Infanzia
Giorgia Meloni sostiene la maternità solo a parole: nei fatti taglia i fondi per gli asili
Nel 2021 erano in programma 264.480 posti in nidi e scuole materne con i soldi del Pnrr per sostenere la conciliazione vita-lavoro delle donne. Ma questo governo ha ridotto quel numero a 150mila. Troppo pochi per stare al passo con l'Europa, ma anche per incentivare la natalità
Per capire quanto questo governo abbia a cuore il tema della maternità basta una cifra: 150.480. È il numero di nuovi posti di asilo nido e scuola dell’infanzia che saranno realizzati – in teoria entro fine 2026 – con i 3,2 miliardi del Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza. Sono tanti o pochi? Di sicuro sono meno dei 264.480 posti che si era stabilito di realizzare nel 2021, spendendo 4,6 miliardi di euro, denaro proveniente in gran parte dall’Europa, ma anche da riserve di finanziamenti già stanziati. Duplice l’obiettivo: sostenere il diritto dei bambini a vivere i primi anni di vita in un ambiente stimolante, specialmente per quelli che nascono in contesti di vita difficili; permettere alle donne di conciliare maternità e lavoro. La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – e non strampalate riforme per facilitare la presenza di associazioni pro vita nei consultori famigliari – è il primo (non certo l’unico) asset che lo Stato può e deve fornire alle donne per sostenere la maternità e, al tempo stesso, poter manifestare una propria indipendenza tramite il lavoro: ricordiamo che nel nostro Paese tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne, a fronte del 70,2% della media Ue. Da noi il divario fra uomini e donne è di 19,5 punti, quasi il doppio della media Ue. L’assenza di un secondo stipendio in famiglia è spesso ciò che spinge molte donne a non fare figli: in Italia il tasso di fertilità è di 1,24 bambini per donna, la Francia 1,79 bambini. In tutta questa vicenda, l’aborto non c’entra nulla (l’Italia ha il tasso di abortività fra i più bassi a livello globale) ed è esclusivamente una questione di posizionamento politico (consumato sulla pelle delle donne), come è stato dimostrato dalla cronaca del G7 di Borgo Egnazia.
C’entra invece quel numero: 150.480 nuovi posti nido e materne. Un numero troppo basso per stare al passo con l’obiettivo europeo, ovvero una copertura di almeno 45 posti ogni 100 bambini. Però sarà almeno raggiunta la soglia del 33% che era quella minima richiesta dall’Europa al 2010 e che, per molte Regioni del Sud Italia, è un miraggio: in Sicilia e Campania ci si aggira attorno al 10%, restano sotto soglia anche Basilicata, Puglia, Molise, Abruzzo, Piemonte, Trentino-Alto Adige, dice l’Istat. Da qui l’impegno dell’Italia a destinare una consistente somma del Pnrr per nuovi nidi. Tra l’altro, dice il Documento di Economia e Finanza 2024, l’effetto cumulato delle opere per il potenziamento dell’offerta dell’istruzione consentirà al nostro Paese una crescita dell’1,3% del Pil e per questo la realizzazione di nuovi edifici scolastici, specie dedicati alle prime fasi della vita, dovrebbe essere uno dei temi su cui spingere di più.
Eppure, a fine maggio, la relazione della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha detto che 19 sono le misure definanziate dal processo di revisione del Pnrr avanzato dal governo attraverso il ministro competente, Raffaele Fitto, e che «fra gli 11,2 miliardi di definanziamenti, una delle riduzioni più consistenti insiste per lo più sul piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia (meno 1,3 miliardi)». Insomma, se il governo con una mano promette sostegno alla natalità, con l’altra toglie fondi. Continua la Corte dei Conti nella sua relazione: «Sulle misure del Pnrr per giovani e donne, alla luce della revisione del programma italiano, la voce più penalizzata e che ha subìto più tagli è proprio il piano per asili nidi e le scuole per l’infanzia». E aggiunge: «La Missione 4 (che comprende il piano asili nido, ndr) è quella che conta il maggior numero di misure aventi un impatto sul differenziale generazionale o di genere». Però, proprio grazie alla revisione di Fitto, è stata rifinanziata la misura per l’estensione del tempo pieno (più 115 milioni), che favorisce la conciliazione vita-lavoro.
Inoltre a fine aprile il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha lanciato un suo piano da 734,9 milioni per gli asili nido, finanziato con residui di Pnrr e risorse dello Stato, per rispondere ai Comuni rimasti esclusi dalla prima fase di progettazione. Lo ha comunicato con un decreto del 30 aprile, che tuttavia evidenzia alcune lacune. Si legge: «Viste le rinunce di 55 Comuni per un totale di 57,8 milioni di euro, come dettagliato nell’allegato 1», ma l’allegato non c’è. L’Espresso ne ha chiesto conto al ministero dell’Istruzione, ma non ha ricevuto risposta. C’è anche un’altra stranezza: il decreto punta a realizzare 27.500 posti, ma non si specifica che questi posti fanno parte dei 150.480 già previsti, come fanno notare gli economisti Andrea Gavosto e Alberto Zanardi, profondi conoscitori del tema, nel dettagliato report “Il Pnrr per scuola e università”, realizzato dalla Fondazione Agnelli. Dunque non ci saranno altri 27.500 posti: il conto complessivo si ferma a 150.480. Zanardi e Gavosto ripercorrono l’iter Pnrr, difficoltoso soprattutto al Sud, per «fattori culturali, resistenza dei nidi privati, carico eccessivo sugli uffici tecnici dei Comuni, impossibilità a consorziarsi e aumento dei costi». Ciò nonostante, dei 2.437 progetti aggiudicati, il 93 per cento ha avviato i lavori di esecuzione. Per i Comuni rimasti fuori dal bando, c’è quindi il piano Valditara che per il 63% si concentra al Sud.
Totalmente inesplorata la problematica posta dall’Alleanza per l’Infanzia: «Sarà necessario garantire che i nuovi posti siano a responsabilità pubblica o dati in gestione al privato no profit, per rendere accessibile il servizio a tutti i minori, specialmente a coloro che vivono in condizioni di svantaggio economico». Il fabbisogno economico si attesta attorno a 1,250 miliardi ma, allo stato attuale, le risorse che erano state assegnate ai Comuni sono state in parte tagliate. Serve anche un colpo di reni per formare 18 mila maestri e maestre delle future scuole e, possibilmente, anche un occhio di riguardo per questa categoria, che in tasca ha una laurea, ma si confronta con stipendi bassissimi.