Strategie
Ordine e manganello, la repressione per il governo Meloni è la regola (non l'eccezione)
Il ministero dell’Interno Matteo Piantedosi, braccio armato dell'esecutivo, mantiene l’ordine facendo uso della forza. E sacrificando le libertà individuali. I casi sono ormai numerosi
Esigere ordine e disciplina. Non è solo un imperativo fascista, ma, pare, anche quello della gestione della pubblica sicurezza nell’era di Matteo Piantedosi ministro dell’Interno. Un imperativo che, però, nella pratica si è trasformato nella tutela della sicurezza di alcuni a scapito della garanzia dei diritti di tutti.
Durante il governo Conte I, per esempio, Piantedosi condivise con Matteo Salvini, di cui era capo di Gabinetto, il piano per ostacolare lo sbarco in Italia dei migranti soccorsi delle navi “Open Arms”, “Ubaldo Diciotti” e “Alan Kurdi”. Prima, da prefetto di Bologna, aveva inventato «il mini-Daspo urbano». E aveva svegliato il capoluogo emiliano all’alba di una torrida giornata d’agosto con lo sgombero dei centri sociali Crash e Làbas. Punti di riferimento per i cittadini, che, per chiederne la riapertura, riempirono le strade della città nel settembre successivo. «L’intervento era ineludibile», aveva commentato Piantedosi. Mettendo in chiaro di non volere dialogare con chi usa «petardi e bombe carta». In tutti i casi: ordine in superficie, sacrificio delle libertà nella sostanza profonda.
Com’è successo anche il 23 febbraio scorso a Pisa, quando la polizia ha caricato gli studenti che manifestavano in solidarietà al popolo palestinese, lasciandoli senza via di fuga, pur non essendoci una giustificazione per l’uso della violenza. Tanto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ritenuto necessario intervenire per ribadire che «l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli».
Ma non c’è solo Pisa. Sebbene il ministro Piantedosi abbia sottolineato che le decisioni in materia di ordine pubblico a livello locale non siano determinate da scelte politiche centrali, anche a Firenze e a Catania le cariche della polizia sono state il mezzo per smorzare le proteste. E qualche giorno prima, i presìdi di Torino, Bologna e Napoli per contestare la linea della Rai a favore di Israele erano finiti nello stesso modo. «È stata una giornata di violenza generalizzata. L’ultima carica della polizia, ingiustificata visto che eravamo lontani da ogni obiettivo sensibile, è stata quella in cui mi sono fatta male. Fa arrabbiare prendere le manganellate mentre si scende in piazza per costruire un futuro migliore», spiega Ada, studentessa del collettivo Cambiare Rotta, uno dei volti sporchi di sangue della manifestazione di Torino del 3 ottobre 2023, indetta dagli stessi studenti che da mesi dormivano in tenda per protestare contro il caro affitti.
«Il governo parla di sicurezza sostenendo, con il decreto Rave, che il problema è chi organizza ritrovi con più di 50 persone. O chi, di fronte alla catastrofe climatica, blocca il traffico. Per il governo garantire sicurezza significa introdurre reati contro chi si ribella alle condizioni disumane che ci sono nei Cpr e nelle carceri. Fermare la gente che entra nei palazzi abbandonati perché non sa dove andare. Non, invece, porre fine alla strage dei morti sul lavoro o impedire che le scuole ci cadano addosso. Sicurezza significa cercare colpevoli da punire: migranti, poveri, giovani». Così Leone Piva, coordinatore dell’associazione studentesca Sinistra Universitaria, dice durante la manifestazione indetta il 25 febbraio scorso, a Roma, a pochi passi dal Viminale, per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno.
«È la nostra Costituzione che garantisce il diritto a manifestare il proprio pensiero senza avere paura di essere repressi con la violenza», aggiunge Tullia Nargiso della Rete degli Studenti medi che chiude il discorso mentre la folla attorno intona: «Chiediamo diritti, ci date polizia, è questa la vostra democrazia». Lo stesso slogan che hanno gridato alcuni studenti dell’Università Sapienza di Roma durante l’occupazione della facoltà di Scienze politiche, in risposta alle manganellate prese mentre contestavano lo svolgimento di un convegno organizzato dall’associazione di destra Azione universitaria il giorno prima: cioè il 25 ottobre 2022, quando Giorgia Meloni interveniva alla Camera per la fiducia al governo, confessando ammiccante che le sarebbe stato difficile non provare simpatia per chi sarebbe sceso in piazza contro le sue politiche.
Ma, dopo più di un anno, la direzione in cui si muove il governo sembra opposta: punire, invece di ascoltare e dialogare. «Potremmo definire l’approccio che caratterizza le politiche del governo come “panpenalismo”. Ogni questione che emerge, soprattutto di carattere sociale, viene affrontata con l’introduzione di nuovi reati o con l’inasprimento delle pene per quelli già esistenti», spiega Giuliano Granato, co-portavoce di Potere al Popolo, secondo cui non è solo l’uso immotivato dei manganelli che minaccia la libertà: «Sono stati adottati anche altri provvedimenti, forse ancora più pericolosi. Come gli attacchi al diritto di sciopero di Salvini. E la lesione del diritto alla casa».
Da Piantedosi, infatti, è arrivata la direttiva che esortava i prefetti di tutta Italia a contrastare le occupazioni. Per esempio, accelerando gli sgomberi, come lui stesso, da prefetto di Roma, aveva annunciato in piena emergenza sanitaria da Covid. Così, a Napoli e a Bologna, a essere rimasti senza casa sono stati anche famiglie e studenti. Mentre a Catania, proprio nel giorno dei funerali di Giulia Cecchettin, veniva sgomberato il consultorio autogestito “Mi Cuerpo es Mio”. «Eravamo basite per la violenza subita oltre ogni ragionevolezza», racconta Lara Torrisi, attivista del consultorio: «Alle 5 di mattina l’immobile è stato circondato da cinque camionette e da almeno 50 agenti di polizia, neanche fosse il covo del peggior latitante…».
A sentirsi minacciato è pure chi ancora resiste. Come “Spin Time Labs”, un’occupazione abitativa nel cuore di Roma: «La nostra esperienza è un modello culturale e sociale perché cerca di mettere insieme i giovani, i poveri e i migranti», spiega Paolo Perrini che nel 2013, con il movimento per il diritto all’abitare Action, ha occupato l’immobile che oggi ospita oltre 400 persone di 26 nazionalità diverse: il Comune vorrebbe legalizzare la situazione, ma visto il clima nazionale non si dormono sonni tranquilli.
Dal momento che “Spin Time Labs” è una realtà popolata da migranti, Perrini si sofferma anche sulle politiche del governo sul tema. E ricorda quando Piantedosi, nel novembre 2022, definì i migranti salvati in mare come «un carico residuale». Parole precedenti alla strage di Cutro. Così come il tentativo di attuare i cosiddetti sbarchi selettivi e come il decreto che ha penalizzato il ruolo delle navi di soccorso civile. «Provvedimenti di cui abbiamo sofferto gli effetti direttamente», spiega Beppe Caccia, capomissione della ong Mediterranea. Che si sofferma su altre misure del governo Meloni per disincentivare l’immigrazione irregolare, anche a costo di ledere i diritti della persona: dal codice di condotta per le ong, al potenziamento dei Cpr, «luoghi di detenzione amministrativa per persone con l’unica colpa di non avere i documenti in regola». A cui si vorrebbe togliere persino il diritto di protestare, con il nuovo reato che punirebbe con la reclusione fino a 6 anni chi organizza o partecipa a una rivolta nelle strutture di trattenimento o accoglienza per i migranti. Una norma contenuta nel “pacchetto Sicurezza”, ora all’esame del Parlamento, che si applicherebbe anche nelle carceri.