I giudici non hanno guardato in faccia la realtà delle nuove mafie perché il gruppo che ruotava attorno al Cecato non usava il tritolo o le teste di capra mozzate ma ha adattato i metodi della criminalità organizzata ai tempi attuali

30COP-jpg
I giudici hanno stabilito che Massimo Carminati, il “vecchio fascista” dei Nar, è anche un “delinquente abituale”. Non è un mafioso, hanno deciso i magistrati: è il capo di una organizzazione criminale “semplice” che tuttavia assomma in sé un potere di violenza intimidatoria che parte dalla banda della Magliana, o addirittura da prima, e si è tramandata parlando romanesco. Il che forse non ha lo stesso impatto mediatico e giudiziario del dialetto siciliano o di quello calabrese, che fanno invece pensare subito alla mafia. Anche quando questa non c’è.

A Roma tutti sanno da sempre chi è Carminati. Nonostante ciò, è riuscito negli anni a intessere rapporti con esponenti significativi della politica e della pubblica amministrazione, prima che arrivassero i magistrati con le loro intercettazioni e le indagini dei carabinieri del Ros. La sentenza emessa dal collegio del tribunale di Roma (dopo quasi due anni di dibattimento e solo tre ore e mezza di camera di consiglio) esclude l’associazione mafiosa eppure infligge pene pesantissime. Spiega che c’erano due «bracci» dell’organizzazione: il primo squisitamente di violenza militare, che faceva capo a Riccardo Brugia, anche lui condannato, amico e fedele camerata di Carminati; il secondo era costituito da una serie di imprenditori (fra cui il “compagno” Salvatore Buzzi) che costituivano lo strumento essenziale per arricchire l’organizzazione. Accanto a tutto questo emerge prepotente il fenomeno della corruzione, affinché appalti e servizi venissero affidati agli imprenditori vicini al clan, mentre la concorrenza era scoraggiata con i modi, ben conosciuti, di Carminati e Brugia. Lavori che venivano affidati soprattutto alle cooperative di Buzzi, di cui l’ex Nar era socio occulto.
[[ge:rep-locali:espresso:285285885]]
I fatti documentati dai magistrati della procura durante il dibattimento attraverso le intercettazioni audio, i filmati e le testimonianze delle vittime sono inconfutabili e raccontano un sistema. Che non è uguale, certo, a quello di Cosa nostra o della ’ndrangheta: il confronto con le vecchie forme di criminalità organizzata non può reggere. Oggi le mafie hanno cambiato pelle e atteggiamento. Adesso, a differenza di tanti anni fa, occorre un’ottica diversa per riconoscere l’associazione mafiosa.
[[ge:rep-locali:espresso:285286092]]
I fatti criminali che sono stati portati in aula non potranno mai essere cancellati dalla storia politica ed economica della Capitale. La violenza e la corruzione rimarranno impresse sulla pelle di questa città. Per arrivare a sconfiggere associazioni criminali “semplici” come questa di Carminati è essenziale che i cittadini non cedano ai calcoli di convenienza.

Editoriale
Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia
20/7/2017
Scrive Giuseppe Pignatone, procuratore di Roma, nell’introduzione di un libro di Michele Prestipino: «Ormai da anni le organizzazioni mafiose cercano di evitare atti violenti eclatanti, consapevoli che questi allarmano l’opinione pubblica e attirano l’attenzione di polizia e magistratura. Meglio ricorrere alla corruzione che non è di per sé rivelatrice della presenza mafiosa e che, però, favorisce quella mescolanza fra mondo mafioso e mondo “altro” che, come ben sapeva Provenzano, è alla base della forza delle mafie».

Reazioni
Mafia capitale, l'esultanza bipartisan della politica: "A Roma solo criminalità comune"
21/7/2017
Tra Roma e la Sicilia o la Calabria le differenze sono profonde, anche in termini di bombe, morti e simboli: alle municipalizzate Ama o Atac non sono state trovate teste di capretto mozzate, né è stato usato il tritolo nella sede delle cooperative che hanno preso appalti dal Comune. A Palermo c’era Vito Ciancimino con i suoi assessori complici del malaffare organizzato, a Roma ci sono stati consiglieri comunali e regionali indagati per collusione “semplice”. Restano, fortissime, le denunce delle vittime, la paura dei loro familiari - alcuni dei quali sentiti anche in aula - e il terrore degli imprenditori minacciati o dei politici che hanno assecondato gli interessi di quella rete. La società civile, come pure la politica, non deve dimenticarli.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso