Industria
Termini Imerese, l’ennesima promessa. Ora ci prova lo svedese che punta al Pnrr
Dopo il fallimento della Blutec, si riaprono le danze per assegnare l’ex area Fiat all’industriale Lars Carlstrom. Obiettivo una mega fabbrica di batterie al litio. Lo Stato ci mette 105 milioni, che fanno gola
Dodici anni fa l'ultima tuta blu di Termini Imerese ha finito di stringere i bulloni alla Ypsilon in fine produzione. Ha riposto gli attrezzi e ha chiuso le porte dello stabilimento Fiat, per sempre. Da allora è andata in scena una sfilata di fanta-imprenditori, cavalieri bianchi con bisacce piene di promesse, il meno improbabile dei quali, Roberto Ginatta, patron della Blutec, si è comprato la fabbrica promettendo l’auto elettrica in terra siciliana. È poi finito agli arresti domiciliari per malversazione ai danni dello Stato e la sua Blutec è andata in amministrazione controllata, mentre i mille lavoratori, fra diretti e indiretti, sono ancora appesi al filo degli ammortizzatori sociali.
Ora i commissari giudiziali auspicano di battere all'asta l'immobile entro aprile e riassegnarlo a una promettente attività industriale, entro l’estate.
Il 4 aprile si è svolto al ministero delle Imprese un incontro sindacale, al quale ha partecipato anche il ministro Adolfo Urso, che ha messo sul tavolo un totale di 105 milioni di euro – 75 per chi si insedierà nell’azienda, altri 30 per le politiche attive del lavoro – per il rilancio.
«Stavolta bisogna fare sul serio», commenta uno scettico Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim Cisl, la categoria dei metalmeccanici, che spiega: «In dodici anni si sono susseguiti progetti e governi, ma non siamo ancora riusciti a trovare una soluzione per Termini».
I cavalieri bianchi, stavolta, sono tre. C'è l'imprenditore edile siculo-australiano Ross Pelligra, detto Rosario, che si è già comprato il Catania calcio e ora intende valorizzare il sito industriale di Termini Imerese; c'è poi l'ucraino Sergey Shapran, in cerca di una base europea per vendere i profilati d'alluminio della sua Alumeta Group; infine lo svedese Lars-Eyvind Carlstrom, classe 1965, nato a Lulea, porta d'accesso svedese alla Lapponia, che a Termini vorrebbe costruire la prima fabbrica di batterie al litio d’Italia. Di sicuro è quest’ultimo il pretendente che desta maggiore curiosità.
Carlstrom nel 2021 ha creato Italvolt spa e da allora presenta il suo progetto a investitori privati e istituzionali, cercando anche di accedere ai fondi del Pnrr: il piano iniziale era quello di realizzare la mega ditta, grande 42 campi da calcio (300mila metri quadri) in Piemonte, a Scarmagno, dove c’era l’Olivetti, e per farlo puntava a raccogliere 3,5 miliardi. La fabbrica avrebbe dato lavoro a tremila persone e prodotto 45 gigawattora di potenza. Ma il mese scorso il piano si è sciolto come neve al sole perché Carlstrom ha scoperto che una gigafactory ha bisogno di 1,5 terawattora, che è un sacco di energia, se si considera che l'Italia intera consuma 300 twh l’anno. Per l’adeguamento della linea elettrica ci vogliono quattro anni, a detta di Terna, e Carlstrom ha mandato tutto all'aria, compreso l'accordo vincolante di acquisto dei terreni da Prelios sgr.
Ora, mentre da un lato lo svedese promette di trovare un altra località piemontese per la gigafactory, forse Grugliasco o Carmagnola, dall'altro lato approda in Sicilia per snocciolare gli stessi numeri di investimenti e assunzioni ai consiglieri comunali di Termini Imerese, ai parlamentari locali e ai sindacati.
Chissà se lo stabilimento siciliano si potrà permettere gli 1,5 terawattora indispensabili per produrre le batterie al litio che, peraltro, in base alle normative europee, devono provenire tutti da fonti rinnovabili.
Di sicuro quello che ancora manca sono i soldi: a fronte di un investimento miliardario, Carlstrom intende puntare su Termini Imerese cinque milioni e, per la verità, la Italvolt non ha neppure quelli. Dall'ultimo bilancio depositato, il 2021, si scopre che la società si occupa di sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione – e quindi non di produrre batterie al litio – e ha 3,5 milioni di patrimonio, di cui 1,1 milioni di liquidità finanziarie. Non genera utili ma perdite per 800mila euro, spesi in consulenze e rendering. Il socio di maggioranza è Statevolt, società a responsabilità limitata, nata nel 2019, con due milioni di patrimonio, controllata da Carlstrom e dalla svedese Supravolt Holdings Ab. Gli altri soci sono una costellazione di scatole societarie tedesche, norvegesi e svedesi, a cui si aggiunge la piccola Pcapital che fa capo alla società di trust Compagnia Fiduciaria Lombarda. Tra i piccoli soci di Italvolt c’è anche l'avvocato Federico Sutti, fra i più quotati legali d'impresa, noto per aver importato in Italia studi blasonati come la cino-americana Dentons, di cui ha seguito anche l'espansione del ramo londinese.
Sutti è un esperto di immobiliare e negli anni addietro è stato consulente di Silvio Berlusconi per la nascente Forza Italia, poi di Matteo Renzi per il patto del Nazareno. Dentons è anche la società di consulenza che ha accompagnato la Britishvolt, ovvero la sorella gemella britannica di Italvolt, alla messa in liquidazione. Già, perché nel 2019 sempre Carlstrom ha promesso di realizzare una gigafactory a Cambois, località depressa del nord dell'Inghilterra, dove un tempo prosperavano le miniere di carbone. Il piano prevedeva di raccogliere 1,7 miliardi di sterline (quasi due miliardi di euro) attraverso fundraising, cioè chiedendo soldi in cambio di capitale di rischio, ma a conti fatti sono stati raccolti 167 milioni di equity, più altri 33,8 milioni di sterline prestati dal colosso delle miniere Glencore.
L'ex primo ministro Boris Johnson si era detto interessato al progetto, per garantirsi l'indipendenza economica dall'Europa, e aveva messo a disposizione di Britishvolt 100 milioni di fondi governativi, mai incassati dalla società, che non aveva raggiunto gli obbiettivi prefissati: non solo non ha mai iniziato la produzione di batterie, ma neanche la realizzazione dello stabilimento.
A gennaio di quest’anno la società è finita in liquidazione e i commissari nominati dicono che la società ha lasciato sul campo debiti per 94 milioni di sterline e 236 milioni di perdite. Carlstom, in realtà, ha lasciato Britishvolt a fine 2021 «per non danneggiarla», dice lui, poiché in quei giorni la stampa inglese aveva rivelato un vecchio processo per bancarotta in Scozia. Lo scandinavo ha quindi deciso di concentrarsi sull'Italia (dove, sembra di capire, una bancarotta alle spalle non è un ostacolo), mentre la società Britishvolt viene lasciata nelle mani del socio Orral Nadjari, svedese anche lui, ma residente negli Emirati.
Ad oggi gli unici legami fra Italvolt e Britishvolt sono un piccolo azionista comune, la società svedese Investeringsfondent Viking As, e Dentons, che in Inghilterra ha gestito la fase crepuscolare di Brithvolt e in Italia, tramite Federico Sutti, sta curando gli affari di Italvolt. Se in Italia la Italvolt stenta a decollare, anche perché (per ora) non è riuscita ad accedere a finanziamenti pubblici, la Britishvolt è stata acquisita per otto milioni di sterline dalla start up Recharge Production Uk Limited, che fa capo alla società di investimenti newyorkese Scale Facilitation Partners dell'australiano David Collard.
Del resto è l'intera Europa che sul fronte delle gigafactory procede a fari spenti: il Vecchio Continente intende stoppare i motori termici nel 2035 e per questo ha bisogno di dodici milioni di accumulatori, che corrispondono a mille gigawattora, mentre oggi ne produce solo 50 e importa il resto da Cina e Corea del Sud. Risultano attivi due impianti, uno in Ungheria, l’altro in Polonia, di proprietà delle coreane Sk e Lg, mentre la cinese Catl attiverà la linea produttiva berlinese a giugno.
Un’altra gigafactory è in funzione in Norvegia, altre due stanno per partire in Svezia, e questo è tutto. Ma in rampa di lancio ci sono una trentina di gigafactory, tre sono in Italia. A Caserta, nell'ex impianto Whirlpool, la Seri Industrial – grazie a un doppio finanziamento pubblico da 550 milioni di euro – sta per avviare una produzione di batterie al litio, non destinata alle automobili, ma allo stoccaggio dell'energia fotovoltaica. E nel 2025 dovrebbe vedere la luce la prima tranche della gigafactory di Termoli da parte di Acc, Automotive Cells Company, di proprietà di Stellantis, insieme a Mercedes-Benz e Total Energies. Anche in questo caso è previsto un aiuto da 370 milioni dal Pnrr. La terza è proprio Italvolt, che cerca casa tra il Piemonte e la Sicilia, dove è più conviene stare.