Il prossimo governo che siederà a Nuova Delhi si ritroverà difatti tra le mani l’ingrato compito di traghettare l’India dalla crisi che ha rallentato negli ultimi due anni lo sviluppo del Paese, a fare i conti con i cento milioni di giovani (gli elettori della prima volta...) che sono per la maggior parte in cerca di occupazione e a raccogliere la sfida da far tremare i polsi che la composizione e l’anima stessa di un Paese con più di un miliardo di abitanti che non parlano la stessa lingua e non hanno la stessa religione pongono a chiunque cerchi di governarlo: coniugare passato e futuro, sviluppo e giustizia sociale. Eliminare i contrasti ormai stridenti tra città e villaggi, tra l’India che viaggia a una velocità da tempo superiore a quella di ogni Paese occidentale e l’India in cui buona parte della popolazione vive ancora nel diciottesimo secolo. Eliminare la minaccia interna, più volte definita «più pericolosa dell’integralismo islamico» dei guerriglieri maoisti che trovano nutrimento e slancio proprio nella sperequazione sociale e nella quasi totale assenza dello Stato in tema di salute pubblica, istruzione decente, acqua potabile, energia elettrica. Un esempio: all’affermazione di Narendra Modi, punta di diamante della destra estrema, di volere «un’India libera dal partito del Congresso» (quello della dinastia Gandhi) uno dei componenti del governo ha risposto : «Modi farebbe meglio a desiderare un’India libera dal bisogno di dover defecare all’aperto». Come accade ancora a buona parte della sua popolazione.
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Con buona pace dei musulmani massacrati, dei politici assassinati o morti in strani incidenti, e di quei cittadini indiani e buona parte della società civile che lo considerano ancora il male assoluto. Il fatto è che “pecunia non olet” e Modi, puntando tutta la sua campagna elettorale su temi di natura economica gode del supporto della quasi totalità degli uomini d’affari, hindu o musulmani che siano. Nonché di quella fetta di middle class che cerca di fare un salto di reddito e di classe sociale.
Di fronte alla straripante immagine di NaMo, l’immagine del giovane Rahul Gandhi, fino a poco fa candidato naturale del partito del Congresso, è sbiadita pian piano fino a scomparire quasi del tutto. Tanto che, dicono i maligni, anche sua madre non ha avuto il fegato di candidarlo ufficialmente a premier. Alla guida della campagna elettorale del Congresso sono difatti in tre: Manmohan Singh, che però è fuori dai giochi, la stessa Sonia Gandhi e il malinconico Rahul. Che è bello, giovane, moderno ed educato e però manca assolutamente di carisma e della capacità di trascinare le masse che ha invece Modi. A suo sfavore pesa la crisi economica, in cui l’India è entrata negli ultimi otto anni di governo guidato dal Congresso, e l’essere l’erede della dinastia politica più famosa dell’India: i Nehru-Gandhi. NaMo, figlio di un chaiwallah (venditore di tè) si fa forte delle sue origini opponendole alla gioventù dorata (e in molti dicono anche bruciata) del ricco e cosmopolita Rahul, educato all’estero e considerato poco in grado di comprendere la realtà del Paese.
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Stando ai sondaggi Kejriwal non ha alcuna possibilità di vincere ma rischia di portar via una buona fetta di voti a Narendra Modi. Lo scontro più appassionante sarà a Varanasi dove Modi e Kejriwal si sono entrambi candidati. E dove il Congresso potrebbe tirare fuori il classico asso dalla manica proponendo Pryianka Gandhi, la carismatica sorella di Rahul praticamente identica a nonna Indira. La battaglia di Varanasi insomma, con i candidati ancora ai blocchi di partenza e i giochi fatti soltanto a metà, si annuncia epica. A beneficiarne sono per il momento gli abitanti della città sacra agli induisti di tutto il mondo: in una stagione morta si sono ritrovati invasi da politici, curiosi, sostenitori. Non si trova una stanza ed è tutto prenotato almeno sino a fine aprile.
Intanto, i preparativi fervono. I sondaggi si sprecano, così come tavole rotonde e i dibattiti. Via sms circolano battute e barzellette. La più in voga dice: “Rahul Gandhi è la sinistra, Modi è la destra e Kejriwal l’inversione a U”. Per dovere di cronaca bisogna ricordare che, oltre ai tre candidati principali, per il ruolo di premier corrono anche due signore: l’ex-attrice Jayalalitha, “Amma” per i suoi seguaci, che da quindici anni governa il Tamil Nadu; e Mamata Banerjee, la controversa e pittoresca pasionaria che ha strappato Calcutta e il West-Bengala dopo cinquant’anni di ininterrotto dominio comunista. Cercheranno di essere l’ago della bilancia se, come tutti prevedono, il vincitore dovrà formare un governo di coalizione.