La sentenza

Strage di Bologna, ecco perché Licio Gelli finanziò l’eccidio neofascista. Le carte segrete svelate da L’Espresso

di Paolo Biondani   6 aprile 2023

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Le motivazioni della condanna del killer nero Paolo Bellini poi reclutato dalla ‘ndrangheta. I giudici confermano i pagamenti del capo della P2: cinque milioni di dollari per la bomba in stazione del 2 agosto 1980. Nuove prove anche sui Nar Giusva Fioravanti e Francesca Mambro e le coperture dei servizi

Licio Gelli organizzò i depistaggi delle indagini sulla strage di Bologna (85 morti, 202 feriti) perché ne era stato il «mandante e finanziatore»: un'accusa che oggi va considerata «un punto fermo». Lo scrivono i giudici della Corte d'Assise nelle oltre 1700 pagine di motivazioni della sentenza che ha condannato in primo grado il quinto presunto esecutore materiale dell'eccidio del 2 agosto 1980, il neofascista Paolo Bellini, poi diventato killer della 'ndrangheta.

 

Il capo della loggia massonica P2, morto nel 2015, era stato condannato in via definitiva, già nei primi processi, come organizzatore della lunga catena di false operazioni, orchestrate dai vertici piduisti del servizio segreto militare (Sismi) per ostacolare le indagini sui terroristi di destra accreditando fantomatiche piste estere. Depistaggi culminati, nel gennaio 1981, nel clamoroso sequestro di armi ed esplosivi su un treno per Bologna, in realtà collocati dagli stessi ufficiali del Sismi, poi condannati insieme a Gelli. A partire dal 2018 la nuova inchiesta della Procura generale ha ricostruito una serie di finanziamenti collegati alla strage, per almeno cinque milioni di dollari: soldi sottratti al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi (il banchiere ucciso nel 1982 a Londra) e distribuiti segretamente da Gelli nei giorni cruciali dell'attentato.

Il capo stesso della P2 aveva trascritto il conteggio di quei versamenti in un prospetto contabile, che portava con sé quando fu arrestato nel 1983 in una banca svizzera come principale beneficiario della bancarotta miliardaria dell'Ambrosiano: il cosiddetto «documento Bologna», che i giudici ora definiscono una «precisa ed eclatante prova» che Licio Gelli era «il vertice di una sorta di servizio segreto occulto», che organizzò l'attentato e i successivi depistaggi.

Secondo l'accusa ne faceva parte anche la super-spia Federico Umberto D'Amato, per anni numero uno dell'Ufficio affari riservati, che risulta aver ricevuto almeno 850 mila dollari da Gelli su un conto segreto in Svizzera. Anche D'Amato è morto prima che si scoprissero quei bonifici, tenuti nascosti per quarant'anni, come il documento Bologna.

 

La condanna all'ergastolo di Paolo Bellini si fonda in particolare sulla «prova granitica della sua presenza alla stazione di Bologna», che l'ex killer neofascista ha sempre negato. A documentarla è un filmato, girato da un turista tedesco, che ritrae un uomo identico a Bellini «mentre cammina sul binario 1, subito dopo l'esplosione». Identificato dalle perizie della polizia scientifica, l'imputato è stato anche «riconosciuto in termini di certezza» dall'ex moglie, che al processo ha testimoniato di aver mentito ai magistrati dell'epoca, affermando falsamente che al momento della strage Bellini fosse con lei a Rimini: ora lei stessa ha «demolito quell'alibi», come osserva la corte.

Bellini è un ex pentito, già condannato per una serie di omicidi di 'ndrangheta, che ha confessato anche di aver ucciso, negli anni Settanta, uno studente emiliano di sinistra. Ha avuto anche rapporti diretti con boss stragisti di Cosa Nostra. Per la bomba alla stazione di Bologna si è sempre proclamato innocente.

 

La sentenza della corte d'assise di Bologna riconferma anche la colpevolezza dei terroristi dei Nar, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati in via definitiva come esecutori della strage. I giudici evidenziano come le indagini degli ultimi anni hanno fatto emergere nuove prove a loro carico, anche sui rapporti con il capo della P2, che riguardano anche Gilberto Cavallini, armiere, tesoriere e killer della stessa organizzazione neofascista, condannato in primo grado e ora in attesa del processo d'appello.

 

La sentenza depositata ieri solleva invece gravi dubbi sull'assoluzione di Sergio Picciafuoco, che fu ferito dalla bomba in stazione e si curò sotto falso nome. Alla luce delle nuove prove, spiegano i giudici, quel verdetto «merita di essere rivisto», anche se solo sul piano della verità storica. Picciafuoco infatti è morto nel 2022, dopo un’ultima serie di tempestose deposizioni, e comunque non avrebbe potuto essere processato una seconda volta per la stessa accusa da cui era ormai stato assolto in via definitiva.

 

Il nuovo verdetto sulla strage di Bologna riconferma anche la genesi ignobile della falsa pista palestinese-tedesca, propagandata anche in questi anni da legioni di disinformatori: all'origine c'è una serie di tangenti pagate da Gelli, dal 1979 al 1980, a un ex senatore del Msi, Mario Tedeschi, anche lui piduista, direttore di una rivista di destra che dopo ogni bonifico pubblicava notizie false su ipotetici attentatori stranieri. Tedeschi non è mai stato indagato: anche lui è morto molto prima che si scoprisse il «documento Bologna» con il suo nome.

 

Tra i condannati, per reati minori come la falsa testimonianza, c'è anche Domenico Catracchia, l'immobiliarista che secondo l'accusa gestiva una serie di residenze a Roma per il servizio segreto civile (Sisde). Le nuove indagini della procura generale hanno fatto emergere un incredibile intreccio tra apparati statali e terroristi, sia di destra che di sinistra: ora la sentenza conferma che un appartamento in via Gradoli 96, preso in affitto sotto falso nome dal capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti (e usato da altri brigatisti perfino durante il sequestro di Aldo Moro), fu poi diviso in due locali, uno dei quali, dopo la strage di Bologna, diventò il covo dei terroristi dei Nar, ormai ricercati, che lo usarono tra l’altro per preparare l'omicidio di due poliziotti che indagavano sui neofascisti.