Il 15 giugno potrebbe cambiare il destino del paese. A contendersi la presidenza, al ballottaggio, sono due candidati di destra. Ma con due idee opposte sul futuro. Da una parte la mediazione con la guerriglia. Dall'altra la continuazione del conflitto

Sei milioni di sfollati; 152 mila denunce in sei anni per omicidi e abusi da parte dei paramilitari anti-guerriglia; intere zone del paese ancora sotto il controllo dell'“esercito rivoluzionario”; metà della popolazione senza copertura sanitaria.

Eppure, un Pil in crescita del 4,5 per cento all'anno. E vasti giacimenti di oro, coltan, smeraldi, rame e carbone ancora da sfruttare. Questa è la Colombia che il 15 giugno dovrà decidere il suo futuro presidente.

Scegliendo al ballottaggio fra il capo di Stato uscente, Juan Manuel Santos, e il conservatore Oscar Ivan Zúluaga. Entrambi di destra, entrambi fedeli alla politica pro-Stati Uniti del gigante sudamericano, ma su posizioni opposte per quanto riguarda il futuro del paese o meglio, la sua speranza di pace. Perché se il primo, Santos, ha avviato nel 2012 dei colloqui bilaterali per arrivare a un accordo con i guerriglieri, il secondo ha sempre criticato duramente l'ipotesi di una trattativa con quelli che considera dei terroristi.

Così, anche le forze di sinistra, tra cui il sindaco progressista di Bogotà che non ha mai risparmiato critiche all'attuale presidente, propongono di sostenerlo al ballottaggio. Pur di non vedere sfumata l'ultima promessa per uscire da un conflitto civile che dura da più di 50 anni e che avrebbe causato, secondo le stime più prudenti, almeno 300 mila morti. «Per i colombiani si tratta di scegliere se continuare ad essere un'anomalia oppure provare a chiudere, finalmente, una lunga stagione di massacri e violenze», commenta Guido Piccoli, giornalista e autore di “Colombia, il paese dell'eccesso”.

Non solo. In mezzo ai conflitti fra esercito, squadre nere e guerriglieri, si gioca anche il futuro di otto milioni di contadini. Le cui richieste, se fossero accolte, potrebbero avere conseguenze tali da arrivare fino a noi.

Il presidente uscente Juan Manuel Santos


UNA PACE COSTOSA
La sfida, quindi, è fra la pace e la guerra. E lo dimostra l'attenzione quasi esclusiva, nello scontro mediatico fra i due candidati, ai colloqui in corso fra governo e Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) a La Habana, Cuba. Avviati nell'agosto del 2012, con l'arbitraggio di Cile e Venezuela, prevedono di raggiungere la non belligeranza attraverso un patto in sette punti, fra cui c'è il riconoscimento delle vittime, l'istituzione di un comitato per la verità, la partecipazione politica dei guerriglieri e la soluzione del problema del narcotraffico, con un referendum popolare che dovrebbe convalidare il risultato finale dei colloqui. A gennaio, il presidente uscente Santos dichiarò che entro l'anno sarebbe riuscito a portarli a termine, essendo già compiuta la mediazione sui primi tre problemi, benché nessuno dei contenuti concreti della trattativa sia stato reso pubblico.

I colloqui di pace avviati a La Habana con le Farc


Nel frattempo, lo sfidante Zuluaga, che in un primo momento aveva dichiarato che in caso di vittoria avrebbe sospeso, appena eletto, i negoziati, è tornato sui suoi passi. Prima, è stato travolto dallo scandalo di un video pubblicato da La Semana (e condiviso in poche ore da decine di migliaia di persone), in cui si vede il candidato in compagnia di un hacker, Andrés Fernando Sepúlveda Ardila, ora indagato, mentre mostra come sia riuscito a intercettare le parole dei delegati di pace a La Habana. Poi, per stringere alleanze in vista del ballottaggio (al primo turno Zuluaga ha preso il 29,5 per cento dei voti contro il 25,69 di Santos) ha ritrattato la sua posizione, scrivendo che avrebbe lasciato continuare i negoziati seppur imponendo tempi stretti per una soluzione.

Il candidato di Uribe, Oscar Ivan Zuluaga


In mezzo allo scontro politico, c'è il destino di milioni di famiglie. Solo gli omicidi confessati fra il 2005 e il 2012 dai paramilitari alla commissione istituita dal ministero della Giustizia per il disarmo sono stati 27.275. A cui aggiungere oltre mille massacri, stupri, sparizioni forzate, torture, che portano le denunce verificate a 51.906 vittime. Per le organizzazioni umanitarie, tra l'altro, questi non sarebbero che il 10 per cento dei crimini commessi dalle squadre nere anti-guerriglia.

Dall'altra parte le Farc continuano a essere il gruppo guerrigliero più longevo del Sud America, l'unico a contare ancora su un esercito di almeno 8mila soldati, capaci di imporre il proprio potere su intere zone del paese. Un potere dimostrato anche con sequestri eccellenti, come quello, durato sei anni, della deputata Íngrid Betancourt.

Una manifestazione sul problema dei desplazados e dei falsos positivos


Lo stesso Santos, che ora si propone come emissario di pace, era ministro della Difesa sotto la presidenza di Alvaro Uribe (ora suo aperto avversario), quando, nel 2008, più di 1500 innocenti vennero giustiziati e fatti passare per combattenti guerriglieri in una scandalosa operazione di propaganda, un orrore denunciato dai media col nome di “falsos positivos” e sul quale un giornalista italiano, Simone Bruno, ha realizzato un durissimo documentario. Oltre alle vittime dirette del conflitto, ci sono poi quelle indirette. E fra queste rientrano le sei milioni di persone che vivono da sfollate nel loro stesso paese, avendo dovuto lasciare cascine e villaggi per via combattimenti.

CONTADINI IN VIA D'ESTINZIONE
Per tutti questi numeri, e questi motivi, i candidati sanno che la loro credibilità si giocherà sulla richiesta di pace da parte della popolazione. Ma quello del conflitto civile non è l'unico fronte aperto. Lo dimostra il primo punto all'ordine del giorno nelle trattative con le Farc. Ovvero “l'instaurazione di una politica di sviluppo agrario integrale”, la stessa richiesta che arriva dagli otto milioni di contadini colombiani.

La scorsa estate, per due mesi, gli agricoltori scioperarono, chiedendo al governo di iniziare una riforma agraria rivolta ai piccoli proprietari e non più ai grandi latifondisti stranieri. «Durante lo sciopero i prezzi di cipolle, patate e frutta a Bogotà triplicarono», racconta Giorgio Sabaudo, giovane antropologo italiano che ha appena concluso una laurea magistrale a Genova con una tesi dedicata allo sviluppo agricolo e industriale della Colombia: «Le manifestazioni e i blocchi si sono conclusi con 262 arresti, 485 feriti, dodici omicidi. Ma i contadini hanno ottenuto l'attenzione del governo». Santos infatti ha promesso che avrebbe avviato delle trattative. «I piccoli agricoltori si sono organizzati. In 5mila, a marzo, si sono riuniti nella capitale per stabilire le loro proposte», racconta Sabaudo: «Ovvero, in fondo, quella di adottare politiche di protezione per i piccoli e medi contadini, proteggendo le coltivazioni autoctone al posto dei semi brevettati ».

Fumigazioni in Catatumbo


Hanno il timore di scomparire, dice il ricercatore: «15 anni fa i campesinos erano il doppio di oggi. E il cambiamento non è dovuto tanto a uno sviluppo industriale. Quanto allo sfollamento per far posto a miniere a cielo aperto e a coltivazioni intensive gestite principalmente da multinazionali straniere. Non a caso il coefficiente di Gini, l'indice di disuguaglianza sociale, in Colombia, è fra i più alti al mondo».

Manifestazione per i desaparecidos colombiani


Al primo turno, i contadini organizzati dello sciopero generale hanno votato quasi compattamente per Clara Lopez, la candidata della sinistra che ha preso il 15,23 per cento, riportando sulla scena Union Patriotica, «un partito democratico nato negli anni '80 e scomparso dopo che in un solo biennio quattromila suoi militanti furono uccisi o fatti sparire», spiega Sabaudo. Ma adesso, al ballottaggio, l'indicazione è sostenere Santos, per proteggere il timido dialogo avviato.

Anche il sindaco di Bogotà, l'economista di sinistra Gustavo Petro, destituito per un'indagine sul trattamento dei rifiuti e poi riabilitato, ha dichiarato il suo appoggio al presidente uscente. «Il paese è cambiato, e Santos, che possiede giornali e tv, lo sa bene», prova a spiegare Guido Piccoli: «Seppure abbia mantenuto la politica ultra-liberista del suo predecessore, Santos ha un'idea più moderna di paese. Uribe invece, di cui Zuluaga segue le scelte politiche, è estremamente conservatore, e se dovesse vincere il suo partito cercherebbe di portare avanti la linea di sempre: quella della guerra».

Un militare in Colombia


SEMI E COCAINA

Le ripercussioni del voto del 15 giugno potrebbero arrivare fino in Italia. Perché uno dei punti chiave delle due trattative in corso, quella con la guerriglia e quella con i contadini, è la riconversione dei campi coltivati a coca, marijuana e papavero da oppio. Gran parte dell'economia colombiana infatti, nonostante i soldi e gli sforzi profusi dagli Stati Uniti nella “guerra alla droga”, è ancora legato all'economia criminale degli stupefacenti, prodotti in campi e regioni controllate in buona parte dagli stessi guerriglieri. Il rapporto con le narcomafie italiane è stato più volte dimostrato, anche da osservatòri come quello di Libera di Don Ciotti impegnati a sostenere le associazioni colombiane per i diritti umani. E un successo sul fronte della mediazione potrebbe essere un colpo ai rapporti commerciali illegali tra i nostri paesi.

L'altro aspetto riguarda invece l'agricoltura. La richiesta dei campesinos di frenare l'importazione e l'utilizzo delle sementi modificate geneticamente prodotte negli Stati Uniti, e spesso imposte con già un brevetto marchiato da una grande multinazionale, ha diretta eco nel dibattito europeo di questi giorni sull'introduzione della ricerca negli Ogm, ora lasciata alla libertà dei governi nazionali. In Colombia, dicono i contadini, è ormai una questione di sopravvivenza: o quei semi, o loro.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso