Simpatico, il cane robot della cinese Unitree. Economico, pure: 1.600 dollari. Può controllare le coltivazioni e la salute delle piante. Sorvegliare magazzini ed esplorare miniere. Persino andare alla ricerca di persone scomparse. Un po’ meno simpatico appare in un video sulle recenti esercitazioni militari congiunte tra Cina e Cambogia: gli hanno montato sopra un mitra. Unitree ha anche un robot umanoide, il più economico al mondo (e uno dei pochi robot di questo tipo in vendita): parte da 16mila euro. Agile e flessibile, può lavorare al fianco di umani, senza pericoli per loro, in fabbriche, ospedali, alberghi e non solo.
"Il 2025 è l’anno della convergenza tra robotica e intelligenza artificiale. Noi italiani eravamo leader nella robotica ma ora, privi di una vera politica industriale governativa, ci candidiamo a perdere anche quest’eccellenza a favore della Cina", accusa Marco Bentivogli, attivista e sindacalista tra i massimi esperti di innovazione in fabbrica. "A fine marzo i robot cinesi dotati di intelligenza artificiale erano in grande spolvero, allo Zgc Forum, organizzato dallo Stato a Pechino", aggiunge Gabriele Iuvinale, avvocato esperto di affari cinesi presso la società di intelligence Extrema Ratio. Non c’era solo il loro campione nazionale Unitree. «Nel settore della vendita al dettaglio e della ristorazione, l’azienda di robotica Galbot di Pechino ha stretto una partnership con la startup di tecnologia delle bevande Haoyin Technology per gestire un bar all’interno dello Zgc Forum, con il robot G1 che raccoglieva gli ordini, preparava il caffè e lo consegnava ai clienti».
L’agenda annuale di Pechino (il più importante meeting politico del Paese) a marzo, per la prima volta nella storia, ha fatto riferimento a robot intelligenti (ossia con Ia). Ben più evoluti dei classici robot – stupidi e per niente simili a umani o cani – che finora hanno popolato (anche da noi) fabbriche e magazzini. Il governo ha dichiarato di volere rendere la Cina il leader mondiale nella produzione di robot umanoidi entro il 2027. È una priorità per un nuovo fondo statale di investimento da 138 miliardi di dollari, che incoraggia gli investitori e le aziende del settore privato a puntare su questo settore. In più il mese scorso, Pechino ha annunciato un fondo di 13 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Ia e della robotica. Senza contare i fondi simili lanciati da città e province cinesi. Questo sostegno governativo ha trasformato la Cina nell’ultimo decennio in un centro mondiale dell’industria robotica e ha permesso alle aziende cinesi di competere con quelle statunitensi come Boston Dynamics e Tesla Optimus.
Alla fine dello scorso anno erano quasi mezzo milione le aziende di robot intelligenti registrate a Pechino – più del triplo rispetto al 2020 – con un capitale complessivo di oltre 888 miliardi di dollari. La Cina sta così riuscendo a fare robot intelligenti di massa a un prezzo molto basso. Il concorrente più vicino, Boston Dynamics, vende il proprio robot umanoide a 75mila dollari. Si prepara a offrirne uno anche Tesla, di Elon Musk, l’uomo più ricco al mondo; ma potrà scendere a un minimo di 20mila dollari solo se raggiungerà sufficienti economie di scala, stima la banca d’affari Morgan Stanley. «Gli americani ci hanno stupito per anni con i cani e gli umanoidi Boston Dynamics che saltano e corrono; ma ora i cinesi sembrano decisamente pronti a rendere accessibile la tecnologia a tutti», dice Antonio Cisternino, ricercatore presso il dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa. Gli Usa possono viverla come uno smacco sul fronte dell’innovazione globale. E come una minaccia militare: anche le loro aziende di robot intelligenti collaborano con l’esercito, a conferma che prossimi conflitti potranno essere combattuti anche con questi strumenti.
Per l’Europa, Italia e Germania in primis – potenze manifatturiere – è invece soprattutto un problema di guerra commerciale e industriale. La Cina si appresta a usare i robot per abbattere i costi del lavoro in fabbrica e quindi per essere più competitiva in mercati vitali per la nostra economia. Per di più, di fronte alla minaccia, ora l’Italia dorme: "Abbiamo venduto la nostra eccellenza di robotica Comau a un fondo Usa. Non meglio ha fatto la Germania vendendo Kuka alla Cina. In entrambi i casi nel silenzio totale", si lamenta Bentivogli. "In più, gli attuali piani italiani di innovazione industriale, Industria 4.0 e Transizione 5.0, sono troppo deboli".
"Ha ragione Bentivogli, ma la nostra specificità italiana può essere ancora salvata", aggiunge Domenico Appendino, presidente di Siri, associazione dei produttori italiani di robot. "Siamo forti non nel produrre le macchine, i robot, ma nel “vestirli” adattandoli in chiave applicativa finale. Potremmo fare così anche con i robot intelligenti", continua.
Ci sono speranze per l’Italia anche secondo Daniele Pucci, dell’istituto italiano per la tecnologia, che su robot con Ia sta lavorando a livello di ricerca; riconosce però che "a mancare è una strategia politica. E strumenti che incoraggino i grandi investimenti necessari per sostenere questo tipo di prodotti". Il suo stesso istituto proverà a colmare una lacuna nazionale lanciando uno spin-off nel 2025, con tutti i frutti della ricerca fatta finora. Obiettivo: ottenere dal mercato gli investimenti che servono per lanciare robot intelligenti italiani. Chissà, forse a quel punto anche la politica si sveglierà. Pur sempre con il rischio che sia troppo tardi: quando ormai ci troveremo circondati, nelle strade, fabbriche e bar, da un esercito di robot cinesi low cost.