Nello stato dell'Ontario le 'sex worker' potranno organizzarsi come vogliono, assumere personale ed esercitare in apposite strutture. Una nuova vittoria contro il proibizionismo, che fa infuriare i cattolici locali
In
Canada le lavoratrici del sesso crescono, si emancipano e fanno politica in modo diretto in nome del "libero letto in libero Stato". Tutto merito, o colpa a seconda dei punti di vista, della Sex Professionals of Canada (Spoc), l'associazione che sfida il governo federale sul terreno della legalità, giudicando incostituzionali le leggi che regolano il sesso a pagamento. In Canada la prostituzione è consentita, ma è proibito fare pubblicità e offrire servizi sessuali in spazi condivisi. Perciò le case d'appuntamento sono fuori legge, e buona parte delle professioniste lavora in bordelli clandestini o per strada, vittime del racket. Questo fino a ieri.
Perché la Corte d'Appello dell'Ontario ha accolto, in parte, il ricorso della Spoc. D'ora in poi le sex workers potranno assumere personale per la propria sicurezza ed esercitare la professione in forma societaria. La Spoc ha come presidente Nikki Thomas, 32enne, studentessa universitaria fuoricorso e sexual therapist da cinque anni. «Non mi drogo, non sono alcolizzata, non ho subito abusi da bambina. La mia professione è una come tante. Il governo non può impormi come, dove, quando, posso fare sesso». Il governo conservatore, sollecitato dalle associazioni cattoliche, ha fatto ricorso alla Corte suprema, affinché il Canada non si trasformi in uno Stato bordello.