Un paese dalle enormi risorse. Ridotto alla fame da un regime corrotto. E sconvolto da malavitosi e guerriglieri

Il fitto intreccio di mangrovie che affiorano dall'acqua dà un tocco fiabesco al delta del Niger. Dietro lo scenario da cartolina questa regione paludosa ricchissima di petrolio è però solo una fonte di incubi.

Non c'è aurora in cui l'avvistamento di imbarcazioni inattese nel labirinto dei canali non semini il panico negli accampamenti delle compagnie che trivellano in Nigeria l'oro nero. I guerriglieri-adolescenti arrivano guidati dall'ultimo chiarore della luna, seminudi ma armati fino ai denti. Assaltano gli impianti, rubano il greggio dagli oleodotti, sparano, terrorizzano, rapiscono.

È una guerra in cui la galassia dei movimenti di liberazione rilancia a distanza di quasi 40 anni le stesse rivendicazioni che sfociarono nel tentativo fallito di secessione del Biafra, leggendario nome dell'area: cacciata delle ditte straniere; lotta contro l'inquinamento; più equa distribuzione delle risorse a favore degli ijaw, la popolazione locale, 14 milioni che vivono senza luce, strade, scuole, ospedali.

Il delta del Niger è uno schermo insanguinato su cui si proiettano gli inestricabili conflitti del Paese più popoloso dell'Africa (circa 150 milioni di abitanti), composto da 300 etnie (di cui tre dominanti), spaccato geograficamente fra il Nord musulmano dove si fa largo la sharia e il Sud prevalentemente cristiano.

La Nigeria è un colosso dai piedi d'argilla, piegato dall'avidità di una politica predatoria al puro sfruttamento del petrolio (è l'ottavo produttore mondiale, con una potenzialità di 34 miliardi di barili) e del gas, che negli ultimi anni hanno calamitato gli appetiti della Cina.

Le risorse energetiche, che rappresentano il 30 per cento del Pil e l'80 per cento delle entrate di bilancio, hanno consentito una notevole riduzione del debito estero. Ma l'agricoltura è ormai abbandonata, il Pil annuo pro capite è di soli 250 euro, oltre la metà della popolazione vive con meno di un euro al giorno, l'aspettativa di vita è di neanche 50 anni.

In più i tassi di corruzione sono da Guinness dei primati. In 47 anni di indipendenza sono stati sottratti 350 miliardi di euro, quasi sei piani Marshall. «Siamo un Paese pericolosamente in bilico fra la modernità dei grattacieli», suggerisce un diplomatico, «e l'epoca delle caverne».

Nell'inquinatissima Lagos - 15 milioni di abitanti, la più grande metropoli dell'Africa nera - imperversano i cellulari, ma mancano gli inceneritori e le fogne (si scarica tutto in laguna). Il golf club frequentato dalla upper class è a dieci minuti di macchina dalla più angosciante palafittopoli del pianeta sorta fra acque putride e colline di immondizia. I businessman circolano su auto di rappresentanza affiancati da guardie del corpo che ai posti di blocco sganciano spiccioli ai poliziotti alla luce del sole. I ristoranti sono pieni e presidiati dai gorilla per fronteggiare gli assalti delle gang. Sui muri, sedicenti apostoli assicurano in un trionfo di striscioni la salvezza dell'anima con sedute a pagamento, ignorati dalla marea di mendicanti e venditori ambulanti di cianfrusaglie che si infilano fra le auto bloccate da ingorghi mostruosi. La tecnologia è penetrata fin nei villaggi più remoti nonostante lo stillicidio dei black-out.

Tutta l'area intorno a Port Harcourt, la capitale petrolifera della Nigeria, è infestata di pericoli. «È talmente alto il livello di violenza», racconta Greg Elder, responsabile per la Nigeria di Médecins sans Frontières, «che abbiamo deciso di concentrarci solo sul trattamento dei traumi in un ospedale cittadino. Trascurando le epidemie di malaria, tifo e colera nelle campagne. Fuori è troppo rischioso muoversi».

Dopo il tramonto scatta un coprifuoco non proclamato. I tecnici del petrolio rimangono blindati nei compound. Nemmeno i nigeriani si azzardano a mettere il naso in un territorio conteso da guerriglieri, banditi, squadroni della morte, poliziotti corrotti. «È una città quasi invivibile», conferma il console onorario italiano Pino Pillon: «Anche di giorno è la paralisi. C'è un posto di blocco ogni 500 metri». L'aeroporto è chiuso da quando un jet dell'Air France investì una mandria di mucche sulla pista di atterraggio. Lo scalo alternativo è Owerri, a un paio di ore di macchina. Ai check-point, per perdere meno tempo, gli automobilisti cercano di porgere la mancia agli agenti dal finestrino senza fermarsi.

I pochi estranei che hanno potuto accedere al cuore di tenebra del Mend hanno ricavato l'impressione di un esercito di quasi bambini (circa 7 mila) fanatizzato dall'ingestione di allucinogeni e dall'animismo religioso. I giovani guerriglieri vivono in baracche dotate di generatore e antenna satellitare, girano a torso nudo con armi di fabbricazione ceca, hanno le facce pitturate e segni magici dipinti in tutto il corpo per esorcizzare gli spiriti del male. I capi indossano invece vesti bianche e turbanti rossi. E praticano il voodoo. Prima di una missione, per entrare nello spirito della battaglia, c'è la regola tassativa di astenersi dal sesso. E tutt'intorno, nei villaggi, campeggia la statua di Egbesu, il dio della guerra.

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