Più della metà delle falde è gravemente inquinata. Così i micidiali composti arrivano sulle nostre tavole

Inquinate. Senza prova d'appello. Perché prima o poi tutti i veleni usati in agricoltura o eliminati dall'industria finiscono sottoterra, nelle falde che alimentano il ciclo delle acque. In una lunga marcia che dopo aver contaminato fiumi e laghi, prosegue negli strati più profondi, a 100 metri e più, dove si custodisce il tesoro lungamente distillato dell'acqua potabile.

I primi dati elaborati dalle regioni e presentati dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat) raccontano l'Italia avvelenata: sui 2.863 punti di prelievo distribuiti sulle nove regioni che hanno finora aderito alla campagna di monitoraggio chimico, più della metà rivela gravi segni di compromissione. Sul banco degli imputati ci sono soprattutto i nitrati, che in molte stazioni anche relative alle acque potabili superano la soglia di legge dei 50 milligrammi su litro. Derivati dai fertilizzanti azotati, dai reflui dei grandi allevamenti o dagli scarichi civili non opportunamente depurati, i nitrati assunti in modo cronico attraverso le acque potabili di qualità peggiore possono provocare problemi di salute soprattutto nei lattanti, e dopo la loro trasformazione in nitriti essere cancerogeni. La terra d'elezione dei nitrati è la Pianura Padana, il cui carico agricolo e zootecnico, prima ancora che industriale e civile, determina un inquinamento record. Al punto che fiumi come il Seveso, il Lambro o il Po si sono trasformati in condotte di azoto e fosforo a cielo aperto. Il Lambro, per esempio, è talmente inquinato da spingere gli organi tecnici della Regione Lombardia ad affermare nel loro ultimo rapporto sulle acque che è "manifestamente impossibile, con i mezzi attualmente disponibili, un significativo miglioramento dello suo stato qualitativo".

Un'aria di rassegnata fatalità sembra riguardare anche le falde più superficiali, che essendo a profondità di pochi metri sono più facilmente vittime dell'inquinamento sia agricolo sia industriale. I pesticidi, prima di tutto: nell'ultimo triennio l'Apat ha condotto più di 30 mila prospezioni negli acquiferi di tutta Italia, rilevando una contaminazione diffusa soprattutto nel nord Italia da parte di erbicidi come l'atrazina, la terbutilazina, il bentazone, usato soprattutto nelle risaie (quindi più presente nel pavese e nel vercellese), e il metolaclor, utilizzato a fiumi nelle grandi distese di mais dell'area padano-veneta. Sintetizza Pietro Paris, che all'Apat si occupa di pesticidi: "Su 2.542 punti di monitoraggio delle acque sotterranee, 630 sono risultati contaminati, e nel 7,7 per cento dei casi con concentrazioni superiori al limiti di potabilità". Dalle statistiche dell'Apat l'avvelenamento da pesticidi sembra essere una prerogativa del nord Italia. "La Pianura Padana è certamente l'area più compromessa, ma è anche una delle poche in cui vengono condotte le misurazioni, e chi cerca trova. Questo non vuol dire che il Centro-sud sia esente da una contaminazione delle falde. Semplicemente, tranne rari casi, in queste regioni il monitoraggio non si fa", spiega Paris. In primo piano c'è ancora l'atrazina, bandita in Italia dalla metà degli anni Ottanta, che, per la sua notevole persistenza chimica, si trova ancora in grandi quantità nelle falde, talvolta anche in quelle potabili.

La Padania è terra tanto operosa quanto intossicata. Augusto de Sanctis, del Wwf Abruzzo, racconta la storia dell'acqua che per decenni è uscita dai rubinetti di Pescara: "In Abruzzo il 50 per cento dei punti di campionamento è compromesso. Il fondovalle della Val Pescara ha valori di inquinanti nelle falde superiori anche di migliaia di volte le soglie di legge. È il caso, per esempio, dei cancerogeni tetracloroetilene, esacloroetano, tetracloruro di carbonio, conditi con cromo e mercurio". Un tipico menù industriale che ci aspetterebbe negli acquiferi di Porto Marghera, di Gela o della Campania devastata dalle discariche industriali gestite dalla Camorra. Non nell'Abruzzo del Gran Sasso e della Majella. Se non fosse che anche in Abruzzo si trovano posti come Bussi, sede delle storiche discariche di impianti chimici dell'ex Enimont, e dove nel ventennio si producevano le bombe all'iprite. E la cosa sorprendente è che proprio a valle di queste discariche colabrodo ci siano alcuni pozzi dell'acqua potabile di Pescara. "Con il risultato che probabilmente da almeno 25 anni, 400 mila persone hanno bevuto acqua fortemente contaminata da tetracloruro di carbonio", racconta De Sanctis.

Nelle falde sotterranee c'è scritta tutta la selvaggia preistoria industriale del Paese, che ha interrato migliaia di tonnellate di idrocarburi e metalli pesanti. Un mix di tossici ambientali da cui non mancano anche i residui di droghe e farmaci, come attestano gli studi condotti dall'Istituto Mario Negri di Milano. Come ricorda Roberto Fanelli, che dirige il dipartimento Ambiente e Salute del Mario Negri: "Nelle falde si trovano in tracce alcuni residui di medicinali come il metabolita del clofibrato (un vecchio farmaco antigrasso), e l'ansiolitico diazepam, che abbiamo riscontrato nelle acque potabili di Lodi e Varese insieme ad antibiotici, antitumorali, antinfiammatori, diuretici e antiipertensivi".Gli esperti tranquillizzano: per ora le concentrazioni riscontrate non sono tossiche, ma resta da accertare se possano indurre allergie o, addirittura, antibiotico resistenza. n

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