Il primo ministro Erdogan punta a una repubblica presidenziale. E ha bisogno della pace con la minoranza etnica guidata da Öcalan

L'incubo della Turchia, che dura ormai da 28 anni, potrebbe ben presto finire. Questo almeno è il sentimento diffuso nel paese mentre i negoziati fra il capo dei servizi segreti Hakan Fidan e il leader del Pkk (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan oggi fuorilegge), Abdullah Öcalan, ancora in carcere, comincia a dare i suoi frutti. Finora questa nuova fase di trattative è rimasta aperta nonostante l'assassinio a Parigi di tre attiviste curde. Nel frattempo sono filtrati i verbali di un incontro fra Öcalan e tre membri curdi del parlamento appartenenti al Partito nazionalista curdo (Bdp). I sondaggi indicano che l'opinione pubblica è cautamente ottimista, anche se il riesplodere di tensioni è un'eventualità tutt'altro che trascurabile.

DURANTE LE CELEBRAZIONI della ricorrenza simbolicamente importante del Newroz (la Giornata della primavera), due parlamentari del Bdp hanno letto il messaggio di Öcalan dinnanzi a un'immensa folla riunita nella piazza centrale della principale città curda di Diyarbakir: un appello in cui Öcalan chiedeva un cessate il fuoco e il ritiro delle delle milizie del Pkk dal territorio turco, annunciando che l'era della violenza era finita e i curdi dovevano agire entro i confini della democrazia e della competizione ideologica.

Se tutto andrà bene, entro la fine dell'anno il Pkk potrebbe iniziare la smobilitazione. I suoi dirigenti rifugiati sulle montagne di Kandil in territorio iracheno e in Europa hanno espresso a quanto pare dei dubbi, ma hanno accettato il calendario e il piano d'azione proposti da Öcalan.
Il primo ministro turco Erdogan ha ufficialmente riconosciuto l'esistenza di un "problema curdo" già nel 2005 e nel 2009 ha manifestato per la prima volta un'apertura, che si è rivelata però un'occasione mancata. Negli ultimi due anni, l'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo oggi al potere, che ha raccolto quasi la metà dei voti dei curdi nelle elezioni politiche del 2011, ha inasprito il suo atteggiamento verso gli affiliati del Pkk.

Molti attivisti dell'ala politica del Pkk sono finiti in prigione in seguito a nove ondate consecutive di arresti. Ad Öcalan è stato i impedito di ricevere visitatori, compresi i suoi avvocati, per otto mesi. Erdogan stesso è stato il primo a vilipendere il movimento politico turco. Salvo poi dichiarare improvvisamente, durante un'intervista televisiva, che il suo governo aveva avviato colloqui con Öcalan. Come si spiega questo voltafaccia? La risposta cinica è che per concedere a Öcalan quel che vuole, Erdogan chiede in cambio il sostegno dei curdi a una nuova costituzione che trasformerà il sistema politico turco in un regime presidenziale, senza controlli e contrappesi. Erdogan aspira infatti a diventare il prossimo presidente della Turchia e il primo a essere eletto a suffragio diretto. Ma anche se questo non fosse vero la Turchia dovrebbe pur sempre affrontare la questione curda.

I cambiamenti storici avvenuti in Medio Oriente dopo la guerra contro l'Iraq e le rivolte arabe rendono molto gravoso per la Turchia il continuo rinvio di una soluzione del suo problema con i curdi. La guerra in Iraq ha prodotto come conseguenza un Governo regionale del Kurdistan quasi indipendente che sta diventando il principale partner commerciale della Turchia. Una su due delle società straniere operanti in questo territorio è turca. Il gas e il petrolio curdi raggiungeranno il mercato mondiale attraverso la Turchia. L'ironia della storia ha voluto così che i curdi iracheni siano diventati i partner più affidabili della Turchia nella regione e viceversa. Nonostante le ire di Baghdad e le obiezioni di Washington, le politiche di sostegno di Ankara al Kurdistan iracheno continuano.

Dopo la guerra in Iraq e la rivolta in Siria la questione curda non è più soltanto un problema nazionale dei paesi in cui i curdi vivono. Il Pkk è l'unica organizzazione presente sotto diversi nomi in tutti i paesi che ospitano questa minoranza. È dunque imperativo per il governo turco risolvere la questione curda e reprimere qualsiasi tendenza separatista che potrebbe ancora riaffiorare pericolosamente nella Turchia stessa.

La guerra civile in Siria ha allentato la presa di Damasco sulle regioni a predominanza curda anche all'interno di questo paese. La più forte organizzazione politica tra i curdi siriani è il Partito di Unione Democratica (Pyd) affiliato al Pkk. E poiché la Turchia ha puntato molto sull'opposizione siriana, schierandosi a favore dei Fratelli musulmani in quanto potenza sunnita, si è sentita minacciata dall'emergere del Pyd come importante attore nella guerra civile siriana.
Come ha osservato Daniel Dombey, sul "Financial Times", «Ankara è tristemente consapevole del fatto che un'organizzazione affiliata al Pkk ha conquistato una forte presenza nelle regioni di confine della Siria: un motivo in più per cercare di trovare un accordo con l'organizzazione madre».

Molto perciò dipende dal successo della nuova fase di negoziati sia sul piano interno sia su scala regionale. Se queste trattative andranno a buon fine, allora l'economia della Turchia, come pure le sue ambizioni regionali, ne trarranno un formidabile beneficio.