
La debolezza degli alleati fa sempre più la forza del Governo e di Conte (che continuerà a guardarsi bene, credo, dal commettere l’errore di Monti e di inventarsi come capo politico). Umbria e Liguria mettono una pietra sopra la generosa utopia che tra il “movimento” 5Stelle e un partito che mantiene un proprio qual radicamento sociale soltanto in Emilia e Toscana possa davvero determinarsi un’intesa strategica. Inutile aggiungere che in Campania e Puglia vincono personaggi e non partiti.
Credo che Zingaretti, che sulla possibilità di quell’intesa si è speso contro tanti, debba ormai concentrarsi sul fronte interno, organizzare un vero congresso, aperto a tutti coloro che abbiano ancora la volontà di collaborare alla formazione in Italia di un partito autenticamente riformista - e collaborare significa decidere insieme.
Scorciatoie non ne esistono, né una strategia potrà nascere dalla esperienza del Governo, cui si può soltanto augurare di sopravvivere, per le ragioni suddette. Ma, se questo è vero, occorre anche consigliare a Zingaretti di mettere il punto, dopo il referendum, agli appetiti populistico-qualunquisti dei 5Stelle. Il movimento inventato da Grillo, grazie alle prove fornite dal Pd dopo la fondazione, ha bisogno di farvi leva come del pane. E dunque ci proverà ancora, chissà intorno a quali epocali questioni. Ma, all’opposto, spettacoli così penosi come un Pd al loro rimorchio allontanano da quella prospettiva di rifondazione anche culturale di cui questo “partito” ha urgente bisogno.
Le riforme costituzionali son cosa seria, non si debbono tirare in ballo per soddisfare gli istinti anti-casta più volgari. Il Pd sarà prima o poi chiamato a decidere sulla propria natura intorno a poche e capitali questioni, tra cui appunto questa: come collocarsi rispetto alle tendenze verso una concentrazione dei poteri nell’Esecutivo, verso forme plebiscitario-autoritarie di democrazia, che costituiscono l’esito destinato dei populismi di ogni colore? Vorrà nuotare nella corrente ritenendo che questa rappresenti il carro dei vincitori? Calcolo catastroficamente sbagliato, poiché questo carro non sarà mai a guida del Pd. E chi appare subalterno non viene alla fine neppure votato. Vero, Berlusconi?
I 5Stelle si mascherano dietro il risultato del referendum e il Pd dietro lo scampato pericolo nel Granducato di Toscana. Ma limiti e debolezze dei “governanti” sono coperti anzitutto dalle crescenti contraddizioni all’interno delle “opposizioni”. Dopo la manovra auto-lesionistica della scorsa estate, Salvini ha puntato per rafforzare e rilanciare la propria leadership su due battaglie campali, prima Emilia-Romagna, poi Toscana. Si sarà posto troppo in alto l’asticella, avrà suonato troppi campanelli, sbagliato candidati, non importa: ne esce sconfitto.
Dall’altra parte un segnale invero clamoroso: il trionfo della lista Zaia su quella Lega in Veneto. È certamente un voto moderato, “borghese”, erede diretto di quello democristiano e poi forza-italiota, che si aggiunge allo zoccolo duro leghista (che già da decenni ha assorbito in molte zone industriali larghi settori dell’antica sinistra).
La domanda si imporrà per forza: bene una Lega partito della Nazione, Destra nazionale, non più nordista, non più mitologie bossiane,ecc. - ma non sarà di gran lunga preferibile che questa prospettiva venga incarnata da provati amministratori, senza retorica, senza rosari, senza discoteche, senza pose arroganti? E poi, non è evidente che una leadership come quella salviniana rafforza alla fine la vera destra, la Meloni? Nella Lega non potrà a lungo tardare il chiarimento. Il risultato veneto non può ridursi al tema della “autonomia” e Salvini non potrà sbrigarsela semplicemente “garantendola” agli Zaia se ritornasse al Governo. In quello che è oggi il primo partito italiano la contraddizione è apertissima, anche se Zaia sarà domani il primo a fingere non esista.
Certo, non sarà questo Pd in grado di farvi leva, poiché mai è stato capace di darsi una propria strategia federalista, di battersi coerentemente per le autonomie locali, di costruire amministratori e dirigenti che fossero espressione dei loro territori e non cooptati dai vertici romani. Anche di questo Zingaretti dovrà parlare al Congresso, eterno futuro.