Quanto ai lettori nuovi, quelli sedotti da una battuta, o affascinati dal tratto giocoso eppure feroce del disegno, vignetta dopo vignetta, libro dopo libro scopriranno che il beneficio prezioso che Altan ci offre è una giusta, salubre distanza dagli affanni della cronaca, dal giorno per giorno, da quel sovrattono enfatico (ebola! il web! la crisi! la mafia!) che tende a consegnare le nostre vite a un perenne stato d’ansia. Impossibile trovare Altan invischiato nelle polemiche spicciole della politica o travolto dal panico mediatico. [[ge:espresso:visioni:cultura:1.186589:article:https://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2014/11/05/news/veleno-nella-coda-la-nuova-antologia-di-altan-1.186589]]
Altrettanto impossibile sorprenderlo disinformato o distratto. Sa perfettamente quello che sta succedendo; ma ai suoi personaggi affida il compito di regolare i conti con l’enfasi e il chiasso, con ciò che oggi appare gravissimo e domani sarà solo un modesto incidente, ciò che oggi appare “storico” e domani avrà il sapore malinconico della chincaglieria da robivecchi.
La grande satira non è mai furibonda o scamiciata. Il suo compito profondo è cogliere gli eccessi (del potere, del denaro, delle mode, dei pregiudizi popolari), rivelarli al lettore e disinnescarli allegramente insieme a lui. La grande satira è compassata, propone una misura differente e micidiale, suggerisce distanze, smonta la prosopopea dei potenti nonché la stupidità dei non potenti, deride il tracotante sazio ma anche il popolano acido e subalterno, raffigurato in tutta la sua miserabile condizione di vittima. La lucida, proverbiale saggezza di Cipputi (ormai quasi in pensione, irrintracciabile alla Leopolda, forse presente, ma in disparte, al sabato romano della Cgil) è, nel mondo di Altan e della satira in generale, davvero eccezionale. Cipputi è una delle rare figure “eroiche” della satira, le suona al mondo molto più sonoramente di quanto il mondo le suoni a lui, dialetticamente è inespugnabile, filosoficamente è incorruttibile, insomma è uno dei rari, veri vincenti di un’epopea, quella della comicità, che è una rassegna interminabile di picari sfigati, di vittime ridicole, di goffi inciampatori.

Cipputi a parte prevale, nella piccola folla di bambini con gli occhi sgranati, madri rassegnate, padri inutilmente sentenziosi, la rappresentazione di un’umanità sballottata, stressata, che cerca di barcamenarsi come sa e come può nella tempesta del tempo che corre. Altan, che quell’umanità castiga ma a quell’umanità vuole bene, concede ai suoi pupazzi, dunque a noi tutti, la momentanea vendetta della battuta folgorante, risolutiva. È l’attimo - brevissimo, e per questo molto amato - nel quale ci sentiamo vincitori, perché abbiamo finalmente capito che cosa sta succedendo e trovata la maniera per dirlo. Un attimo dopo ricominciamo a non capirci più nulla. E la battuta di Altan, citata con gli amici, evocata anche molti anni dopo (io cito sempre, per esempio, «mi domando chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio») ci serve a ricordare che l’intelligenza delle cose, nonostante tutto, è un’opzione concessa. Se non un dovere, un piacere alla nostra portata.

Chi non ha nel suo repertorio fisso almeno un paio di battute di Altan, non sa cosa si perde. E mi sono sempre chiesto come fa, Francesco Tullio Altan, a vivere senza il piacere di aprire un giornale e scoprire una vignetta di Altan.