L'inchiesta condotta in collaborazione con il consorzio di giornalismo investigativo Lighthouse Reports per fare luce sulle lobbies agricole europee. L'indagine internazionale ha fatto luce sui conflitti d'interesse del sindacato

La dimostrazione plastica del potere di Coldiretti, il sindacato degli agricoltori, è la sua maestosa sede nel cuore di Roma. Da un lato della piazza sta il Quirinale, simbolo della vita della Repubblica italiana, dall’altro c’è Palazzo Rospigliosi, sede storica della potente sigla degli agricoltori, la cui storia continua a intrecciarsi con le scelte politiche e le decisioni strategiche del Paese. Negli ultimi quarant’anni si è perso per strada il 60% delle imprese del settore primario, che hanno lasciato il passo ad aziende più grandi. Senza destare particolari preoccupazioni. Perché degli agricoltori ci si accorge solo quando, per protesta, bloccano le autostrade con i trattori: per qualche frazione di secondo, ci si domanda se siano più arrabbiati con l’Europa, con il governo o con i sindacati. Grave errore, dimenticarsi dell’agricoltura, dove sfocia il fiume di denaro europeo della Politica agricola comune (35 miliardi tra il 2023 e il 2027) e i cui interessi si intrecciano con quelli della politica, della grande distribuzione e di tutti i cittadini.

 

Nel corso dei suoi ottant’anni di esistenza, Coldiretti ha dimostrato una straordinaria capacità di dialogare con i governi di tutto lo spettro politico, imprimendo un’impronta persistente sulle loro scelte. Non fa eccezione l’attuale governo: dalle battaglie contro la carne a base cellulare alla nuova normativa che impedisce il fotovoltaico nei terreni agricoli, si percepisce l’input di Coldiretti sul lavoro di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e cognato di Giorgia Meloni. Lollobrigida ha anche scelto come suo capo di Gabinetto Raffaele Borriello che, prima di approdare al ministero dell’Agricoltura, era in Ismea (ente pubblico per il sostegno all’agricoltura) e tra il 2021 e il 2023 è stato capo legislativo di Coldiretti. Secondo la legge, i dipendenti pubblici devono lasciar trascorrere tre anni prima di assumere incarichi in aziende private del settore, per evitare rischi di conflitto di interessi, ma stavolta la norma non sembra aver pesato, come ha sottolineato Angelo Bonelli, deputato di Europa Verde, in un’interrogazione al Parlamento lo scorso febbraio.

 

L’inchiesta de L’Espresso è stata realizzata in collaborazione con Lighthouse Reports, consorzio di giornalismo investigativo che ha coinvolto la testata francese Splann!, la polacca Frontstory.pl, la tedesca Taz e il podcast The Europeans per fare luce sulle lobby agricole europee. L’indagine internazionale ha rivelato alcuni conflitti d’interessi del sindacato. In Polonia, chi rappresenta gli agricoltori fa parte di una famiglia che gestisce uno dei più grandi allevamenti di visoni. In Francia, i leader della Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles possiedono vaste quantità di terreni e detengono partecipazioni in aziende, mettendo così in discussione la loro indipendenza.

 

In Italia i più grandi sindacati agricoli sono Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri, la cui potenza è da poco stata rafforzata da due recenti provvedimenti del ministero dell’Agricoltura: quello per la gestione dei Caa, centri per l’amministrazione delle pratiche agricole, utili all’erogazione dei fondi europei, e quello per il sostegno alle filiere del biologico, i cui requisiti minimi escludono le realtà più piccole. «Alle associazioni minori vengono tagliate le gambe», dicono alcuni rappresentanti degli agricoltori biologici contattati da L’Espresso. Il governo ha motivato la decisione di riformare i Caa dicendo che garantirà procedure uniformi e tempi ridotti di pagamento degli aiuti pubblici all’agricoltura.

 

La parte del leone la fa Coldiretti, almeno dal punto di vista delle tessere. Dichiara 1,6 milioni di iscritti, e sarebbe quindi il più grande sindacato d’Europa. Ma 1,6 milioni sono più del totale delle imprese agricole censite da Istat (1,1 milioni) e, del resto, la stessa Coldiretti dice di rappresentarne 400 mila. Questo perché fra gli iscritti di Coldiretti ci sono anche famigliari e pensionati. La sua forza, però, non sta solo nei numeri, ma nella capacità di affrontare le profonde trasformazioni del settore agroalimentare. Uno dei problemi più grandi è lo strapotere della grande distribuzione organizzata: «L’aumento del potere della Gdo, forse funzionale al portafoglio del consumatore, ha messo in crisi gli agricoltori, che non controllano le sementi né il prezzo delle materie prime e, alla fine, restano strangolati dal prezzo di vendita al mercato», spiega a L’Espresso Riccardo Bocci, agronomo e direttore della Rete semi rurali, aggiungendo che «negli ultimi anni la strategia Coldiretti è stata quella di creare qualcosa di più grande della Gdo, proprio per competere». Bocci si riferisce alla nascita di Cai spa e all’espansione di Bonifiche Ferraresi, confluita nella società quotata Bf Holding spa, la più grande azienda agricola italiana.

 

 

Bonifiche Ferraresi nasce nel 1871, artefice della bonifica dei terreni paludosi del Ferrarese, in concordato preventivo dal 1930, viene salvata nel 2014 dal gruppo Bf spa, società capeggiata da Federico Vecchioni, ex presidente di Confagricoltura, con l’obiettivo di creare il polo agroalimentare europeo d’eccellenza. Il primo azionista di Bf è l’azienda farmaceutica Dompé, seguita da Arum (holding di partecipazioni con Vecchioni presidente del cda e in cui Coldiretti ha una quota significativa) più altri azionisti minori. La scorsa settimana Bf ha depositato il bilancio 2023, mettendo in luce la nuova strategia di crescita: andare oltre i confini nazionali. Ha creato a Londra la Bf International best fields best food Limited per gestire terreni e proprietà estere. E in generale, la holding sta siglando partnership e accordi in Ghana, Algeria, Egitto e Kazakistan. Da dove viene la liquidità necessaria a Bf holding per fare gli investimenti? Scrive Bf nella relazione finanziaria consolidata al 30 giugno 2023 che la controllata Cai, da sola, rappresenta l’89% dei ricavi.

 

Cai è un consorzio di consorzi, una società consortile per azioni, ma partecipata anche da Bf, che fa base, come Coldiretti, a Palazzo Rospigliosi e ha incorporato sei consorzi agrari territoriali (Nord Est, Adriatico, Senese, Emilia, Centro Sud, Tirreno). Anche Cai nasce per rispondere alle pressioni del nostro tempo: creare un grande hub per l’agricoltura italiana che aiuti gli agricoltori a ricevere un prezzo giusto per i loro prodotti. Cai viene tenuta a battesimo nel 2019 come società a responsabilità limitata da due piccole aziende: Elfe srl della famiglia Vecchioni e Bt srls di Gianluca Lelli, responsabile economico di Coldiretti e consigliere in Bonifiche Ferraresi. Poi cambia pelle e si trasforma in spa. L’assemblea straordinaria di settembre 2020 ha deliberato che Lelli e Vecchioni incassino l’1,5% dell’intero valore di ogni nuova operazione di finanza straordinaria, di acquisizioni e fusioni, si legge in un documento visionato da L’Espresso. Contattata dal nostro giornale, l’azienda dice però che tale norma «non esiste». Grazie ai conferimenti, oggi il valore di Cai supera i 273 milioni di euro. Con l’assorbimento del consorzio Nord Est, i ricavi sono passati da 426 a 586 milioni, ma anche i debiti sono cresciuti da 300 a 615 milioni, segno che il processo di integrazione è tutt’altro che semplice.

Non tutti i liberi agricoltori consorziati accettano di cedere i propri privilegi di soci mutualistici a Cai, come nel caso del Consorzio Terre Padane. «I consorzi agrari sono cooperative attraverso cui gli agricoltori si uniscono per comprare materie prime e attrezzature a prezzi più convenienti, grazie alla forza d’acquisto collettivo, senza che nessuno dei suoi membri ne eserciti il ​​controllo», dice Marco Crotti, presidente di Terre Padane. Cai promette ai consorzi prezzi vantaggiosi e trattative più giuste, ma Crotti spiega: «Abbiamo deciso di restare liberi perché il progetto non prevede un presidio territoriale e la struttura ci portava a essere più al servizio della finanza che dei nostri soci».

 

Infatti il bilancio di Cai è consolidato nella società quotata Bf, ed è quest’ultima a nominare l’amministratore delegato, che ha diversi poteri: dalla gestione, al business plan, fino alle acquisizioni di nuovi consorzi. Per di più, sulla base dei patti parasociali, Vecchioni e Lelli, amministratore delegato di Cai e responsabile dell’area economica di Coldiretti, hanno poteri fondamentali sulla direzione di Cai, che gli altri amministratori e una schiera di piccoli consorziati non hanno.

 

Contattata da L’Espresso, Coldiretti prende le distanze da Cai e Bf spa, sostenendo «inesistenti rapporti societari con imprese commerciali». Ma specifica anche che oggi la Coldiretti «rappresenta nel miglior modo possibile sia le grandi aziende che le piccole, ossatura del nostro sistema agroalimentare».

 

Lucio Cavazzoni, già presidente di Alce Nero, ha commentato a L’Espresso che «oggi la Coldiretti si definisce una realtà a volte piccola, a volte grande, a volte media, ma il suo percorso è innegabilmente mirato a dimensioni sempre più macro e a un’industrializzazione dei processi». E non sarebbe tutta responsabilità di Coldiretti: «Lo sfruttamento della terra e la competitività a cui costantemente siamo sottoposti obbligano ad adattarsi alle dinamiche delle economie di scala. Ma accettare questo significa cancellare i contadini dalle campagne». Alce Nero, a inizio anni Novanta, aveva recuperato i semi antichi del grano Senatore Cappelli che a lungo è stato bandiera degli agricoltori biologici. Mentre il valore di questo grano si apprezzava fortemente, nel 2016 l’ente pubblico Crea, proprietario del seme, cedeva la licenza esclusiva di produzione del Senatore Cappelli per 15 anni su tutto il territorio europeo alla Società italiana sementi, Sis, azienda di produzione di sementi sotto l’ombrello Bf Holding. La Sis è gestita da Mauro Tonello, già presidente della Coldiretti Emilia-Romagna. L’Antitrust nel 2019 ha multato Sis per 150 mila euro per comportamenti scorretti nella gestione del Senatore Cappelli: avrebbe imposto agli agricoltori di restituire l’intera produzione; avrebbe ritardato o rifiutato la fornitura di sementi e aumentato ingiustificatamente i prezzi delle sementi. L’Antitrust sostiene che Sis si comportava in modo preferenziale verso gli associati Coldiretti.

 

E mentre l’agroindustria ha messo in scacco il grano bandiera del biologico, si è perso il concetto di sovranità alimentare, che «nasce nel 1996 dal movimento internazionale La Via Campesina e riunisce milioni di piccoli e medi agricoltori, donne contadine, popolazioni indigene, migranti, lavoratori agricoli di tutto il mondo, per difendere l’agricoltura sostenibile su piccola scala per promuovere giustizia sociale e dignità. E si oppone fermamente al corporativismo agricolo guidato dalle multinazionali che stanno distruggendo le persone e la natura», dice Bocci. L’agronomo ricorda: «Vent’anni fa Coldiretti sedeva al tavolo con noi per parlare di sovranità alimentare. Poi ha preso quel principio, lo ha digerito e ceduto all’attuale governo, che oggi confonde sovranità con sovranismo». E fu così che il ministero dell’Agricoltura diventò anche quello della Sovranità alimentare.