Eppure dovremmo aver imparato, grazie a secoli di letteratura, che dividere il mondo in due opposti invocando il sangue dell’uno o dell’altro significa dimenticare non solo che esiste l’ormai dileggiata complessità, ma che esistono le posizioni tacitate (quelle degli uomini e delle donne di pace, per esempio), ed esistono anche, in ognuno, le luci e le ombre.
Ce lo ha insegnato fra gli altri il professor Tolkien, facendo soccombere il gentile Frodo al potere dell’anello e, prima ancora, cambiando senso a un aggettivo del poema La battaglia di Maldon, dove si narra del conte inglese Byrthnoth che nel 991 manda a morire i suoi uomini «for his ofermod». «Audacia», si era tradotto fino a Tolkien. «Smisurato orgoglio», corresse il professore.
Ciò che causa morte si deve a questo, e dimenticarlo, trasformando ogni discussione in tifoseria (da entrambe le parti, se di parti si deve parlare) per il nostro smisurato orgoglio, significa vanificare ogni possibilità di confronto politico, culturale e sociale: nei fatti, ormai guardiamo la televisione per sapere chi vince nei dibattiti, non per capire qualcosa di quel che avviene intorno a noi.I passi indietro della settimana sono due. Intanto, la sconcertante decisione della Buchmesse di Francoforte di cancellare l’assegnazione del Literaturpreis alla scrittrice palestinese Adania Shibli, autrice del romanzo Un dettaglio minore, dove si narra un fatto vero del 1949, ovvero lo stupro e l’omicidio di una ragazza beduina da parte di soldati israeliani. Cancellare il premio non significa cancellare quella morte, così come non cancellerà la mostruosità compiuta da Hamas negli ultimi giorni. Azzerare le storie non riscrive la Storia.
Eppure, è quanto viene fatto, in una follia di ripolarizzazione non dissimile da quella che, nel primo periodo dell’invasione russa in Ucraina, portò solerti funzionari dell’Università Bicocca ad annullare le lezioni su Dostoevskij e altre istituzioni a togliere concerti dal cartellone o a evitare la partecipazione russa a festival e manifestazioni. Come se l’azione di un dittatore o di un gruppo terroristico dovesse trascinare con sé lo stigma per gli artisti passati e presenti. Come se l’Italia fosse raccontabile con quella P38 adagiata su un piatto di spaghetti con cui la bollò Der Spiegel nel 1977.
Il secondo caso è quello di Patrick Zaki, l’attivista egiziano incarcerato, condannato e poi graziato per reati d’opinione, che ha definito serial killer il premier israeliano Netanyahu per l’attacco ai civili di Gaza. Su Zaki è caduta la mannaia dei rifiuti e degli insulti: via dai festival e dagli incontri, via dalla televisione, giornali serissimi che gli danno del cretino e commentatori meno seri che lamentano di aver «sprecato tempo» a battersi per i suoi diritti. Tifoseria, appunto. Allora, la cosa preziosa, quella che ci insegna a immaginare possibilità negate, è il più antico poema epico della letteratura europea e mediterranea, l’Iliade, che termina con due nemici acerrimi che piangono insieme il figlio e il compagno. Ed è dalle lacrime congiunte di Achille e Priamo che la Buchmesse dovrebbe trarre tesoro, e capire che dobbiamo conoscere tutte le storie, perché ci consegnano, secolo dopo secolo, quello che non abbiamo neppure il coraggio di sognare perché lo riteniamo impossibile.