Cinquanta milioni di euro. Tanto è costata, finora, l’operazione con cui la Regione Lazio guidata da Francesco Rocca ha scelto di affidare ai privati – tra cui le cliniche private del suo ex datore di lavoro, il deputato leghista Antonio Angelucci – il destino e la salute dei cittadini. Un fiume di denaro pubblico che ha alimentato soprattutto il sistema delle case di cura accreditate con l’obiettivo dichiarato di “alleggerire” i Pronto Soccorso. Ma il risultato, secondo decine di operatori sanitari della regione, è stato l’esatto contrario: i pazienti trasferiti, in molti casi, sono rientrati in emergenza. Tra questi soprattutto le persone fragili, croniche, e post-acute che vengono spostate con le ambulanze nelle case di cura, e che tornano nei Pronto Soccorso in condizioni aggravate.
«Succede che, pur di liberare una barella, perché magari quella persona è lì da giorni, il personale decida di trasferirla in una casa di cura. Ma nel giro di pochi giorni, a volte ore, il paziente torna in Pronto Soccorso e in alcuni casi muore in sala rossa o in rianimazione. Ho visto decine di pazienti rientrare con un dolore addominale non meglio definito, e si è scoperto che era un’occlusione, una perforazione, o una condizione che richiedeva un intervento urgente. Ma quei due giorni di ritardo – che consentono al privato accreditato di ottenere comunque il rimborso – in molti casi hanno compromesso tutto: la terapia, la prognosi e, a volte, la stessa sopravvivenza del paziente», racconta un medico del pronto soccorso che ha preferito restare anonimo per non rischiare il licenziamento.
Un quadro allarmante che la Regione Lazio conosce bene ma su cui fatica a pubblicare dati ufficiali. Eppure, secondo la Delibera di Giunta Regionale 126/2024, per le strutture private accreditate che registrano oltre il 5 per cento di rientri è prevista una decurtazione fino al 10 per cento sul budget assegnato e del 50 per cento per il singolo ricovero che dalla casa di cura torna presso una struttura ospedaliera dotata di pronto soccorso. Una misura adottata dal governatore, a fronte del fenomeno sempre più strutturale dei reinvii. Tra le realtà più critiche, responsabili del maggior numero di pazienti reindirizzati ai Pronto Soccorso, spiccavano nel 2023 la clinica Fabia Mater, del gruppo Guarnieri, con il 12,1 per cento, Villa Domelia, con un tasso dell’8 per cento, il Policlinico Luigi Di Liegro (7,1 per cento) e Villa Gioia di Sora, che ha registrato un preoccupante 14,9 per cento. Sotto osservazione erano finite anche due cliniche del gruppo San Raffaele del deputato leghista Antonio Angelucci: quella di Roma, alla Pisana, con il 6,4 per cento dei rientri, e quella di Cassino, con il 7,9 per cento. Ma, nonostante Rocca abbia più volte ribadito la linea dura verso i reinvii, fino alla possibile revoca degli accreditamenti, alla nostra richiesta di informazioni – inviata via mail il 2 maggio scorso e seguita da ripetuti solleciti all’ufficio stampa del presidente e alle principali aziende sanitarie del Lazio, tra cui Asl Roma 1, Asl Roma 2, Policlinico Tor Vergata, Umberto I, ASL di Frosinone e Asl Roma 6 – nessuno ha risposto.
Successivamente, però, il presidente si è presentato alla trasmissione Report, dove ha parlato di un presunto abbattimento del fenomeno nel 2024 quantificato in un 2,23 per cento che corrisponderebbe a 513 reinvii. Ma i dati ministeriali Emur 2023/2024, raccontano altro. I pazienti rientrati nei Pronto Soccorso dalle strutture private accreditate sarebbero 715. Va precisato che la Regione ha calcolato la percentuale come media complessiva, includendo strutture che hanno registrato tassi di rientro anche vicini al 5 per cento. I nomi non vengono resi noti, e si parla genericamente di “motivi” non meglio chiariti per giustificare i reinvii. La regione sostiene che i pazienti trasferiti dal Pronto Soccorso alle case di cura siano diminuiti, passando da 24.802 nel 2023 a 22.960 nel 2024. Mentre i dati provenienti dal ministero di Orazio Schillaci segnalano per lo stesso anno 2024 un aumento: 25.728 trasferimenti da Ps verso strutture private accreditate. Infine la Regione, secondo i dati che siamo riusciti ad avere, mette in evidenza le decurtazioni sule tariffe riconosciute ai singoli ricoveri di pazienti rientrati negli ospedali pubblici da 25 case di cura accreditate. Tagli da 6.690 euro in una struttura, 1.945 in un’altra e 41.219 in un’altra ancora. Totale: poco più di 380mila euro. I nomi delle strutture? Tenuti riservati e l’eventuale revoca sparita dai radar.
Numeri su numeri che, oltre a sembrare non coincidere, secondo molti operatori sanitari sarebbero sottostimati. Un’anomalia forse dovuta a un sistema di tracciamento parziale: capita spesso che i pazienti rimandati in ospedale dalle case di cura non tornino al Pronto Soccorso di origine, ma in un altro. Una scelta forse non casuale che spezza di fatto quel filo che permetterebbe di monitorare la frequenza dei reinvii. Ma se è il 118 a decidere dove portare il paziente, com’è possibile che questo avvenga? A oggi, l’unica struttura ad aver risposto alla nostra richiesta di informazioni è il San Camillo di Roma, eccellenza della sanità laziale, guidato dal direttore generale Angelo Aliquò: «La direzione sanitaria mantiene un contatto diretto con le strutture a cui inviamo i pazienti. Proprio qualche settimana fa abbiamo proposto a una di queste di chiederci consulenze specialistiche prima di rimandare un paziente con il 118, perché una volta che arrivano in emergenza in Pronto Soccorso i pazienti restano esposti al rischio infettivo». Nel 2024, su 2.608 pazienti trasferiti alle case di cura accreditate, 117 (quasi il 5 per cento) sono tornati al San Camillo. Di questi, 12 nelle 72 ore. Ma i dati rappresentano solo una delle 34 strutture dotate di Pronto Soccorso nel Lazio.
Così, mentre i pazienti rientrano in emergenza e i soldi continuano a fluire verso i privati, il sistema Lazio si appresta a chiudere un’altra stagione con risultati “brillanti” ma non verificabili.