Il Ceo di Renault lascia per andare a guidare il gruppo Kering. "Tutti i Paesi del mondo si organizzano per proteggere il loro mercato, tranne l’Europa", diceva in un'intervista a Le Figaro: saranno forse queste le motivazioni del suo abbandono?

Luca De Meo, dall’auto al lusso: la parabola dell’ultimo car guy che ha provato a rivoluzionare l’industria dell’auto

Luca de Meo lascia l’auto dal 15 luglio per andare a guidare il gruppo del lusso Kering, con Francois-Henri Pinault che avrebbe in mente un rimpasto del team di gestione, mantenendo solo la carica di presidente. Dunque, l’ultimo vero car guy gira l'angolo e quando nessuno se l'aspettava molla la Renault che in pochi anni aveva risollevato da un destino incerto. Anzi, rivoluzionato (Renaulution è il nome scelto per la sua sfida) per farla salire di nuovo in alto. 

 

De Meo lascia in una domenica di corse, dalla Formula 1 alla 24 ore di Le Mans anche se quella più bella sembra essere stata la sua. Imprevedibile e fascinosa. Quella del ragazzo d'oro dell'auto, il più intelligente e a modo suo “visionario”. Quella del manager che fin da bambino aveva in mente le quattro ruote e da sempre con le quattro ruote ha avuto a che fare. Dal marketing alle vendite, dagli inizi in Renault e Toyota fino a scalare i vertici di marchi come Volkswagen, Seat per ritornare, questa volta come numero 1 proprio alla Renault. Il giovane manager in cui Marchionne ha capito subito la genialità e la preparazione, immaginando fin dall’inizio che senza di lui la Fiat non si sarebbe rialzata e la 500 sarebbe rimasta nel cassetto, esattamente come era stata confinata prima dell’arrivo del manager italo-canadese.

 

 

Luca De Meo sull’auto e sul futuro industriale ha sempre avuto idee piuttosto chiare grazie anche ad una capacità innata di rovesciare quasi tutte le situazioni. Di portare su quello che è giù. Voleva cambiare l'auto attraverso le idee, i modelli e le scelte strategiche. Aveva bisogno della politica ma sapeva che non poteva essere quella a dettare le regole.
 

 

Le ha provate tutte per cambiare le carte in tavola. Fino a mettere in piedi un’intervista congiunta con il nemico-amico, John Elkann, presidente di Stellantis, gruppo che forse avrebbe sognato di guidare per coronare il suo sogno. Un’intervista, rilasciata al quotidiano francese Le Figaro, che contiene anche l’ultimo avvertimento all'Europa dell'auto che ha già firmato la propria eutanasia. "Quello che chiediamo – aveva detto De Meo - è una regolamentazione differenziata per le piccole auto. Ci sono troppe regole concepite per auto più grandi e più costose, il che non ci permette di fare piccole auto in condizioni accettabili di redditività. Tutti i Paesi del mondo che hanno un’industria automobilistica si organizzano per proteggere il loro mercato, tranne l’Europa". Insomma, una sconfitta annunciata. Saranno forse queste le motivazioni dell'abbandono di De Meo? "Forse che sì, forse che no", prendendo a prestito D'Annunzio che oggi non guasta mai.
 

 

“Forse che sì”. Perché un top manager lascia quasi sempre per soldi o nuove sfide. A meno che non passi a miglior vita o venga licenziato. Questa potrebbe essere la prima, semplice spiegazione da cucire addosso alla decisione a Luca De Meo. Ma c’è anche quel “Forse che no”. Perché un po' di romanticismo e dietrologia in questo caso ci starebbe pure. L’auto è diventata scomoda. Un peso. Qualcosa sempre da spiegare e giustificare. Di vero c’è che la sconfitta sicura non piace a nessuno e il declino dell'auto a questo fa pensare. E a uno come de Meo perdere non piace proprio. Così "meglio il lusso che niente".


 


 

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