Cosa è il Sahel e perché in questa regione si giocano gli equilibri del futuro

Nel deserto africano la nuova frontiera degli jihadisti. In una zona colpita da una feroce siccità e che fa gola per le ricchezze del sottosuolo (foto di Philippe Dudouit)

Una striscia lunga 8.500 Km, vasta circa 6 milioni di chilometri quadrati, che attraversa 12 Stati (Gambia, Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Sudan, Sud Sudan ed Eritrea), definita più dalle sue caratteristiche climatiche, ambientali e sociali che non da quelle geografiche o politiche. Non è semplice indicare i confini del Sahel: a nord chi è in grado di tracciare un confine netto con il Sahara? Sabbia e terra vanno via via fondendosi e ogni sera la prima sembra aver vinto la battaglia quotidiana. A sud, invece, la zona semi-arida sfuma progressivamente nelle verdi savane delle grandi pianure solcate dai fiumi che si gettano nell’oceano.

 

Potremmo dire che esistono molti Sahel: quello climatico-ambientale; quello storico, legato ai grandi regni dell’oro e alla religione islamica; quello culturale, caratterizzato dall’incontro tra la cultura araba e quella locale; e, oggi, quello bellico-strategico, in cui si gioca una grande partita tra il terrorismo jihadista, gli stati saheliani, le potenze straniere e la popolazione. I limiti del Sahel climatico-ambientale coincidono più o meno con le linee pluviometriche: da 100 mm/anno a nord, 600 a sud. Quando le piogge rimangono sotto i 150 mm/anno, la vegetazione non riesce a raggiungere una consistenza tale da rallentare il trasporto di sabbia del vento sahariano.

 

Per chi arrivava da nord, era la terra in cui l’Africa ricominciava a vivere, a essere popolata; per chi arrivava da sud era l’inizio della fatica e della solitudine. Una frontiera vera e propria, dove a incontrarsi non sono state solo le sabbie sahariane con le terre umide della savana, ma anche la tradizione delle popolazioni locali legate al mondo nero con la cultura islamica, venuta dall’est e giunta da queste parti attorno all’anno Mille.

 

Le diverse combinazioni di queste due espressioni hanno dato vita a culture specifiche, che spesso mescolano tratti dell’una o dell’altra, facendoli convivere in una dimensione nuova. La religione del Profeta non ha solo rimodellato le società locali sul piano culturale, ma anche su quello economico. L’islam, infatti, ha connesso questa regione alla fitta e importante rete di scambi, commerciali e non solo, che attraversava il vastissimo mondo arabo-musulmano in epoca medievale. Grazie ai mercanti di lungo raggio il Sahel si trovò a dialogare con il mondo mediterraneo, con il Medio oriente e con altre regioni dell’Asia centrale. Elementi questi, che hanno arricchito e reso sempre più sfaccettata la cultura delle popolazioni saheliane, importante propaggine meridionale del mondo islamico del tempo. Fu grazie a questi commerci e alle fatiche dei cammelli e dei cammellieri che nacquero in questa regione i grandi imperi africani precoloniali.

 

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A partire dal XVII secolo, però, qualcosa inizia a cambiare. Siamo nel secolo delle navigazioni e diventa sempre più rapido e redditizio trasportare merci via mare, che non attraverso il deserto. Il vento lentamente cancella le piste, sempre meno battute dai mercanti. A poco a poco il cammello perde la battaglia con la caravella e il Sahara ripiomba nel suo silenzio e nella sua solitudine antica. L’epoca coloniale vedrà diversi tentativi messi in atto dai colonizzatori, perlopiù francesi, per ricuperare queste terre e destinarle alla produzione agricola. L’imposizione di un modello agricolo destinato al mercato portò però da un lato a uno scardinamento delle tradizioni e degli equilibri locali, mentre dall’altro l’eccessivo sfruttamento di un suolo già fragile di suo condusse a un impoverimento di quest’ultimo.

 

Già in ginocchio a causa di tutti questi eventi, le ripetute e prolungate siccità degli anni Settanta, distrussero vite e storie in tutte le regioni saheliane. Questa terra, che vide nascere e crollare alcuni tra i più importanti e ricchi regni e imperi dell’Africa, è progressivamente diventata una cicatrice sull’Africa. Il Sahara avanza rapidamente: a partire dal 1920 la sua superficie è aumentata del 10 per cento, l’80 per cento delle terre del Sahel è degradato, in seguito a un aumento medio della temperatura di 3-5°C. Ogni dodici mesi nel Sahel nasce una Calabria di sabbia e sassi.

 

Sahel non è solo una descrizione geografica; oggi più che mai è una condizione di vita, una terra tra le più aride al mondo. È stato calcolato che l’Africa si surriscalderà un po’ meno del resto della terra, ma nelle regioni di Sahara/Sahel la temperatura potrebbe salire di 5-7°C. Qui il 70 per cento della popolazione è rurale e i raccolti potrebbero diminuire del 30-35 per cento, con un conseguente aumento di profughi costretti a cercare sussistenza altrove. Il lago Ciad, che era il settimo lago del mondo, si è ridotto di 13 volte. Dal 1962 le sue acque si sono abbassate di 4 metri, riducendo la superficie del 90 per cento. Questa penuria di risorse è anche alla base dell’aumento di tensioni tra pastori e contadini, che da sempre vivevano situazioni conflittuali, che venivano però regolate dalle consuetudini tradizionali.

 

Ora, invece, l’irregolarità delle piogge rende difficile pianificare lo scambio tra i due gruppi e tali dispute, complice anche l’infiltrazione dei jihadisti, si trasformano spesso in scontri cruenti, che causano centinaia di morti. In tale contesto di progressivo impoverimento, si insinuano organizzazioni terroristiche come Boko Haram, Al Qaeda nel Maghreb islamico e lo Stato Islamico nel Grande Sahara che hanno buon gioco a reclutare adepti in popolazioni spesso ridotte allo stremo. Il Mediterraneo rischia di diventare una zona di frontiera climatica tra un’Europa ricca e un’Africa impoverita. Dal 2008 una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono state spinte a migrare per calamità naturali.

 

Gli esperti calcolano che nei prossimi trent’anni circa 135 milioni di persone saranno costrette a lasciare la propria terra a causa del degrado e delle siccità. Solo l’Africa ha un potenziale di 70 milioni di persone che potrebbero abbandonarla entro il 2030. Entro il 2050 potrebbero essere 200 milioni. Il Sahel è sempre stata terra di frontiera, luogo di incontri e di scontri: qui si sono incontrate la cultura arabo-islamica con quelle locali animiste, si sono scontrati eserciti di regni diversi, invasori di ogni tipo e anche oggi è teatro di una difficile e violenta partita a scacchi tra Stati nazionali, ex potenze coloniali, nuovi protagonisti come Cina, Russia e Turchia e una galassia di organizzazioni, a volte in conflitto fra loro, ma tutte ispirate da una lettura fanatica e strumentalizzata del Corano.

 

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Una “corsa al Sahel” a cui partecipano anche diversi Paesi europei, tanto le ex-potenze coloniali (Francia e Inghilterra) quanto, negli ultimi anni, stati storicamente meno presenti a queste latitudini, come Germania, Spagna e Italia. Vecchi e nuovi attori che, nel riposizionamento geopolitico globale in atto, usano la retorica della lotta contro la minaccia jihadista e del contrasto all’emigrazione “irregolare” verso l’Europa per coprire la penetrazione economica di ampi mercati emergenti e le mire neo-coloniali verso le ricchezze inesplorate di queste terre: uranio (che Francia e Cina estraggono dalle miniere del Niger), oro, diamanti, petrolio, gas naturale, bauxite, cobalto, nickel, legname pregiato, pietre preziose, acqua, terra. Soltanto per citare le principali.

 

La militarizzazione a cui si assiste oggi nel Sahel, stratifica i conflitti intensificando la pressione sulle popolazioni locali, come sempre in guerra le principali vittime sacrificali dei giochi di potere. Milioni di persone quotidianamente tenute in scacco dalle angherie di eserciti regolari e gruppi armati, milizie etniche e signori della guerra, narco-mafie e jihadisti vari, politici corrotti e uomini d’affari senza scrupoli.  In questo quadro dalle fosche tinte l’Unione europea, sempre più imbrigliata nella propria arroganza ombelicale, ha recentemente rinnovato l’interesse verso il Sahel soprattutto in funzione del tentativo - finora fallito - di controllare i flussi migratori e la minaccia terrorista che derivano dall’instabilità e dal degradarsi del tessuto sociale dei Paesi di questa regione.

 

L’esternalizzazione dei confini e della sicurezza comunitaria - sancita dal Forum de La Valletta del novembre 2015 che ha ridefinito i rapporti multilaterali e bilaterali fra Europa ed Africa - ha trasformato l’Africa occidentale e, in particolare, il Sahel nella frontiera meridionale della caserma Europa. «Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo necessariamente lo stesso futuro», scriveva molti anni fa un illuminato Cheick Anta Diop. Oggi quel futuro comune è arrivato. Spetta a noi, esseri umani curiosi che non si accontentano delle versioni ufficiali, il compito di districare i fili della Storia e delle sue innumerevoli contro-narrazioni per cercare di comprendere ed affrontare al meglio le sfide comuni dell’attualità.  

 

© 2021 Bollati Boringhieri editore, Torino

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