
Si parlava, un tempo, di finlandizzazione: il termine nacque in Germania negli anni Sessanta e indicava la condizione di sudditanza di un Paese piccolo nei confronti di un vicino grande e potente. Era il caso, appunto, della Finlandia verso l'Urss durante la Guerra Fredda.
A inizio giugno è stato lo stesso ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in visita proprio in Finlandia, a ricordare il ruolo del Paese come storico ponte tra Mosca e Occidente. Lo ha fatto augurando un analogo ruolo per l'Ucraina, e il paragone è stato quanto mai improprio, visto che è proprio il comportamento di Mosca verso Kiev ad avere accelerato l'allontanamento di Helsinki dalla superpotenza.
Ma andiamo con ordine. Dopo aver conquistato l'indipendenza dalla Russia nel 1917, e dopo aver combattuto contro l'Urss nel secondo conflitto mondiale, nel dopoguerra la Finlandia dovette cedere una parte del proprio territorio a Mosca, ma rimase una nazione indipendente. Fuori dal blocco sovietico, fu molto attenta a non urtare la suscettibilità del Cremlino, e infatti rifiutò l'aiuto americano del Piano Marshall e si contraddistinse per una politica estera neutrale e per ottimi rapporti commerciali con l'Urss, pur adottando un sistema economico capitalistico.
Entrata nell'Unione Europea nel 1995, nel 2002 ha rimpiazzato il marco con l'euro, e grazie allo scudo di Bruxelles si è fatta più audace nei rapporti con Mosca, come molti dei Paesi che un tempo gravitavano nell'orbita sovietica, dalla Polonia ai baltici. I principali motivi di contesa con la Russia si chiamano oggi Ucraina e Nato. E sono strettamente legati.
La Finlandia è sempre stata alquanto fredda davanti alla possibilità di entrare nell'alleanza militare atlantica, proprio per non indispettire i vertici del Patto di Varsavia. Tuttavia qualcosa sta cambiando. A giugno il ministro della difesa Carl Haglund ha dichiarato che il suo Paese dovrebbe seriamente considerare l'ingresso della Nato, viste le azioni aggressive della Russia nei confronti dell'Ucraina, nazione che nei mesi scorsi, dopo l'annessione russa della Crimea e con il passaggio dalla presidenza di Viktor Yanukovych a quella di Petro Poroshenko, ha scelto definitivamente di sfidare Mosca e avvicinarsi all'Ue.
Haglund è arrivato a ipotizzare in proposito un referendum dopo le elezioni del 2015, e a chi gli faceva notare che nei sondaggi solo un quinto dei finlandesi vuole la Nato ha risposto che un franco dibattito, in cui si ricordi che il Paese condivide con la Russia un confine di 1.300 chilometri, potrebbe cambiare le cose (a maggio, peraltro, due jet russi hanno minacciosamente violato per due volte il loro spazio aereo).
«Oggi le ragioni per un ingresso nell'Alleanza sono più forti che mai», ha aggiunto, ricordando anche la guerra del 2008 tra la Russia e un altro vicino, la Georgia. Anche il neopremier Alexander Stubb, conservatore a capo di una Grande Coalizione, si è detto favorevole, sebbene sulla questione ucraina avverta i partner europei di stare attenti a non penalizzare, con le sanzioni contro Mosca, Paesi come la Finlandia, per cui Mosca è tra i primi partner commerciali.
All'idea che Helsinki possa aderire alla Nato la Russia si oppone totalmente, così come a qualsiasi allargamento di quell'alleanza nella sua ex sfera di influenza (vedasi l'Ucraina). Prova ne sono le recenti dichiarazioni apocalittiche di Sergei Markov, consigliere politico di Vladimir Putin: «La Finlandia deve pensare alle conseguenze se entra nella Nato. Deve chiedersi se potrà portare alla Terza Guerra Mondiale. L'antisemitismo ha dato infatti il via alla seconda, e la russofobia potrebbe fare iniziare la terza. La Finlandia è uno dei Paesi più russofobi d'Europa, dopo la Svezia, la Polonia e i baltici».
Già, la Svezia. A Mosca non va giù nemmeno che Stoccolma, il cui ministro degli Esteri Carl Bildt è stato in prima linea nel difendere l'Ucraina, stia considerando l'adesione alla Nato. Dell'ingresso della Finlandia, come detto, se ne riparlerà solo dopo il 2015, anche perché i socialdemocratici, anch'essi al governo, sono contrari, e la crisi ha intanto spinto Helsinki a tagliare i fondi all'esercito, per cui già spende poco (l'1,2 per cento del prodotto nazionale, contro una media Nato dell'1,5).
Tuttavia il tema è ormai entrato nell'agenda politica. E Mosca può preoccuparsi. Perché la “definlandizzazione” di Helsinki è sempre più completa.