Affari di guerra
Tecnologia Nato per i missili russi: ecco come Mosca aggira l’embargo
Una rete di intermediari dalla Cina alla Turchia. Per rifornire l’armata di Putin con i chip prodotti da aziende Usa ed europee. Tra queste anche STMicroelectronics, controllata dai governi di Roma e di Parigi
Da mesi a Washington, così come a Bruxelles, i politici al governo fanno di tutto per parlar d’altro. Per i servizi di intelligence, però, non è certo un mistero. Ogni settimana, tecnologia occidentale per milioni di euro, o di dollari, se preferite, varca il confine russo e va ad alimentare la macchina bellica di Mosca. In altre parole, il regime di Vladimir Putin finora si è dimostrato capace di perforare con grande efficacia il muro delle sanzioni eretto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, sanzioni che hanno colpito ben 1.400 persone e oltre 200 società, con il sequestro di beni per più di 20 miliardi di euro.
L’elenco delle merci che non dovrebbero finire nei magazzini del Paese aggressore è molto lungo, ma i prodotti elettronici sono in cima alla lista proprio per il loro valore strategico, perché accanto agli usi civili sono indispensabili anche per il funzionamento dei sistemi d’arma, dai veicoli corazzati fino a radar e aerei. Giusto per fare un esempio, senza i chip fabbricati negli Usa e anche in Europa, sarebbe impossibile far volare i missili che quotidianamente portano morte e distruzione nelle città ucraine.
Eppure, dal 24 febbraio dell’anno scorso, quando cominciò l’attacco russo in direzione Kiev, il commercio di materiali ufficialmente vietati non si è mai interrotto.
La prova di questo traffico è scritta nero su bianco nei registri doganali, migliaia di documenti registrati in una banca dati che L’Espresso ha potuto esaminare. In quei file compaiono, per esempio, i nomi di multinazionali Usa come Intel e Texas Instrument, oltre al gruppo tedesco Infineon.
L’elenco comprende anche STMicroelectronics, grande azienda quotata in Borsa che ha come soci di riferimento il governo italiano e quello francese. Nei cinque mesi da marzo a ottobre dell’anno scorso, periodo a cui si riferisce la documentazione consultata da L’Espresso, sono decine e decine le transazioni che riguardano prodotti con il marchio di questi colossi dell’elettronica. «Dalla fine di febbraio 2022 - dichiara un portavoce di STMicroelectronics - abbiamo intrapreso azioni per rispettare i requisiti specifici di molteplici pacchetti di sanzioni e misure di controllo all’esportazione varate dall’Unione Europea, gli Stati Uniti e i paesi partner contro la Russia e la Bielorussia».
A quanto sembra, però, i controlli disposti dall’azienda italofrancese non si sono rivelati sufficienti a interrompere le forniture destinate alla Russia. In base a quanto riporta la banca dati doganale, tra i principali acquirenti dei chip di STMicroelectronics troviamo aziende come Ural Telecom Systems di Ekaterinburg, città degli Urali al centro del sistema militar-industriale che sostiene lo sforzo bellico del regime di Putin.
Si trovano a San Pietroburgo, invece, gli uffici della SMT-iLogic, un’altra società che tra la primavera e l’estate del 2022 risulta destinataria di decine di forniture di tecnologia con marchio STMicroelectronics. Secondo quanto dichiarato in dogana, questi prodotti sarebbero «circuiti elettronici integrati (…) per la fabbricazione di apparecchiature industriali per scopo non militare». La stessa SMT-iLogic è però finita al centro dei sospetti della coalizione occidentale. E infatti compare nell’elenco delle società messe sotto sanzione dal governo Usa. L’azienda di San Pietroburgo, si legge nel sito del Dipartimento di Stato americano, è «coinvolta in un sistema di forniture che ha lo scopo di ottenere tecnologia straniera (…) per la produzione dei droni Orlan». È questo il nome del più noto e diffuso tra i velivoli senza pilota di fabbricazione russa, impiegato in questi mesi dall’esercito di Putin nella guerra in Ucraina e prima ancora in Siria.
Com’è possibile che prodotti con il marchio STMicroelectronics siano arrivati in grande quantità alla 0, strettamente legata all’industria militare russa e da tempo sotto sanzioni occidentali? La risposta a questo interrogativo si trova nella banca dati doganale.
Alla voce “fornitore” delle merci destinate all’azienda di San Pietroburgo, i documenti esaminati da L’Espresso indicano una serie di società con base in Cina e a Hong Kong. Tutto regolare, quindi, almeno sulla carta. I chip prodotti dal gruppo franco-italiano approdano in Russia provenienti da Paesi che non hanno aderito all’embargo promosso da Stati Uniti e Unione Europea.
Uno schema elementare, una semplice triangolazione applicata migliaia di volte in questi mesi: per aggirare le sanzioni basta rifornirsi su piazze amiche e il gioco è fatto. In questo modo il Cremlino è riuscito a contenere i danni al sistema produttivo causati dalla guerra commerciale dichiarata dall’Occidente. L’export verso la Russia ha preso le strade più diverse e si è trasformato in un business che garantisce profitti milionari. E così, nell’ultimo anno, si sono moltiplicati gli intermediari con base in Estremo Oriente, come pure in Turchia, un altro Stato che si è trasformato in un efficiente porto franco per le merci sottoposte a embargo. Esemplare il caso della Smart Trading Transportation Industry and Trade Ltd con base a Istanbul, che ha venduto prodotti con marchio STMicroelectronics alla già citata Ural Telecom Systems di Ekaterinburg. Secondo il governo americano, l’azienda turca è collegata a Grigoriy Grigoriev, un uomo d’affari russo che tira le fila di un network di società che fanno da sponda a traffici illegali. A Hong Kong invece si trova la sede della Asia Pacific Links, che nella lista nera statunitense viene descritta come importante fornitore della STM-iLogic, a sua volta, come detto, colpita dal blocco Usa. Anche in questo caso, secondo Washington, la pista porta in Russia, dove risiede un certo Anton Trofimov, indicato come amministratore della Asia Pacific Links di Hong Kong.
«Abbiamo aumentato la vigilanza contro l’evasione delle sanzioni», spiega il portavoce di STMicroelectronics, ma tra intermediari offshore e società ombra finisce per diventare molto difficile individuare l’utilizzatore finale dei prodotti che aggirano l’embargo. Del resto, la via che porta a Mosca è più che mai trafficata anche in questi mesi, nonostante la guerra e la dichiarata volontà dell’Occidente di isolare il Cremlino. Non per niente nel 2022 l’export italiano verso il Paese di Putin, pur in caduta del 24 per cento rispetto al 2021, vale comunque 5,8 miliardi di euro. Nella banca dati consultata da L’Espresso sono presenti decine e decine di aziende italiane che continuano a inviare i loro prodotti in Russia. Tutto legale, perché le merci esportate non sono soggette ai divieti decisi dalla Ue. Tra i grandi gruppi industriali, la lista comprende Barilla, Ferrero, Essilor-Luxottica e Pirelli, che hanno però comunicato di aver sospeso ogni nuovo investimento in territorio russo. I file doganali segnalano anche tutti i più importanti marchi della moda, come Armani, Prada e Dolce Gabbana. Ed è lunghissimo l’elenco di piccoli e piccolissimi produttori di mobili, calzature, specialità alimentari. Business as usual, per loro, perché spesso, senza Russia, i conti aziendali andrebbero a picco.