Il Venezuela andrà alle urne il prossimo 14 aprile per scegliere chi tra Henrique Capriles Rodonski, l'oppositore, e Nicolas Maduro, il delfino, sostituirà alla presidenza Hugo Rafael Chávez Frías, morto il 5 marzo. Da allora il Paese è al centro dell'interesse dei media e delle cancellerie di tutto il mondo. Come mai tanta attenzione per una nazione apparentemente periferica? Partiamo dall'importanza del Venezuela, che è il primo paese al mondo in quanto a riserve di petrolio (18 per cento circa, cioè quasi un quinto, più dell'Arabia Saudita, che è al secondo posto in questa graduatoria) e dal fatto che da quando Chávez ha preso il potere (1999) fino a oggi il costo del petrolio per barile è decuplicato (da 10 a 100 dollari), toccando punte assai alte (145 dollari nel 2008). Questi due fattori hanno dato a Chávez la possibilità di proporsi come il leader di quell'anti-imperialismo dei poveri, che si respira anche in Messico e negli altri Paesi dell'area e fa dire amaramente: «Così lontani da Dio, così vicini agli Stati Uniti».
In questa veste, Chávez ha sostituito l'Unione Sovietica nel sostenere il regime cubano ed è diventato l'influente "benefattore" di un gruppo di leader politici e Paesi con problemi di disuguaglianza e povertà, quali Alvaro Uribe e, poi, Juan Manuel Santos in Colombia, Evo Morales in Bolivia, Daniel Ortega in Nicaragua, Rafael Correa (rieletto per la terza volta il passato 18 febbraio) in Ecuador.
Coerentemente, ha promosso o perseguito la leadership dell'area con associazioni di integrazione regionale: l'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (Alba) (2004); l'Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) (2008); e la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac) (2011), a cui hanno aderito quasi tutti i Paesi dell'area.
È stato altrettanto ovvio, per il defunto presidente, sviluppare rapporti privilegiati con l'Iran con cui ha istituito un fondo per gli Stati che vogliono liberarsi del "giogo imperialista" e concluso una serie di accordi commerciali e tecnologici, con la Russia con l'acquisto di armi, la stipula di accordi petroliferi e la promozione di investimenti in Venezuela, o con la Cina, di cui il Venezuela è diventato il settimo principale fornitore di energia ottenendo anche finanziamenti e investimenti diretti.
Ma con tutto il suo "feroce" anti-imperialismo Chávez è stato sempre attento sia a mantenere gli Usa come il mercato principale per il petrolio venezuelano, sia a non sviluppare l'arma nucleare. In breve, gli Usa gli hanno assicurato molti dei mezzi economici per essere "anti-imperialista", cioè anti-americano, ma Chávez in realtà ha usato l'anti-imperialismo per sviluppare la propria leadership nell'area, senza oltrepassare limiti non accettabili per gli Stati Uniti.
Qual'è stato l'esito effettivo di tutto questo? La sinistra di cui Chávez è stato il leader, ma di cui sono stati e sono espressione anche gli altri presidenti a lui vicini e tuttora al potere ha dato esiti contraddittori socialmente (la lotta alla povertà e alla disuguaglianza è stata accompagnata, spesso, da corruzione, clientelismo e parziale inefficacia), economicamente (alta inflazione e alto debito pubblico) e politicamente (burocrazie inefficienti e centralizzate, meno controllo del potere del presidente, meno indipendenza del giudiziario, abusi di potere delle forze di sicurezza, limitazioni effettive delle libertà dei cittadini, al punto da considerare proprio il Venezuela un paese ai confini tra democrazia e autoritarismo). Al tempo stesso, un'altra sinistra, quella di Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile (2002-10) e di altri leader, come Michelle Bachelet in Cile (2006-10), ha dato risultati più efficaci sia nella lotta alla povertà e alla disuguaglianza sia sul piano economico e della democrazia liberale. La scomparsa di Chávez può essere sia la fine di un anti-imperialismo di facciata, reso possibile dall'uso delle risorse petrolifere, sia l'inizio della fine dell'epoca dei caudillos che forse non hanno fatto tanto bene ai propri Paesi. Dunque il Venezuela sarà anche periferico per la geografia, non certo per la geopolitica, i delicati equilibri dell'America tutta e le decisive questioni energetiche.