Nella nuova scuola un codice etico per impedire ai prof di pensare

La destra chiede interventi contro i docenti con idee sgradite. Perché vuole "decoro e dignità"

Nella seconda puntata della serie tv “Adolescence” (su cui è difficile avanzare qualsivoglia critica, pena lo sdegno collettivo), i poliziotti che indagano sull’assassinio di una tredicenne da parte del suo coetaneo entrano nella loro scuola media, la Bruntwood Academy: i ragazzini sono rappresentati nella grande maggioranza come bulli incollati ai telefonini, gli insegnanti come sfaccendati o impotenti. 

 

Probabilmente sarà anche utile alla narrazione, ma lo schematismo fa tornare in mente un’altra storia, ambientata ugualmente in una periferia, stavolta romana: è racchiusa nel libro “Un anno a Pietralata” di Albino Bernardini, che nel 1968 raccontò la sua esperienza in una classe considerata difficile e con cui, invece, costruì un rapporto fuori dai canoni e dalla burocrazia, e felice (nel 1973 diventerà anche uno sceneggiato di Vittorio De Seta, “Diario di un maestro”). Certo, altri tempi. Ma gli insegnanti che fanno di tutto per svolgere al meglio il loro lavoro ci sono anche oggi: solo che sono sotto osservazione. 

 

È di questi giorni il caso di Gaia Righetto, docente precaria di Treviso e attivista di un centro sociale, cosa che in teoria non è vietata da nessuna indicazione nazionale, neanche in latino. Gaia Righetto ha accettato una supplenza presso una scuola secondaria di primo grado, ma di fatto non è quasi riuscita a insegnare, perché è finita subito in prima pagina in quanto indegna (“Righetto come Salis, non può insegnare”), ed è stata segnalata all’ufficio scolastico regionale. Perché, appunto, è un’attivista. A sostenerlo è il deputato leghista Rossano Sasso, che scrive questo: «Abbiamo troppi docenti fanatici e ideologizzati nelle nostre scuole, e anche quelli violenti, nei fatti o nelle parole, stanno diventando numerosi. Cassaro, Salis, Raimo, Righetto, solo per citare i più noti. Sarebbe il caso di lasciare fuori dalla scuola i cattivi maestri e le cattive maestre». La proposta: un test attitudinale per insegnare e, già che ci siamo, una rivisitazione del Codice penale.

 

Ora, non conosciamo ancora l’opinione del ministro Valditara, ma è al lavoro una commissione ministeriale sul nuovo codice etico per gli insegnanti, da affiancare al codice di comportamento per i dipendenti della pubblica amministrazione che ha portato alle sanzioni contro Christian Raimo e che già ammonisce: «Il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale». 

 

Magari, invece di accalorarci contro gli insegnanti distratti e incapaci di riconoscere la sofferenza degli alunni, bisognerebbe sostenerli. E, magari ancora, parlare con gli adolescenti invece di rappresentarli unicamente come prede degli abissi della rete. Per questo, la cosa preziosa di oggi è “Io di amore non so scrivere”, che esce per Add a firma di Giulia Muscatelli, una scrittrice che per cinque mesi è andata in giro per scuole, biblioteche, gruppi autogestiti a chiedere cos’è l’amore e cos’è il sesso a più di duecento ragazze e ragazzi fra i quindici e i vent’anni, in Italia, Francia e Germania. 

 

Il risultato è una serie di racconti che vengono dall’oralità, e che sono ricchi di contraddizioni e chiaroscuri. Muscatelli, peraltro, ha fatto quello che moltissimi insegnanti fanno: finché, almeno, non calerà la mannaia di un codice etico che separi la loro vita e il loro pensiero da una scuola vista come un bunker, dove vigono decoro e autorità.

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