L’immunologa fa scoppiare l’ennesima polemica sui danni causati da un consumo moderato di alcol. La risposta del critico: «Questa campagna diffamatoria è solo dannosa per il settore. Perché il problema, come ribadiscono i ricercatori, è sempre nel giusto dosaggio. E nella qualità del prodotto»

Mi sento in dovere, vista la pesante campagna discriminatoria che uno dei prodotti-cardine della manifattura italiana come il vino sta subendo da mesi, di dire la mia sull’argomento. È infatti dalla fine di ottobre del 2022, dalla pubblicazione cioè del “Libro Bianco in materia di alcol e problemi correlati” del Ministero della Salute, frutto di un monitoraggio pluriennale nei 30 Paesi Membri dell’UE da parte dell’OMS, che si susseguono messaggi allarmistici, aggravati da “ingiustificate fughe in avanti sugli health warnings”, vedi quella dell’Irlanda, come giustamente ha commentato Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini, che rischiano di penalizzare ingiustamente il segmento.

Ora arriva l’altrettanto contestabile (da cui, non a caso, colleghi illustri come l’infettivologo Matteo Bassetti si sono immediatamente dissociati) posizione espressa dalla professoressa Antonella Viola, ordinaria di Patologia Generale a Padova e ricercatrice, che in sede di intervista radiofonica a Radio Rai 1 ha deciso di semplificare ulteriormente una tematica che semplice non è.

Dato per assodato che quello dell’alcolismo, a livello europeo, e in particolare per la fascia degli under-25, è argomento serio, che meriterebbe una discussione politica ben più approfondita nei paesi membri, non credo giovino a nessuno, soprattutto se espresse da personalità scientifiche di incontestabile curriculum, dichiarazioni in cui l’effetto dell’alcol viene paragonato all’amianto e in cui viene messo in diretta correlazione un consumo, anche morigerato, di alcool, con patologie tumorali, fatto non dimostrato da nessuna indagine scientifica.

Anche lo stesso Libro Bianco del Ministero della Salute, non a caso, parla di sostanza “potenzialmente cancerogena e con la capacità di indurre dipendenza”, indicando come patologie alcol-correlate semplicemente la dipendenza. Quello che invece è certo, oltre alla vecchia tradizione del mezzo bicchiere a pasto, quei circa 100 cc che rappresentano uno degli elementi fondamentali, tra l’altro, della dieta mediterranea, anch’essa non casualmente patrimonio Unesco, è che il resveratrolo, ovverosia uno dei composti antiossidanti comunemente contenuti nel vino, per la precisione nelle bucce, sia bianche che rosse, è attualmente utilizzato in diversi preparati anti-age che vengono comunemente venduti in farmacia. Il problema, come ribadiscono i ricercatori, è sempre nel giusto dosaggio, oltre che (ovviamente) nella qualità del prodotto.

Se infatti 1 litro di vino contiene grossomodo 100 grammi di alcol, il mezzo bicchiere ne conterrà circa 7, quantitativo talmente basso da essere, per l’organismo, completamente metabolizzabile, ingenerando inoltre, oltre ad una blanda assunzione di antiossidanti, buone funzionalità cardio-circolatorie e, non secondariamente, aumento del rilascio di serotonina. Molto differente dall’effetto di un abuso dello stesso. Prendendo invece ad esempio il whisky, o meglio il whiskey irlandese, bersaglio privilegiato (immagino) soprattutto dalle politiche di Dublino, e contando che il contenuto in alcol di un litro di bevanda è circa del 35-40%, anche solo un bicchierino potrebbe avere effetti completamente diversi. Il succo del ragionamento insomma è: non demonizzare ma informare, rendere consapevoli. Soltanto così si possono condividere protocolli e politiche orientate a migliorare le condizioni di salute della popolazione.

 

Luca Gardini è il miglior critico del mondo sul vino italiano, secondo Tastingbook.com e sommelier campione del mondo

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