Innovazione
2 ottobre, 2025La crisi sta colpendo il settore automotive europeo che potrebbe, a sorpresa, virare verso l’aerospazio. Con Gianmarco Giorda di Anfia alla scoperta di una soluzione possibile, non radicale ma mirata, per risollevare l’industria automobilistica italiana, che continua a perdere mercato
Diversificazione è la parola d’ordine. I settori produttivi risentono degli “scossoni” geopolitici internazionali e non fa eccezione l’automotive, interessato da un’intensa fase di flessione. Con livelli di produzione in drastico calo - in Italia quest’anno si toccherà il minimo storico degli ultimi 50 anni - e soli 450mila veicoli da produrre in un anno.
E per quanti non guardano con angoscia al problema, ma cercano intanto una soluzione, ecco che si prospetta all’orizzonte un possibile sbocco nel settore aerospaziale. Il tracciato non è quello di una trasformazione radicale, ma si pensi piuttosto a una diversificazione mirata e basata su sinergie tecnologiche. L’Espresso ne ha parlato con Gianmarco Giorda, direttore generale Anfia – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica – sottolineando i punti di contatto, i rischi e le condizioni necessarie affinché il crossover tra i due settori non resti un’illusione.
“La crisi sta colpendo il settore automotive a livello europeo e dal 2019 abbiamo perso 3milioni e mezzo di veicoli e prodotti venduti”, sottolinea Giorda, che spiega: “La produzione si è ridotta e c'è un problema che riguarda la domanda: il mercato ha avuto un calo del 20% e l'Europa è l'unica regione a livello mondiale dove sostanzialmente non si sono recuperati i livelli pre Covid”. Per guardare alle cifre da un’altra prospettiva, tre milioni e mezzo di veicoli prodotti in meno significa, ci dice l’esperto, a “circa una quindicina di stabilimenti che teoricamente sono in eccesso a livello di footprint europeo, un trend che sta erodendo la competitività del settore dei componenti che, pur con una forte propensione all’export – pari a circa il 50 % del fatturato - soffre per la contrazione dei volumi interni”. In questo contesto, l’ingresso in mercati ad alto contenuto tecnologico come quello della difesa o dello Spazio diventa un’opzione strategica non solo per crescere, ma anche per ‘sopravvivere’.
Ci sono anche delle aziende pioniere in Italia, che “già tanti anni fa hanno guardato a questo settore con interesse” racconta Giorda, parlando di “volumi e con una percentuale di fatturato non significativo ma comunque che permetta di lavorare non solo sulle automotive”. Un esempio su tutti è Dallara, l’azienda conosciuta nell’ambito delle auto da corsa che dal 2020 ha avviato una proficua collaborazione con SpaceX, in particolare per la realizzazione di alcuni elementi della Crew Dragon.
Giorda però è chiaro: “Non è in atto una migrazione, o una conversione dell’intero settore. Sempre più aziende automotive stanno guardando con interesse a questa opportunità e sempre più aziende dell'aerospazio – italiane ma anche straniere - investigano possibili nuovi fornitori nell'ambito automotive, per provare a ridurre le catene di fornitura e gestire il rischio geopolitico accorciando le filiere”. In generale questa convergenza fra i due settori nasce da alcune tangenze: l’ambito dell’alta tecnologia, le forti componenti legate alla sicurezza e l’importanza della certificazione e dei processi normativi. Ci sono poi anche delle aree di prossimità geografica – pensiamo alla Basilicata che ospita gli stabilimenti di Stellantis a Melfi e la sede ASI di Matera - che potrebbero facilitare i processi di conversione e, come sottolinea l’esperto: “ci sono diversi cluster aerospazio in Italia che in qualche modo sono anche sovrapponibili con cluster dell'automotive, anche in Piemonte piuttosto che nel Lazio, sicuramente questo è un dato importante da sottolineare”.
Le aziende da sole, però, potrebbero aver bisogno di un maggior supporto nell’indagare le opportunità connesse a questo cambio di prospettiva e di ambito produttivo. In questo senso, spiega Giorda: “Come Confindustria, insieme anche all'associazione che rappresenta il settore aerospaziale, stiamo valutando di strutturare una piattaforma di matchmaking organica dove raccogliere le esigenze delle aziende aerospaziali in termini di nuove forniture, nuove componenti e soluzioni e cercare di metterle in contatto con quello che ha da offrire la nostra componentistica, perlomeno quella componentistica che è interessata appunto a diversificare in altri settori”.
Nelle collaborazioni con difesa e space, è possibile realizzare “carry over” di competenze: tecniche di ingegneria, materiali, sistemi di controllo sviluppati in un settore possono essere applicati dall’uno all’altro ambito, alimentando un circolo virtuoso.
Ma al contempo, occorre evitare illusioni. Il direttore di Anfia mette in guardia dalle interpretazioni troppo semplicistiche dell’“auto che si trasforma in Spazio”. E spiega come “l’automotive resta il cuore dell’attività, mentre lo spazio dovrebbe costituire una quota secondaria del fatturato, dell’ordine del 5-10 %. La narrativa di una riconversione massiccia di migliaia di aziende e decine di migliaia di addetti dell’auto in fornitori aerospaziali è una semplificazione fuorviante”.
E non esistono scorciatoie: l’accesso al comparto aerospaziale e difesa pone sfide che vanno ben oltre la tecnologia. I lotti di produzione sono più contenuti: un fornitore dell’auto può produrre centinaia di migliaia di pezzi, mentre nel settore Spazio i numeri si riducono di un fattore medio di 1 a 1.000.
I tempi di sviluppo sono poi molto più lunghi. Mentre un nuovo modello auto può essere lanciato nell’arco di due anni - in alcuni Paesi asiatici si tenta di comprimere questo ciclo a diciotto mesi - nei settori spazio e difesa i tempi si dilatano: studi, test, simulazioni, certificazioni richiedono anni. Ciò impone alle imprese di dotarsi di struttura finanziaria, liquidità e pianificazione a medio-lungo termine. Le risorse vanno allocate in anticipo, senza poter contare su ricavi rapidi.
Nel mondo spaziale prevale poi la customizzazione: ogni missione può richiedere specifiche uniche, ogni commessa ha condizioni proprie. Le aziende devono imparare a gestire questa complessità, adattando non solo il prodotto ma anche i processi e le relazioni con il cliente.
Infine, la necessità di certificazioni specifiche può rappresentare un ostacolo non banale. Le imprese dell’auto possono avere familiarità con requisiti rigorosi di processo e qualità, ma l’ottenimento delle certificazioni ISO 9100 (tipica dell’aerospaziale) o altre normative militari richiede investimenti e tempo. È fondamentale, come sottolinea Giorda, che le aziende siano consapevoli di questi vincoli fin dall’inizio del percorso di diversificazione.
Il mercato auto italiano, in profonda difficoltà per perdita di volumi e saturazione normativa, spinge verso l’esplorazione di nuovi modelli di business. Ma chi decide di guardare verso lo spazio deve farlo con i piedi per terra: occorrono chiarezza, investimenti, cultura finanziaria e strutture solide. Solo così il salto può trasformarsi da sogno in realtà concreta.
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