Innovazione
1 ottobre, 2025In Albania il primo esperimento amministrativo con delega esecutiva a una macchina. Servirà alla lotta alla corruzione. Analisi rapide e allarmi in linea con i protocolli dell’esecutivo. Presto per dire se funzionerà ma è un modo per piegare la burocrazia all’uso delle potenzialità delle nuove tecnologie
Nell’episodio When the yogurt took over della serie animata Love, Death & Robots, un semplice vasetto di yogurt diventa improvvisamente dotato di un’intelligenza superiore e comincia a proporre ai governi soluzioni perfette per risolvere i problemi dell’umanità. I politici, incapaci di gestire la logica inflessibile e l’efficienza glaciale di questa nuova creatura, finiscono per affidarsi a esso, fino al punto di lasciargli in mano il destino del mondo.
Era una parodia, un racconto surreale che ironizzava sul fallimento della politica e sulla nostra fiducia cieca nella tecnologia, ma la scorsa settimana la realtà ha fatto un passo verso quella distopia: l’Albania ha annunciato la nascita di un “ministro Ia”, il primo caso al mondo in cui un governo assegna formalmente a un’intelligenza artificiale un incarico ministeriale, seppur con competenze limitate.
Non parliamo di un’Agi (Artificial general intelligence) capace di ragionare come un essere umano né di un sistema che decide sull’economia o sulla politica estera.
Il nuovo ministro digitale ha un compito molto preciso: vigilare sugli appalti pubblici, analizzare i bandi, monitorare i contratti, segnalare anomalie e ridurre la possibilità di favoritismi o corruzione. In pratica, è stato progettato per inserire un livello di trasparenza automatica in un settore che, non solo in Albania ma in gran parte del mondo, è sinonimo di opacità e scandali.
Il governo albanese ha scelto di intervenire proprio qui perché gli appalti sono da decenni una delle aree più vulnerabili alla corruzione, e il premier Edi Rama non ha nascosto di voler trasformare il Paese in un laboratorio di innovazione amministrativa: piccolo, dinamico, disposto a sperimentare ciò che altri non osano.
L’annuncio ha subito sollevato reazioni contrastanti: da un lato l’entusiasmo di chi vede nella tecnologia un’arma contro inefficienza, dall’altro la preoccupazione di chi teme una pericolosa delega di responsabilità politiche a un algoritmo opaco, che per quanto “neutro” rimane programmato da qualcuno e quindi non esente da bias.
Ed è qui che il paragone con lo yogurt di Netflix si fa meno assurdo: se un software è più efficiente dei ministri in carne e ossa, se non ha ego né interessi personali, se applica le regole in modo impersonale, allora perché non pensare che in futuro altre funzioni della vita pubblica possano passare a sistemi artificiali?
La politica contemporanea si mostra spesso incapace di gestire perfino i dossier più semplici: infrastrutture ferme da decenni, riforme annunciate e mai realizzate, burocrazie che divorano tempo e risorse. I cittadini vedono governi bloccati da faide interne, narcisismi personali, calcoli elettorali che prevalgono sul bene comune.
In questo scenario, l’idea che un’Ia possa “fare il ministro” non appare più un esercizio di fantascienza, ma una provocazione concreta.
Naturalmente i limiti vanno chiariti: l’Ia albanese non legifera, non decide priorità politiche, non interpreta la volontà popolare. È un controllore dei processi, non un sostituto della politica, ma proprio per questo diventa un simbolo: laddove la politica fallisce sistematicamente, ci si affida a una macchina.
In Europa già si discute di come introdurre l’intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione, ma finora si è parlato solo di strumenti di supporto: chatbot, archivi digitali, software per velocizzare le pratiche.
L’Albania ha fatto un salto ulteriore, trasformando la tecnologia in un attore istituzionale. È un passo piccolo, ma apre un solco: se domani altri governi decidessero di affidare alle macchine la gestione delle tasse, dei registri giudiziari o delle politiche sanitarie, sarebbe difficile opporsi con argomenti che non suonino come difesa corporativa di una casta politica in crisi di legittimità.
La verità è che l’esperimento albanese fotografa una contraddizione che riguarda tutti: da un lato temiamo che la tecnologia ci privi del controllo democratico, dall’altro sappiamo che i governi attuali sono spesso incapaci di risolvere anche le questioni più elementari.
E allora la domanda diventa inevitabile: è davvero impensabile che, almeno per alcune aree della vita pubblica, a decidere sia un’intelligenza artificiale invece di ministri gonfi di ego? Forse lo yogurt che prende in mano il mondo resterà per sempre una satira animata, ma il confine tra parodia e realtà si è fatto improvvisamente più sottile.
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