Cina-Usa, la guerra dei dazi e le ricadute sul lusso europeo - Colloquio con Annamaria Tartaglia

La guerra commerciale ora tocca ambiti che sembravano inviolabili, come il settore del luxury. La risposta di Pechino è arrivata su un fronte del tutto inatteso, che potrebbe portare conseguenze anche all’Europa, e su TikTok impazza l’attacco social al mito del lusso occidentale

Credi ancora alle favole? Perché certe narrazioni sono fantasiose come le più incredibili storie fantastiche. “Costa 38.000 dollari, te la vendo a 1.400”. Sembra impossibile ma è questa la politica di "direct sale" promossa da diversi video virali: un produttore cinese in una fabbrica, mostra una Birkin di Hermès senza logo ma – si dice nel video – originale per materiali e fattura. Il costo di produzione si attesa sui 1.400 dollari, nei negozi ufficiali è in vendita con un "ricarico" pari a circa il 90% che, spiega il produttore, è destinato a pagare non la qualità, ma il logo. E qui parte all’attacco: la borsa viene messa in vendita al prezzo di costo, unbranded ma è la stessa identica borsa. “E non è vero, perché si tratta chiaramente di un falso”, dichiara a L’Espresso Annamaria Tartaglia, Ceo di TheBrandSitter, founder di Angels4Women con una lunga carriera nel marketing e comunicazione di aziende del settore luxury.

L'inganno svelato

Hermès non ha contoterzisti” continua Tartaglia “e questa è una cosa fondamentale da chiarire. In Cina, certo, trovi copie praticamente perfette. Ma questo non significa che provengano dalla stessa filiera produttiva dei brand originali”. L’inganno è presto svelato. Anche se l’azienda, pare, non abbia risposto ufficialmente alla ‘provocazione’ cinese, resta il fatto che, come sottolinea l’esperta, “Hermès ha la filiera completamente integrata. Parliamo di produzione esclusiva e controllata, situata tra Francia e Italia”. Basta andare sul sito ufficiale della Maison francese, nella sezione ‘Investor’, e leggere il bilancio: “Lì trovi elencati tutti i siti produttivi” dice Tartaglia, che sottolinea “non c’è traccia della Cina. E lo stesso vale per altri grandi marchi del lusso come Chanel, Louis Vuitton e Dior. La pelletteria non viene realizzata fuori dall’Europa, anche per motivi di approvvigionamento: le concerie specializzate che forniscono le pelli sono europee, e spesso di proprietà degli stessi brand”. 

Filiera europea

Non è quindi una mera questione ‘etica’ o di ‘marchio’, qui parliamo di una filiera esclusivamente europea che significa controllo sulla materia prima e sul processo produttivo. “Esattamente” continua la ceo di TheBrandSitter., e aggiunge “Hermès, ad esempio, forma i propri artigiani nelle sue scuole interne. Ogni borsa è realizzata da un solo artigiano, dall’inizio alla fine. Ogni pezzo ha un numero di serie tracciabile. È impossibile replicare questo sistema all’estero, soprattutto in Cina”. L’azienda, dicevamo, non ha risposto direttamente ma ha risposto con i fatti. “Il 22 aprile è stata annunciata l’apertura di un nuovo sito produttivo a Colombelles, in Normandia. Un messaggio molto chiaro: Hermès continua a investire nella sua capacità produttiva interna, nel lavoro locale, nella formazione artigianale”. Altro che contoterzisti in Cina. Eppure quei video sono diventati virali. Sarà perché la filiera del lusso resta appannaggio per pochi, e si pensa ancora che tutto venga prodotto in Cina. Con video come quelli “si diffonde una percezione falsa e deviante per i consumatori” chiarisce l’esperta. “In realtà molti cinesi sanno benissimo che quei prodotti sono falsi. È per questo che vengono a comprarli direttamente in Italia, o nei flagship store” E’ come dire che in Cina, quindi, neanche i cinesi si fidano dei propri marketplace non ufficiali.

Lusso e blockchain

C’è poi il tema della tracciabilità. Due anni fa si cominciava a parlare di Nft e blockchain e, come conferma Annamaria Tartaglia, si sta andando in quella direzione. “Aura Blockchain consortium – di cui fanno parte anche i grandi gruppi del settore – sta lavorando proprio per garantire la tracciabilità e l’autenticità dei brand di lusso tramite sistemi blockchain, nell’interesse dei brand soprattutto ora che il mercato dei falsi diventa sempre più sofisticato”. C’è quindi una strategia diversa dietro questo attacco dei produttori – di falsi – cinesi. 

Persi 50 milioni di clienti

“È una risposta alla trasformazione del mercato”. La ricerca Luxury Monitor condotto dall'istituto Altagamma e la società di consulenza Bain & Company risulta che “negli ultimi due anni il lusso ha perso 50 milioni di clienti nel mondo”. Il settore spinge sempre più in alto, nei prezzi e nella qualità, restringendo la fascia dei consumatori. “Quelli che restano fuori, cioè la classe media aspirazionale – soprattutto in Cina – non potendo più permettersi il prodotto autentico, cerca un’alternativa. E così nasce un business parallelo: borse false vendute a 1.400€, che però non hanno nulla a che vedere con l’originale”.

Falso col sovrapprezzo

Ed è qui si sfiora il paradosso perché, come sottolinea l’esperta: “Considera che produrre una di quelle borse in Cina può costare al massimo 100€. Quindi applicano un mark-up che, in alcuni casi, è addirittura più alto di quello dei brand ufficiali. E in più non offrono la qualità, la filiera, il design, il valore storico, niente. È un falso con sovrapprezzo”. E non è solo una questione di logo ma il valore è nell’intero processo: pelle certificata, lavorazione, tracciabilità. “Se una borsa non ha numero di serie, non è tracciabile. E quindi non è vera, punto”.

I casi in Italia

Il clamore riscosso da questa campagna denigratoria, che nasceva a margine dei dazi imposti da Trump e sfociava in un attacco diretto al lusso europeo, si spiega quindi con la scarsa conoscenza del funzionamento della filiera del lusso. In Italia è pure già successo, come negli scandali con Gucci, Bottega Veneta o Moncler, ma in quei casi si trattava di subappalti interni in Italia, dove i fornitori a loro volta subappaltavano a manodopera cinese sottopagata, in zone come Scandicci. Ma erano comunque lavorazioni tracciate, con materiali forniti dai brand, e sottoposte a controllo. “Questi grandi marchi non produrranno mai in Cina: non potrebbero garantire né la qualità né il controllo. Ed è da qui che bisogna partire per smontare tutta la narrazione falsa”. Parola di esperta.


 

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