L'industria del cinema, spinta dal tax credit, è in grande espansione in Italia. Molte aziende sono in mano a multinazionali straniere, gli studi sono dello Stato: ora che i conti sono buoni e ci sono i soldi del Pnrr, si cercano partner esteri e si pensa alla quotazione in Borsa

Calibrata quotazione in Borsa, ingresso di un paio di fondi, collaborazione industriale con aziende americane o comunque britanniche, vendita parziale o più che parziale. Che mistura di indiscrezioni e vocine attorno a Cinecittà spa, che ha il ministero dell’Economia come socio unico e il ministero della Cultura come capo unico. Va esaminata una manciata di motivazioni. Con una premessa: l’istinto famelico che muove il governo di Giorgia Meloni in territorio culturale. Vabbè, le possibili motivazioni. Una. Quest’anno compie un secolo l’Istituto Luce che mulinava la propaganda fascista e che in una recente legge di Bilancio è di nuovo diluito proprio negli studi di Cinecittà, tornati pubblici dopo un ventennio nel privato. Due. Quest’anno in primavera scade il triennio di Chiara Sbarigia presidente e soprattutto di Nicola Maccanico amministratore delegato che riportano il timbro di nomina del governo di salvezza nazionale di Mario Draghi.

 

Sbarigia fu sussurrata al ministro dem Dario Franceschini dai leghisti, Maccanico fu la classica figura tecnica con esperienza nel settore. Il mandato era scontato: rendere Cinecittà imprescindibile per qualsiasi produzione italiana e attrarre il mercato internazionale. I numeri dicono che ha funzionato. Nel 2023 Cinecittà spa ha raggiunto ricavi per circa 43 milioni di euro con un aumento del 10 per cento (erano un terzo soltanto cinque anni fa). Per la seconda volta c’è l’utile in coppia col fatturato (1,6 milioni di euro). La costruzione di scenografie, che è una attività caratteristica di Cinecittà, vale addirittura 20 milioni di euro (erano 19 nel 2022 e 2,5 nel 2021). La percentuale di occupazione è fra il 70 e l’80 per cento. Il denaro proviene dagli accordi per serie tv e cinema con le multinazionali Prime Video, gruppo Sky, Netflix, Peacock, Fremantle e sorelle.

 

Il ministro Gennaro Sangiuliano

 

Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha destinato 220 milioni di euro a Cinecittà per la realizzazione di cinque nuovi teatri e la ristrutturazione di altri quattro. Stanno per partire gli ultimi cantieri. Le gare assegnate superano i 100 milioni di euro. Entro aprile sarà pronto il teatro 7. Per varie ragioni, una riguarda le decisioni di Cassa Depositi e Prestiti titolare del sito di Torre Spaccata, il governo Meloni ha rinunciato al progetto per la fabbricazione di ulteriori otto teatri. Questa è una breve carrellata di registi che hanno scelto Cinecittà per le riprese, più di 50 produzioni nel 2022/23: Luca Guadagnino, Anthony Hopkins, Angelina Jolie, Saverio Costanzo, Ralph Fiennes, Kasja Smutniak, Marco Bellocchio, Lily James, Nanni Moretti, Pierfrancesco Favino, Edward Berger, Stefano Sollima, Adam Driver, Roland Emmerich, Edoardo De Angelis, Luca Marinelli, Paola Cortellesi. Cinecittà ha accompagnato la crescita esponenziale del cinema italiano e dell’audiovisivo in generale e si inserisce in una filiera difficile da comporre e facile da smontare. Allora perché ronzano indiscrezioni e vocine attorno a Cinecittà? La quotazione è l’ipotesi più probabile. Il ministero dell’Economia ne fa una questione contabile seppure di un valore risibile per le finanze pubbliche. Il ministero della Cultura ne fa una prospettiva di sviluppo e di controllo. Di forgiatura.

 

Capita spesso, è capitato già a Franceschini due volte con gli inglesi di Pinewood Studios, che una multinazionale straniera chieda notizie per infilarsi nel carrello gli studi di Cinecittà. La quotazione permette di «valorizzare” senza «dismettere» il bene che lo Stato ha prima venduto e poi riacquistato (e anche questo capita spesso). Siccome oggi Cinecittà spa è una struttura complessa, fra teatri di posa, archivi storici, conservazione di opere, allestimenti di scenografie, distribuzione interna, la società andrebbe scorporata (ancora!) e poi infine preparata a una quotazione in Borsa con la cessione di un 20/25 per cento del capitale. Con due soluzioni: fondo di investimento che è attento unicamente alla rendita (e si ricorda, a loro beneficio, che non sempre con la cultura «se magna»), multinazionale del settore di lingua inglese che però indirizza le strategie e magari le subordina alle proprie esigenze. È presto per decifrare indiscrezioni e vocine. Più semplice svestire le intenzioni. Il governo Meloni non ha fretta.

 

La priorità è fare o rifare il Consiglio di amministrazione di Cinecittà spa con i suoi vertici e conferire loro, che siano quelli uscenti o siano altri entranti, l’obiettivo quotazione per il 2025. Il compito di fare il Cda in primavera, a maggio, spetta al ministro Gennaro Sangiuliano e in particolare alla sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni che detiene le deleghe al cinema e che la scorsa volta ha sostenuto Sbarigia presidente. Maccanico da tecnico non si esprime e resta ovviamente a disposizione del governo. Cambiare ciò che va bene e vendere un pezzetto di ciò che si è appena comprato è davvero troppo. Anche per il governo di destra nel centenario dell’Istituto Luce.