Le “nuove indicazioni” per le elementari riportano indietro di 50 anni l’istruzione. Con una ricetta tutta a base di patria e nozionismo

Immaginiamo che a Guglielmo da Baskerville, il sapiente protagonista de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, venga chiesto se è vero che «solo l’Occidente conosce la Storia», come si afferma nelle Nuove Indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di Istruzione. La domanda andrà naturalmente corredata da una precisazione per non incorrere nell’ira di Ernesto Galli della Loggia, che sul Corriere della Sera del 25 marzo ha detto, non senza anatemi verso “la miseria del nostro ceto intellettuale”, che la frase con cui si apre la parte del documento dedicata allo studio della Storia va intesa così: «Solo in quell’area geo-storica che si chiama Occidente la conoscenza dei fatti storici e la riflessione su di essi — alimentata dal pensiero greco-romano e dal messaggio cristiano — ha dato vita a una dimensione culturale particolarissima nella quale il realismo analitico più crudo si è mischiato al profetismo sociale più estremo».

Alla fine della prima riga Guglielmo si sarebbe tolto gli occhiali sbuffando e, cercando di essere paziente, avrebbe snocciolato una serie di nomi, chiamando a convegno i cinesi Sima Qian, autore di Shiji o Memorie Storiche, Ban Gu e sua sorella Ban Gao, cui dobbiamo molto di quanto sappiamo della Cina antica, gli storici arabi Ibn Ishaq e poi Ibn Khaldun la cui “Muqaddimah” (Introduzione alla Storia Universale) è considerata una delle opere maggiori della storiografia tutta (vi si parla persino di asabiyya, o solidarietà sociale). Guglielmo avrebbe proseguito ricordando le rivoluzioni orientali che secondo Della Loggia non sono paragonabili a quelle occidentali e sempre pazientemente, ma sbuffando come un mantice, avrebbe citato la rivolta cinese dei Taiping del 1850 che rovesciò la dinastia Qing e almeno la Restaurazione Meiji che segnò la fine del feudalesimo giapponese. Infine, esausto, avrebbe riferito quello che ha scritto recentemente Franco Berardi (sì, Guglielmo conosce anche Bifo): «lo sanno tutti che la nozione di storia come processo teleologico e direzionato discende dalla tradizione giudeo-cristiana. Ma nella tradizione cinese lo svolgersi del tempo si compie secondo modalità che non sono teleologiche né lineari e l’agire volto a sottomettere gli eventi e la natura può essere sostituito dal wu wei, il non agire che si piega agli eventi e alla natura». A quel punto Adso lo avrebbe portato via per evitare che desse, con ragione, in escandescenze.

 

La premessa sull’insegnamento della Storia è lunga ma necessaria, perché rispecchia l’intero impianto delle Indicazioni, fondate sulla visione dell’Europa portatrice di “centralità culturale”, grazie alla quale «la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo». A questo punto si dovrebbe evocare il fantasma di uno dei padri dell’antropologia culturale, Alfred Kroeber, e fare tutto il possibile per placarlo: perché, come hanno notato non pochi antropologi, tra cui Marco Aime e Adriano Favole, questo passaggio sembra l’esaltazione del dominio intellettuale «su un mondo non occidentale inferiore, incapace, meno consapevole di sé e della propria Storia». Qualcosa che doveva essere stato superato già da mezzo secolo almeno.

Spira, insomma, il vento del passatismo nelle Indicazioni, e non solo perché invitano a imparare a memoria le poesie di Saba e Gozzano «perché se ne apprezzino il ritmo, la musicalità», e neanche perché fra i supporti dello studio della Storia passano testi che riportano agli anni Sessanta, da “La piccola vedetta lombarda” a “Gli incarcerati dello Spielberg” (sperando che venga risparmiato ai bambini e alle bambine di oggi l’episodio della rosa che Maroncelli dona al chirurgo che gli ha amputato la gamba). E non è neanche per l’invito a leggere la Bibbia, che pure qualche problema dovrebbe porre a una scuola laica (non oso dire inclusiva per non scatenare il finimondo tra i banchi della Lega). È che prefigura davvero un ritorno al passato del nozionismo, dell’autoritarismo (che è altra cosa da autorevolezza) e, giusto, del decoro.

Perché già nelle premesse, a fronte dei problemi annosi degli edifici scolastici italiani (per tacere del corpo docente), si ammonisce che “dileggiare una scuola, sporcarne le pareti, distruggerne gli arredi, offendere un insegnante, non sono solo azioni eticamente riprovevoli, da condannare e stigmatizzare anche con la richiesta di risponderne da parte delle famiglie, ma sono i segni preoccupanti di un cedimento valoriale del rispetto e della fiducia dovuti all’istituzione culturale più importante del nostro Paese. Così come maxima debetur puero reverentia è anche: maxima debetur magistro reverentia”. Meglio non evocare il fantasma del filosofo e pedagogo progressista John Dewey perché non si limiterebbe a scoppiare in lacrime. A ragione: perché il principio di autorità che serpeggia nelle indicazioni è l’esatto contrario dell’educazione alla partecipazione attiva. A meno che per partecipazione attiva non si intenda la “competenza imprenditoriale” che deve essere acquisita nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo (“misurarsi con le novità e gli imprevisti, orientare le proprie scelte in modo consapevole”), che fa rimpiangere, stavolta sì, i tempi del Monopoly.

Meglio non evocare inoltre, per l’amore che gli si porta, lo spettro di Tullio De Mauro, che sembra essere il vero bersaglio delle Indicazioni: dimenticate l’educazione linguistica democratica e preparatevi a un’inedita separazione fra lingua e letteratura. Come notava Simone Giusti su La ricerca, la creazione di due sottodiscipline «ottiene il risultato di esaltare la lingua scritta a discapito dell’oralità, della comunicazione interpersonale e, soprattutto, di tutto l’universo digitale, che ha un ruolo fondamentale nelle attuali Indicazioni e viene obliterato in questa bozza. Se dal 2007 in avanti si è cercato di dare all’insegnante di Italiano un ruolo decisivo nell’educazione all’uso consapevole dei media digitali, oggi – senza discuterne i motivi – si affida lo sviluppo delle competenze digitali esclusivamente all’area delle Stem. Le cosiddette discipline umanistiche, a esclusione della Geografia, si chiudono su loro stesse, assecondando gli umori più provinciali della società italiana».

 

E a proposito di letteratura, non bisogna per una volta scandalizzarsi davanti all’invito a leggere Stephen King, Harry Potter e il fantastico, che andrebbe benissimo, ma per la frase «inutile, in questo caso, creare un “canone italiano”, meglio scegliere i buoni libri anche e soprattutto dalle letterature straniere». Come se in Italia non esistesse ottima letteratura fantastica, anche per ragazzi, da Dino Buzzati in poi. È curioso che non si sia colta anche questa occasione per sfoderare la vocazione nazionalista ed eurocentrica: che, in compenso, torna subito quando si parla dell’insegnamento del latino, cui «va riconosciuto il ruolo giocato nello sviluppo della tradizione europea». Patria e nozionismo, questo è il senso: per dirla con il documento, il principio da seguire è quello del non multa, sed multum, ovvero «dilatare a dismisura la quantità di conoscenze da insegnare diluisce, infatti, la sostanza di quanto i discenti possono apprendere: occorre dunque scegliere conoscenze rilevanti (sul piano culturale), significative (sul piano scientifico), essenziali (sul piano formativo)». Quali siano le conoscenze rilevanti, significative, essenziali si sarà, a questo punto, intuito.

 

Ci sarebbe ancora molto da dire, ma limitiamoci a una questione di metodo: il sottotitolo delle Nuove indicazioni è “Materiali per il dibattito pubblico”. Ora, le scuole non sono state interpellate ma hanno ricevuto, il 20 marzo scorso, un link a un questionario «per consentire di partecipare alla consultazione». Ventidue domande con risposta a scelta multipla dove mancano però i pareri negativi. L’alternativa è fra «Si condivide l’impianto perché prefigura un percorso “verticale” degli studi meglio scandito e articolato»; «Sarebbe più utile ampliare le conoscenze suggerite nelle diverse classi del primo ciclo»; «L’approccio metodologico è innovativo, ma richiederebbe maggior peso e tempo da assegnare alla disciplina»; «Nessuna risposta». Per le “altre osservazioni” sono consentiti al massimo 1.000 caratteri (all’inizio erano 250).

Il consiglio al corpo docente è dunque uno: inviate al ministero solo il link al video di una serie geniale: si chiama “Epic rap battles of history!” e schiera in una sfida rap personaggi storici o letterari. In particolare, inviate quella che oppone filosofi occidentali e orientali, da una parte Nietzsche, Socrate e Voltaire, dall’altra Lao Tzu, Sun Tzu e Confucio. Gli occidentali rivendicano a vario titolo il proprio primato, Confucio risponde seraficamente «This type of arrogance is sure to be expected, from men who speak of wisdom with no clue of what respect is» (“Questo tipo di arroganza è sicuramente prevedibile, da uomini che parlano di saggezza senza avere la minima idea di cosa sia il rispetto”). La risposta sarà sufficiente, e occupa meno di 1000 caratteri.

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