Obama e il premier cinese Xi Jinping promettono di ridurre le emissioni-serra. Ma il presidente Usa in patria deve fare i conti con il Congresso in mano ai repubblicani, ostili alle politiche della sostenibilità

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La stretta di mano fra Barack Obama e Xi Jinping, i presidenti dei due Paesi più energivori al mondo, che al vertice Apec hanno promesso di impegnarsi a ridurre le rispettive emissioni di gas-serra, potrebbe essere la scintilla dell’auspicato accordo mondiale per fronteggiare un cambiamento climatico ormai evidente, dall’America alla Cina. Ma la strada verso la riconversione energetica planetaria, per quanto urgente e irrinunciabile, è più irta di ostacoli che mai.

C’è scritto a chiare lettere nel nuovo World Energy Outlook, appena presentato a Londra dall’IEA (International Energy Agency). Da qui al 2040 si prevede che la domanda di energia cresca di un corposo 37%. I progressi tecnologici in termini di efficienza lasciano spazio a un po’ di ottimismo, ma – si legge nel rapporto – «le preoccupazioni sulla sicurezza e sulla sostenibilità dell’offerta di energia restano intatte».

Il guaio, a dirla tutta, è che la sicurezza e la sostenibilità non camminano mano nella mano. La sicurezza degli approvvigionamenti energetici, così indispensabile alla società moderna, sembrerebbe garantita dal grande afflusso del nuovo petrolio americano, il cosiddetto shale oil, che ha riportato gli Usa in vetta ai paesi produttori e soprattutto ha allagato il mercato, contribuendo a spingere il prezzo al barile sotto agli 80 dollari (contro i 120 di pochi mesi fa). Ma l’IEA ammonisce: non illudetevi. «Questa immagine a breve termine di un mercato petrolifero ben rifornito - dice l’agenzia nata a Parigi da una costola dell’Ocse, subito dopo la prima crisi petrolifera del 1973 - non deve nascondere le sfide all’orizzonte».

La stretta di mano tra Barack Obama e Xi Jinping
In particolare, «l’instabilità in Medioriente, che rimane l’unica fonte di petrolio a basso costo, raramente è stata così alta dagli shock degli anni ’70».

Per quanto riguarda la sostenibilità del sistema energetico, si sa bene che sostenibile non è. Secondo le stime dell’IEA, da qui al 2040 il mix mondiale sarà quasi ugualmente diviso in quattro parti: petrolio, carbone, gas e fonti rinnovabili. «In questo scenario – dice Fatih Birol, il capoeconomista che cura il rapporto annuale – le emissioni di anidride carbonica saliranno ancora del 20%, mettendo il mondo sulla traiettoria di un aumento della temperatura media di 3,6 gradi centrigradi», contro i 2 gradi che gli scienziati dell’Ipcc hanno definito come la soglia di rischio.

C’è chi dice che le energie rinnovabili sopravvivono grazie ai sussidi ma – secondo i dati dell’IEA – solare, eolico e biomasse hanno ricevuto 120 miliardi di aiuti nel 2013, contro i 550 dei combustibili fossili. Senza contare che, con un prezzo del petrolio così basso, la convenienza a investire sulle fonti pulite di energia diminuisce sensibilmente. Così, il legittimo interesse del genere umano alla sicurezza energetica si scontra con l’altrettanto irrinunciabile interesse a non cambiare il clima del pianeta fino alla soglia dell’inabitabilità.

L’International Energy Agency, certamente non popolata da ambientalisti radicali, dice che «l’obiettivo dei 2 gradi richiede un’urgente azione per sterzare il sistema energetico verso un sentiero più sicuro» e che fra qualche mese produrrà un report sull’argomento «prima del cruciale vertice di Parigi».

Il 30 novembre dell’anno prossimo è infatti convocato a Parigi l’annuale summit delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. È da ormai quattro anni che, fra la generale insipienza delle trattative, tutti indicano l’appuntamento parigino come il traguardo di un accordo possibile e, soprattutto, capace di coinvolgere anche la Cina (che con il Protocollo di Kyoto non aveva obblighi) e gli Stati Uniti (che non hanno mai mosso un dito, con la scusa che la Cina non era in gioco).

La stretta di mano fra Obama e Xi, sembra preludere a una svolta, che tutti già definiscono «storica». Prima che diventi storica per davvero, ci sono ancora parecchi ostacoli da superare.

Barack Obama deve fare i conti con un ostacolo che Xi Jinping non sa neppure cosa sia: il Congresso. Oggi che i repubblicani, da sempre oppositori delle spinte ambientaliste del presidente, controllano sia il Senato che la Camera, la ratifica di un accordo per ridurre e disincentivare i consumi di combustibili fossili potrebbe non essere così facile.

La storia del Protocollo di Kyoto, firmato in pompa magna dal vicepresidente Al Gore eppure mai ratificato dal Senato degli Stati Uniti, è un esempio storico eloquente. Senza contare che, quando venne raggiunta l’intesa a Kyoto nel 1997, gli Stati Uniti erano una potenza petrolifera in declino. Oggi, con la rivoluzione tecnologica che ha portato allo sfruttamento dello shale oil (e dello shale gas), sono tornati ad essere il primo produttore di energia fossile al mondo.

Molto dipenderà dalle soluzioni che usciranno dal vertice di Parigi. La scelta del «cap and trade», il mercato delle emissioni attualmente in vigore quasi solo in Europa, ha dato risultati insoddisfacenti. Qualunque sia la soluzione che verrà adottata per disincentivare l’uso dei combustibili fossili (una «carbon tax» diretta sarebbe forse la soluzione migliore), resta il fatto che il prezzo del petrolio, del carbone e del gas debba aumentare. Un po’, per mettere in conto il danno ambientale prodotto dalla loro combustione. Un po’ per incoraggiare lo sviluppo tecnologico e commerciale delle fonti rinnovabili, che sono nell’inevitabile futuro del genere umano.

Peccato solo che, con l’attuale prezzo basso del barile, il mercato stia remando nella direzione opposta: verso l’insicurezza e l’insostenibilità.