L'arcivescovo di New York ha scritto una lettera di stima al candidato vicepresidente repubblicano Ryan. Lì tutto avviene alla luce del sole e nessuno chiede che i cattolici formino un partito. Al contrario di quanto succede in Italia

C'è da scommettere che il prossimo ottobre farà molto più rumore il processo in Vaticano al maggiordomo infedele del papa che non l'inaugurazione dell'anno della fede, con il concomitante sinodo dei vescovi. Ma infedeltà per infedeltà, a Benedetto XVI sta infinitamente più a cuore il destino della fede cattolica. Che se qua e là sembra spegnersi, in altri luoghi del mondo si rianima inaspettata.

Che l'ateismo sia tipico dell'Occidente è una leggenda smentita dai fatti. L'ultimo grande sondaggio mondiale sul tema lo vede primeggiare in Cina, seguita a ruota da Giappone e Corea. In Europa la miscredenza è di casa in Francia, nella Repubblica Ceca e nell'ex Germania dell'Est, ma altrove registra quote modeste. E negli Stati Uniti è ai minimi termini, appena al 5 per cento della popolazione.

Gli Stati Uniti, nel panorama mondiale della Chiesa cattolica, sono la sorpresa più clamorosa. Solo pochi anni fa tutti gli indicatori volgevano al brutto, lo scandalo della pedofilia aveva inferto colpi terribili alla credibilità della Chiesa. Ma da quando Benedetto XVI è papa, negli Stati Uniti i segnali sono di ripresa. Una serie mirata di nomine ha proiettato alla testa dell'episcopato un nuovo gruppo dirigente preparato e dinamico. Nel 2000 si dicevano soddisfatti dei loro vescovi appena il 51 per cento dei cattolici americani, oggi il 70 per cento. Quanto a papa Benedetto XVI, si dicono soddisfatti di lui il 74 per cento dei cattolici. Dieci anni fa, con Giovanni Paolo II all'apice della popolarità, i soddisfatti erano il 72 per cento.

LA RINNOVATA VITALITÀ del cattolicesimo degli Stati Uniti ha invaso anche il campo politico. Per la prima volta nella storia, le elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre vedranno in corsa due cattolici per il ruolo di vice: Joe Biden con il democratico Barack Obama e Paul Ryan con il repubblicano Mit Romney. Ryan, membro del Congresso, ne presiede la commissione bilancio. Ed è una sua creatura anche la legge di bilancio approvata lo scorso 29 marzo: una legge che per i suoi drastici tagli a talune provvidenze a sostegno dei ceti più poveri è stata duramente criticata dai vescovi più sensibili alla solidarietà sociale.

I PRIMI A PROTESTARE sono stati i vescovi Stephen E. Blaire di Stockton, California, e Richard E. Pates di Des Moines, Iowa, capi di due commissioni dell'episcopato americano per la giustizia e la pace. Hanno fatto loro eco novanta docenti della Georgetown University di Washington, tra i quali una decina di gesuiti, che hanno accusato Ryan di tradire la dottrina sociale della Chiesa. Ryan ha replicato sostenendo di applicare proprio quel principio della "sussidiarietà", cioè del primato delle famiglie, delle Chiese, dei gruppi di base rispetto allo Stato, che è uno dei cardini delle encicliche sociali dei papi. E altri vescovi gli hanno dato ragione, garantendo sulla sua cattolicità. Tra questi, il vescovo della sua diocesi, Robert C. Morlino, di Madison, Wisconsin.

Ha scritto una lettera a Ryan ricca di attestazioni di stima anche l'arcivescovo di New York, cardinale Timothy M. Dolan, lo stesso che ha capeggiato nei mesi scorsi la vigorosa campagna dell'episcopato americano contro Obama in difesa della libertà religiosa, ritenuta violata dall'obbligo fatto alle istituzioni cattoliche di assicurare i propri dipendenti anche riguardo a sterilizzazione ed aborto.

Ciò che è caratteristico degli Stati Uniti è che tutto questo avviene alla luce del sole, con prese di posizione pubbliche. Politicamente, vescovi e fedeli sono divisi, chi per Obama, chi per il mormone Romney. Nessuno chiede che i cattolici facciano corpo compatto, tanto meno formando un partito. Nessuno, da fuori, accusa di ingerenza i vescovi, cittadini alla pari. Nessuno invoca, come avviene in Italia, una organizzata immissione dei cattolici in politica. I cattolici già ci sono, per quanto ne sono capaci. Lo spazio pubblico è anche il loro, come lo è di tutti. La loro forza è di convincere, non di imporre.

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