Il 22 novembre del 1963 moriva a Dallas John Fitzgerald Kennedy. L'uomo più celebrato del mondo. Che aprì alla speranza di un mondo più uguale, più giusto, più democratico. Oggi, dopo cinquant'anni, si può tentare un bilancio

































Ci sono già stati anniversari tondi senza il diluvio di analisi e memorialistica che stiamo vivendo in questi giorni. Va bene, questo è più tondo degli altri (50 anni dalla morte di John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre 1963) e si porta come corollario 150 libri già pubblicati, dossier e copertine di pressoché tutti i giornali del mondo, speciali televisivi e la riproposizione dei numerosi film sul primo presidente cattolico degli Stati Uniti d'America.

IL LIBRO Quel sogno chiamato JFK raccontato dalle firme dell'Espresso

C'è da capire il perché di un fenomeno mai registrato con nessuna delle figure pur eminenti del passato. E allora bisogna partire dall'oggi, da noi, dal senso di spaesamento creato in un occidente che, a causa della perdurante crisi economica, del suo sentirsi vecchio e sorpassato da economie giovani ed esuberanti, volge lo sguardo alla figura che, più di tutte, aprì la speranza verso il futuro, diede all'America e all'Europa il senso di una centralità da ribadire, guardando oltre l'orizzonte per scorgere quella “Nuova Frontiera” che altro non era se non la promessa di un mondo più uguale, più giusto, più democratico. Quella figura è Jfk.

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Mezzo secolo dopo si può tentare un bilancio di quanto del suo sogno sia diventato realtà, quanto invece di quel cammino programmatico sia rimasto incompiuto. E quanto, purtroppo, in molti casi, si sia fatto un percorso a ritroso che smentisce la percezione di una storia umana lanciata come una locomotiva verso il progresso.

Noi de “l'Espresso” abbiamo scelto un modo che crediamo originale per illuminare a tutto tondo una presidenza e un'epoca di straordinario fervore e pressoché sconosciuta alle nuove generazioni. Che del kennedysmo hanno potuto apprendere solo gli slogan fuori contesto, le teorie complottarde e variegate sull'omicidio, lo scandalismo di una vita privata assai movimentata (da Marilyn in giù): lo scotto da pagare alla voracità voyeuristica da parte del primo leader davvero televisivo.

Ma se quello era il contorno ben altro era l'arrosto che girava sul sacro fuoco di un cambiamento radicale, favorito della sintonia con un popolo in cammino verso il superamento di una società paludata al punto da sembrare immobile.

Così, per ritrovare il senso stesso degli straordinari sconvolgimenti vissuti con la presa diretta della contemporaneità, abbiamo deciso di riprodurre in un libro gli articoli apparsi sul nostro settimanale in quei formidabili anni. La cronaca non può avere lo sguardo presbite dell'analisi critica postuma ma ha l'impagabile vantaggio della testimonianza diretta.

È la fonte prima di ogni serio tentativo di comprensione. Narra i fatti nel loro svolgersi con la freschezza della velocità. Così, dalla campagna elettorale vincente fino a Dallas, è un susseguirsi di emozioni e colpi di scena che, nell'insieme, separano Kennedy dal kennedismo, restituendo il senso di alcune lezioni apprese e poi dimenticate. E di cui oggi ci sarebbe urgente bisogno.

Jfk era cattolico ma volle mettere in chiaro subito, perché Roma intendesse, che mai avrebbe anteposto la fede alla laicità che gli sembrava dovesse permeare la sua azione pubblica. Nella difesa di una separazione dei poteri, temporale e spirituale, che ancora fatica ad essere accettata nell'Italia del nuovo Millennio e nonostante il dilemma faccia discutere fin dal Medioevo.

Jfk era ricco ma non esitò a definire “figli di puttana” i magnati dell'acciaio quando tentarono di alzare senza motivo i prezzi della materia prima e a metterli sotto processo per ribadire il primato della politica, dunque del bene comune, sull'economia e sulla finanza come dovrebbe essere in ogni democrazia matura. Jfk era anticomunista ma si tenne le mani libere per dialogare, senza pregiudizi, con quell'Unione Sovietica con cui divideva l'appellativo di superpotenza.

Nel libro abbiamo poi aggiunto, in prefazione e postfazione, analisi meditate di storici, giornalisti e opinionisti, per capire quanto valga un'eredità tutta da riscoprire. Soprattutto nei punti in cui la società multietnica già formata chiamata Stati Uniti d'America si poneva, superandolo almeno nella legislazione, il problema dell'uguaglianza e dei diritti. La società multietnica oggi è casa nostra.

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