Parla la scrittrice Zenyep Oral, che ha assistito alla trasformazione di un Paese laico e moderato in un regime opprimente e teocratico. E che denuncia: "Il governo aiuta l'Is"

Capelli lunghi e biondi, occhi chiari, grandi orecchini, Zeynep Oral, è presidente di Pen International Turkey, la costola turca del network di giornalisti da tutto il mondo che si occupa di monitorare e tutelare la libertà di espressione, di stampa e di opinione in Turchia.

In patria è una personalità della cultura nazionale: giornalista, scrittrice, critica teatrale e opinionista, Oral ha scritto negli anni diversi libri, alcuni dei quali tradotti anche in italiano, che hanno accompagnato e descritto la storia della Turchia contemporanea. A partire dai movimenti di emancipazione e secolarizzazione del Dopoguerra fino alla odierna riaffermazione di sentimenti islamisti radicali. La scrittrice denuncia il governo che sta progressivamente introducendo una serie di leggi per cancellare le libertà individuali delle donne e riducendo ai minimi storici la libertà di stampa e la democrazia. Senza dimenticare i legami logistici ed economici con lo Stato islamico.

“Il problema più grave” spiega all’Espresso “è il consenso che Erdogan riesce a riscontrare in ampie fasce della popolazione. Ogni volta che denunciamo una delle sue malefatte riceviamo migliaia di mail di minacce e non è raro che le nostre redazioni vengano attaccate da manifestazioni di protesta spontanee. Non posso dire con certezza se ci sia una regia governativa dietro tutto ciò, resta il fatto che il suo consenso non può essere sottovalutato”. Quando parla di Erdogan la sua voce assume una punta di rabbia, come se con lui avesse una questione in sospeso. “Gli devo la mia perdita della fede. Sono nata musulmana, oggi non posso che definirmi una femminista che combatte il regime teocratico che vige in Turchia, cosa che mi ha allontanato dalla religione. Senza di lui ciò non sarebbe mai avvenuto”.


Signora Oral, quando Erdogan venne eletto la Turchia era uno Stato islamico considerato all’avanguardia dall’Occidente. Oggi tutto è cambiato. Cos’è successo?
“Erdogan non è mai stato un’avanguardia. La Turchia lo era prima che lui arrivasse, perché era figlia di un lungo processo di democratizzazione e secolarizzazione che la rendeva un modello per tutti gli altri Paesi islamici. Con l’avvento del’attuale presidente tutto è cambiato. Uno dei suoi primi atti appena insediato fu quello di convocare per un incontro le rappresentanti delle associazioni femministe turche, che invitò a rinunciare alle proprie battaglie dicendo apertamente: "il nuovo governo considera la donna inferiore all’uomo". Nei mesi successivi ha iniziato a emanare leggi assurde per limitare la libertà di stampa e a fare pressione sugli editori liberi perché chiudessero o cedessero l’attività a persone a lui vicine, spesso riuscendoci. Mentre tutto ciò avveniva, però, l’Occidente non faceva altro che cantare le sue lodi e non dava retta a noi giornalisti che cercavamo di aprire loro gli occhi. Quando l’hanno fatto era ormai troppo tardi e si trovano oggi a fronteggiare una situazione in cui la libertà di stampa è molto limitata, i diritti delle donne negati, le minoranze etniche oppresse e la democrazia in serio pericolo”.

Le colpe sono dunque sia da parte turca che occidentale.
“Assolutamente sì. L’Occidente è sempre stato legittimamente avverso alle giunte militari che hanno governato la Turchia prima di questo governo, ha però sottovalutato la pericolosità di Erdogan, che secondo me è la cosa peggiore che potesse capitare. Se sotto i militari vigeva un regime oppressivo in cui era chiaro ciò che si poteva o non si poteva fare, oggi si vive nell’incertezza. Le nuove leggi antiterrorismo, per esempio, non sono assolutamente chiare e comprensibili e il governo le applica a suo piacimento, a seconda della persona che vuole perseguire. In questo modo ad alcuni cittadini vengono concesse libertà che ad altri sono precluse. Alcune persone si trovano ad essere arrestate pur ignorando di avere commesso un reato. E’ il caso per esempio di un noto pianista turco, che è stato perseguitato dal governo per avere twittato una poesia di centinaia di anni fa, rea di esprimere concetti promiscui. Essa, però, era stata twittata da altre 20mila persone e nessuna ha avuto conseguenze. Alcune leggi, dunque, valgono solo per alcune persone”.


La stampa viene censurata in nome della sicurezza nazionale?
“Sì. Per esempio quasi nessuno oggi parla degli attentati di Ankara di qualche settimana fa che sono paragonabili a quelli di Parigi. Il mio giornale avrebbe voluto scriverne, ma abbiamo subìto una forte censura governativa, che ci ha impedito di diffondere notizie, video e immagini. Erdogan non vuole mostrarsi debole, non vuole dover riconoscere al mondo che la sua vicinanza ai terroristi dell’Is stia destabilizzando il Paese. E per questo noi non ne possiamo parlare. E chi lo fa ha seri problemi. Negli ultimi 13 anni oltre cento giornalisti turchi hanno perso il lavoro per tali motivi”.

La vicinanza del governo turco allo Stato islamico sta dunque aggravando la situazione per donne e giornalisti?
“Non solo per loro, ma anche per le minoranze etniche, come quella curda. Erdogan non lo riconoscerà mai pubblicamente, ma in patria i suoi legami con l’Is sono risaputi. E ciò porta a palesi contraddizioni nei suoi comportamenti: dopo i fatti di Charlie Hebdo Erdogan andò a Parigi a farsi filmare mente camminava mano nella mano con gli altri Capi di Stato. Contemporaneamente il mio giornale pubblicò le vignette di Charlie Hebdo, cosa che scatenò la reazione degli islamisti radicali che sostengono il governo, il quale per accontentarli ci ha messo sotto processo. La vicinanza all’Occidente e ai suoi valori che Erdogan ostenta sui canali internazionali non combacia assolutamente con quello che vediamo in Turchia, dove le autorità hanno aiutato l’Is, reprimono la stampa e annullano le conquiste fatte dalle donne. Un altro episodio emblematico è avvenuto quando il mio giornale ha pubblicato le foto di alcuni uomini dell’intelligence turca che portavano armi in Siria, destinate proprio allo Stato islamico: il governo fece causa all’editore e a noi per avere detto la verità. Per questo motivo, oggi, rischiamo di chiudere”.


In che modo la vicinanza di Erdogan all’Is sta danneggiando i diritti delle donne?
“Le donne turche non sono più un esempio per il mondo islamico come lo erano prima dell’arrivo di Erdogan. Il governo ripete chiaramente che il loro ruolo è esclusivamente quello di essere madri. Abbiamo sempre meno opportunità lavorative, in politica non ci sono quasi più nostre rappresentanze, se non nel partito curdo, il cui statuto prevede la parità di genere. La cosa grave è che Erdogan sta riuscendo a emarginare le donne facendo leva su un ampio consenso popolare. Sta riuscendo a orientare gli uomini contro di noi e le libertà che avevamo conquistato, la conseguenza è che i dati mostrano chiaramente come la violenza sulle donne stia aumentando incredibilmente. E questo vale soprattutto per le donne che fanno il mio mestiere, le giornaliste, che sanno di dovere andare incontro a minacce e soprusi senza che le autorità le tutelino in alcun modo”.

Che consiglio si sente di dare alle giovani donne turche?
“Guardate, studiate, apprendete, scrivete, raccontate. Non posso chiedervi di non avere paura, perché i rischi ci sono. Ma se ci impegniamo sono sicura che qualcosa cambierà. Anche se non so ancora come”.