
In termini d’inquinamento, secondo Mapelli i vantaggi sono enormi, e derivano dal fatto che gli impianti di lavorazione funzionano a gas, e non a coke. «Per ogni tonnellata di acciaio prodotta a partire dal minerale, le emissioni di anidride carbonica sono inferiori almeno del 65 per cento. E vengono eliminate del tutto sostanze cancerogene come gli idrocarburi policiclici aromatici e il benzoadipirene», spiega il docente. La critica che è stata fatta al piano Bondi, abbandonato dal governo che ha preferito delegare ogni progetto di sviluppo ai possibili compratori dell’Ilva, è che il preridotto richiede un forte approvvigionamento di gas naturale, dal cui prezzo finisce per dipendere la convenienza economica dell’acciaio.
Per Mapelli, però, questo è un problema che può essere risolto: «Tutto sta nel liberalizzare il mercato del gas e nell’aumentare le fonti di approvvigionamento attraverso il pieno utilizzo dei rigassificatori nazionali e magari la costruzione di quelli autorizzati. A Livorno, ad esempio, non viene utilizzato un rigassificatore da 3,8 miliardi di metri cubi, già allacciato alla dorsale tirrenica, che potrebbe soddisfare la richiesta di gas di Piombino, se venisse confermata l’ipotesi di produrre il preridotto alla ex Lucchini». Il gruppo Jindal questa tencologia la conosce, visto che la utilizza in un proprio impianto in Oman. Ma acciaierie di questo genere nascono ormai in tutto il mondo, dal Messico agli Usa, anche con tecnologie italiane.