Innovazione
24 luglio, 2025Mentre sei lì che scorri la tua bacheca per leggere un po' di novità, ecco che Facebook ti interrompe con una schermata gentile ma non troppo: “Controlla se possiamo trattare i tuoi dati per le inserzioni”
Nel popup che compare a chi si collega da oggi a Facebook si legge: “In precedenza, ti abbiamo chiesto il consenso al trattamento dei tuoi dati personali per le inserzioni personalizzate”. E non è finita, perché la palla viene rimandata nel campo avversario: “Nell'ambito delle leggi nella tua area geografica, ti invitiamo a rivedere la tua scelta relativa alle inserzioni”, come per dire: "Non prendertela con noi, è colpa di chi fa le leggi".
E allora provi ad andare avanti, e scopri di avere la possibilità di scegliere “come continuare a usare Facebook”. L’utente può infatti scegliere fra due opzioni: sottoscrivere un abbonamento “a partire dal 7,99 euro al mese”, oppure continuare a usare il social senza costi aggiuntivi, ma previa autorizzazione al trattamento dei dati per le inserzioni. La buona notizia è che il costo potrebbe essere complessivo per tutti gli account del singolo soggetto. E poi la cattiveria finale: “Se non desideri fare questa scelta, puoi scaricare le tue informazioni e abbandonare i nostri servizi”. Quasi vent’anni di vita digitale da mettere da qualche parte, su un cloud o un hard disk esterno, per riguardarla di tanto in tanto come si fa con i vecchi album di foto.
La novità riguarda anche Instagram, dove pure la navigazione viene “sospesa” in attesa di una decisione dell’utente: paghi o dai libero accesso ai tuoi dati per la profilazione utente.
Questo provvedimento viene annunciato da Meta come conseguenza diretta delle pressioni normative attuate in Europa da parte delle autorità per la protezione dei dati personali e della Commissione Europea. Meta ha deciso di adeguarsi – in questa maniera che lascia un po' interdetti gli utenti - alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e ai vincoli imposti dal nuovo Digital Markets Act offrendo un’opzione che, almeno formalmente, garantisca il consenso libero. Agli utenti viene proposto un inedito modello “consenti o paga”, che ha già subito una serie di modifiche nel tentativo di essere il meno coercitivo possibile e conforme ai dettami del Gdpr.
Meta è proprio convinta che questa sia una scelta pienamente legittima. “Riteniamo che il nostro approccio equilibri adeguatamente il diritto alla privacy con la possibilità di continuare a offrire servizi gratuiti finanziati dalla pubblicità”, dice la nota ufficiale. Ma già esperti e associazioni per i diritti digitali hanno denunciato il modello come una forma mascherata di ricatto: il diritto alla protezione dei dati personali è sacrosanto e innegabile, ma per esercitarlo si è costretti a pagare. Alzi la mano chi trova che questo sia un po' un controsenso rispetto all’idea di “consenso libero”.
Se il “problema da risolvere” è solo europeo, perché Meta ha annunciato di voler estendere il modello “consenti o paga” anche agli utenti britannici? Questo farebbe pensare più a una scelta che apre all’espansione di questa strategia anche fuori dall’Unione europea. Sottile ma necessaria questa riflessione, perché il dubbio è che non si tratti di una misura temporanea di adeguamento alle normative europee, ma piuttosto di una strategia potenzialmente globale per ripensare l’interazione con gli utenti.
E chissà cosa sceglierà di fare la maggioranza del popolo di Facebook (e Instagram), se accettare di essere osservati in ogni interazione per continuare a usare gratuitamente i servizi, oppure pagare per liberarsi dalla sorveglianza pubblicitaria. Qualcuno lo considera un passo avanti verso una maggiore trasparenza. Altri lo interpretano come un inquietante precedente che potrebbe trasformare la privacy in un lusso accessibile a pochi.
C’è comunque un prima e un dopo nel mondo dei social network, che da oggi non sarà più lo stesso. E quella finestra che si apre su Facebook e Instagram, con la richiesta di scegliere tra dati e denaro, potrebbe segnare l’inizio di una nuova epoca nel rapporto tra utenti e piattaforme.
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