milioni di bambini muoiono di fame o di mancanza di cure? È sostenibile vivere senza curarsi veramente dei drammatici cambiamenti climatici che causano la morte di milioni di persone e di cui, secondo gli scienziati, le pandemie potrebbero essere conseguenza? Il Papa ha sottolineato il rischio che le applicazioni dell’intelligenza artificiale incrementino le disuguaglianze tra chi ha accesso a queste tecnologie e chi non le ha. La solidarietà, l’attenzione alla ricerca scientifica in tutti i settori in cui la Scienza può fare avanzare il progresso dell’umanità e aiutarci a migliorare la vivibilità nel pianeta, debbono coesistere in un grande progetto culturale che sfrutti appieno le risorse dell’IA.
Certamente gli scienziati non si sono fermati a ciò che già conosciamo, e il futuro ci riserva ancora molte cose. Nello sviluppo futuro si parla di interfacce neurali, sistemi che permettono lo scambio di informazioni tra una macchina e il cervello umano e che potrebbero avere un ruolo nel potenziare le funzioni cognitive o curare alcune malattie. Nei progetti di chi si occupa di IA si parla, inoltre, di costruire una macchina con un’intelligenza della massima ampiezza, un’Intelligenza Artificiale Generale, in grado di realizzare praticamente qualunque fine altrettanto bene di un essere umano. Una tale macchina, se realizzata potrebbe innescare un cambiamento radicale per l’umanità, un futuro dominato da macchine intelligenti nel quale il nostro destino sarebbe imprevedibile. In questa storia, tuttavia, un vantaggio l’abbiamo: ed è che sarà l’uomo a governare i cambiamenti e dovrà farlo in modo da proteggere i valori umani. Siamo noi, al momento, ad avere in mano il futuro della nostra vita. Ma nel frattempo dovremo darci delle leggi per governare il processo con quella saggezza che le macchine probabilmente non avranno, perché l’IA ci presenterà meravigliose opportunità ma anche difficilissime sfide. La più difficile di queste sarà fare in modo che le macchine si inseriscano nella nostra vita senza stravolgerla, ma preservando l’equilibrio complessivo del mondo e la dignità e la libertà dell’uomo. Pensare che potremmo essere la prima generazione a vivere questa opportunità è preoccupante ma allo stesso tempo esaltante e bellissimo.