L'inchiesta
Giorgia Meloni si fa la campagna elettorale in Albania: più soldi per i centri migranti (togliendoli a sanità e scuola)
Abbiamo fatto i conti su quanto costerà il famoso patto con Tirana per accogliere (al massimo) 3.000 richiedenti asilo: la cifra sfonda i 700 milioni di euro. E ora si accelera sui lavori per inaugurare qualcosa entro il voto delle Europee
Il governo patriota di Giorgia Meloni non lesina sforzi economici per completare in tempi rapidi, diremmo istantanei, la più ambiziosa opera pubblica in territorio straniero e probabilmente pure in territorio nazionale: i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dei migranti in Albania. Non è frequente osservare una mobilitazione corale di svariati ministeri, di funzionari, di ingegneri per realizzare un progetto utopico (o distopico, sono gusti): delocalizzare i migranti come lo si fa con le industrie che non sappiamo trattenere o con la spazzatura che non sappiamo smaltire. Non donne, non bambini, non anziani, non malati, non feriti, non mutilati, ma uomini in salute, per quanto in salute possano essere uomini che affrontano il deserto, la prigione, il digiuno, il Mediterraneo, genericamente uomini, raccolti in mare su navi italiane e trasbordati da navi italiane in zone impervie e povere di Albania per scoprire lì se meritano la protezione internazionale oppure un definitivo respingimento. Non c’è una invasione di migranti né un’emergenza sanitaria, ma una scadenza impellente che divampa: la campagna elettorale per le Europee.
Questa immane opera di campagna elettorale, opera pubblica perché finanziata con denaro pubblico, ha un costo di oltre 726 milioni di euro. Le stime bollinate, sempre difettose, vanno corrette al rialzo. Nel gorgo di un decreto legge di marzo, per esempio, il governo ci ha infilato altri 26 milioni di euro. Ne ha taciuto. E ha taciuto di un ceppo, un conto direttamente gestito dal governo di Tirana, che ci lega agli umori albanesi per cinque anni più cinque pressoché automatici. L’Espresso riannoda il patto – il cosiddetto protocollo per il «rafforzamento della collaborazione in materia migratoria» – fra la presidente Meloni e il collega Edi Rama con documenti, fonti governative e diplomatiche. Il prologo più efficace, però, lo firma il servizio parlamentare di Bilancio con la sua premessa purtroppo ignorata da senatori e deputati: «Gli oneri derivanti dall’accordo con l’Albania sono ascritti in alcuni casi al protocollo e in altri casi a una corrispondente disposizione attuativa del disegno di legge rendendo con ciò poco leggibile il quadro delle spese ascrivibili ai singoli interventi». La solita confusione.
Il protocollo sui migranti fu sottoscritto a novembre con una pomposa cerimonia a Palazzo Chigi. Meloni ha ospitato l’amico Rama per l’annuncio. Ha ottenuto un effetto sorpresa, ma i governi erano già pronti da settimane. Ne sono prova le date impresse sui documenti catastali allegati al protocollo che riguardano le due aeree nel Comune di Lezhe, un’ora e mezza di automobile a Nord di Tirana. Un particolare rilevante: si tratta di aeree militari, non rientrano perciò sotto la giurisdizione comunale. Nessun controllo.
I migranti delocalizzati potranno sbarcare al sito portuale di Shengjin per le pratiche iniziali di riconoscimento e di assistenza. Poi verranno trasferiti nei centri di permanenza di Gjader, una località interna, sprovvista ancora di rete idrica, fognaria, elettrica, che dista una ventina di minuti di strada. In quel luogo i migranti verranno a conoscenza della propria sorte. Accolti o respinti.
Questa è la descrizione contenuta nella relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato dopo i sopralluoghi delle delegazioni italiane: «L’intera zona non è dotata di fogna pubblica. Per lo scarico delle acque nere è necessario realizzare un serbatoio di accumulo di idonea capacità da svuotare periodicamente con autospurgo o, in alternativa, è necessario realizzare un depuratore. La portata e la pressione dell’acqua potabile non sono sufficienti per alimentare l’intero centro. Prevedere serbatoi di accumulo con autoclave». La capienza massima di Shengjin e Gjader sarà di 3.000 migranti. A ridosso del molo di Shengjin, dietro una recinzione di filo spinato alta 4 metri, un pannello metallico «frangivista» di 3 metri, un ammasso di cemento spesso 1,4 metri, saranno allestiti i prefabbricati per le operazioni sanitarie e di polizia. A Gjader invece ci sono 77.700 metri quadrati di spazio con una superficie minima già edificata. I governi specificano che le strutture sono «fatiscenti». A Shengjin come a Gjader dovranno operare soltanto italiani in «missione»: medici, infermieri, psicologi, burocrati, interpreti, avvocati, poliziotti, fattorini, inservienti, dirigenti. Per cinque o dieci anni, il protocollo è valido sino al 2033, il rettangolo blindato di Shengjin e il vasto centro di permanenza di Gjader diventano di fatto italiani e poi verranno restituiti ordinati e profumati. Il passaggio formale agli italiani scatta con l’entrata in vigore del protocollo. Ci siamo. I governi hanno superato l’agguerrita opposizione albanese che ha coinvolto la Corte costituzionale e l’educata opposizione italiana che ha emanato una raffica di comunicati per le agenzie di stampa; la prima settimana di marzo, ha appreso L’Espresso, le ambasciate hanno avviato lo scambio di note verbali per attestare l’avvenuta ratifica parlamentare. Queste lungaggini democratiche rischiano di vanificare l’opera pubblica in Albania per la campagna elettorale in Italia. La consultazione per le Europee incombe (8 e 9 giugno). Meloni ha davanti a sé tre mesi per issare il tricolore nei Cpr di Shengjin e di Gjader o almeno per salmodiare in un cantiere in stato avanzato. Non semplice. Allora il governo è intervenuto sfruttando un decreto legge inerente al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza: non c’entra nulla, però era assai comodo. L’aspetto più bizzarro è che i deputati e i senatori hanno approvato definitivamente le norme sul protocollo con l’Albania a metà febbraio e il 2 marzo, per l’appunto col decreto numero 19/24, il governo le ha corrette. In che modo: ha incrementato la spesa da 39,2 a 65 milioni di euro per tirar su i Cpr di Shengjin e di Gjader e inoltre ha travasato queste risorse dai ministeri dell’Interno e della Giustizia interamente al ministero della Difesa che può sbrigarsi col Genio militare. Questo genera ulteriori fabbisogni per il personale della Difesa per 1,27 milioni di euro. Aggiunti.
Per fare presto, in questa corsa contro le urne, Palazzo Chigi può attivare l’aiuto da casa, cioè il supporto albanese: statale e privato, come più garba. Il presidente Rama è gentile. Non fesso. Siccome per appalti e forniture dei Cpr in Albania non ci sono vincoli, non c’è traccia di bandi, di gare, di trasparenza per chiosare, i responsabili dei Cpr – spiega una fonte referenziata – all’occorrenza possono acquistare materiale e manodopera in loco. Oppure potrebbero delegare il governo albanese che può usare il Fondo di Garanzia degli italiani appoggiato su un conto di una banca nazionale di secondo livello: 28 milioni di euro per il 2024 e 16,5 dal 2025 al 2028 per un totale di 94 milioni. «Le spese indicate e le spese o oneri non previsti derivanti dal protocollo sono rimborsati alla Parte albanese in forma forfettaria nella misura e nelle modalità determinate». Spese mediche, di polizia, di carburante, di sorveglianza esterna. Il perimetro è molto elastico. I governi possono integrare e giustificare qualsiasi tipo di spesa (il rendiconto semestrale è attraverso ambasciata). I 94 milioni previsti sono il minimo, non un limite. «Non può essere inferiore», precisa la legge.
Il ministero dell’Economia vigila sul febbrile andamento dei costi. Al momento sono divisi in capitoli. Le spese in conto capitale, potremmo definire volgarmente di avviamento: 73,48 milioni di euro, di cui 65 milioni per le strutture nei Cpr e 8,48 milioni per le dotazioni strumentali. E le spese correnti per la gestione: autorizzati 96,2 milioni per il 2024 più 1,27 milioni per il già citato personale del ministero della Difesa; 127,2 milioni per il 2025; 127,3 milioni per il 2026; 127,4 milioni per il 2027; 127,6 milioni per il 2028; 9,1 milioni per il 2029; 9,1 milioni per il 2030; 9,1 milioni per il 2031; 9,1 milioni nel 2032; 9,2 milioni per il 2033. Il primo quinquennio: 680,5 milioni. Il secondo quinquennio parzialmente valutato: 45,6 milioni. Già siamo a oltre 726 milioni. E il miliardo entro il 2033 è scontato. È addirittura un traguardo prudente. A prezzi italiani, secondo le esperienze passate, bastano 14 milioni all’anno per 1.338 posti nei Cpr. Le coperture per l’Albania provengono dal Fondo per gli Interventi strutturali di Politica economica, dal Fondo per le Esigenze indifferibili e in particolare – 80 milioni per il 2024 e 120 milioni dal 2025 – dagli accantonamenti dei ministeri tramite il Fondo Riserva e Speciali e il Fondo da Ripartire. Ognuno è chiamato a contribuire, decine di milioni ciascuno: i Trasporti, l’Università, l’Istruzione, la Cultura, la Salute, il Turismo.
I veri patrioti non fanno le opere pubbliche in Italia. Troppo confortevole. Le fanno all’estero per sentire l’inno risuonare nel mondo. Se in campagna elettorale, meglio.