Il califfo al-Baghdadi ha saputo approfittare del caos politico del paese nordafricano per arrivare fino a Sirte. Il dominio del Califfato rischia di arrivare a meno di 500 chilometri dalle nostre coste. Ecco perché la diplomazia italiana non può restare a guardare
Tra i due litiganti il terzo gode. Peccato che il terzo, nel caso della Libia, sia il feroce gruppo terrorista dell'
Isis. Mentre il governo islamista di Tripoli, appoggiato anche dagli “eroi” di Misurata tratta inutilmente da settimane a Ginevra con il governo in esilio a
Tobruk, appoggiato dagli occidentali perché considerato più affidabile e moderato, le brigate alqaediste di
Ansar al-Sharia che già spadroneggiavano nella città di
Derna, nel nord della Cirenaica, si sono unite ai primi combattenti dell'Isis. E hanno cominciato ad espandersi verso occidente.
La notizia che
Sirte, la città che ha visto nascere e morire l'ex dittatore Muammer Gheddafi, spartiacque tra la Cirenaica ad est e la Tripolitania ad ovest, sia caduta nelle loro mani ha spinto il ministro degli esteri italiano,
Paolo Gentiloni, a chiedere agli italiani di lasciare la Libia e a suggerire un intervento delle Nazioni Unite nel Paese.
[[ge:rep-locali:espresso:285515182]]Una decisione impeccabile. Il califfo
Abu Bakr al-Baghdadi ha deciso di estendere il suo dominio fino ad arrivare a 370 chilometri dalle nostre coste. E per quanto l'intenzione di volere piantare la bandiera del califfato sulla cupola di San Pietro sia sostanzialmente una bravata propagandistica, comunque vale la pena non sottovalutare troppo il pericolo che sta crescendo sulle sponde del Mare Nostrum. Senza contare che tra poche settimane, appena le condizioni climatiche miglioreranno, decine di migliaia di disperati tenteranno di arrivare sulle nostre sponde (si parla di 40mila persone) passando per una Libia fuori controllo, esattamente come avvenne l'anno scorso. E quest'anno siamo ancora meno preparati ad accoglierli.
In questo scenario che per l'Italia rischia di essere addirittura più urgente e grave della guerra in Ucraina, un insolito alleato potrebbe essere la città di
Misurata. Osannata durante la rivoluzione contro Gheddafi, durante la quale resistette per tre mesi all'assedio delle truppe lealiste e perse oltre duemila uomini, oggi la prospera città costiera, abitata da islamici molto conservatori e poco tolleranti delle differenze razziali, è stata abbandonata dagli occidentali in favore del governo di al-Thani, sostenuto dalle milizie del generale Haftar, lunga storia pro e contro Gheddafi, e, nei vent'anni precedenti la rivoluzione, in esilio negli Stati Uniti.
Adesso però perfino i devoti di Misurata si sentono minacciati dalle brigate con bandiera nera: sarebbe Misurata il prossimo obiettivo di conquista se l'Isis continuasse ad espandersi, e non sarebbe una bella notizia per la vicina Tripoli. A questo punto potrebbe valere la pena per l'Italia – l'unica ambasciata ancora funzionante nel Paese e primo mediatore tra le parti in lotta – tentare di convincere entrambe le fazioni libiche ad unire le forze e combattere per salvare la Libia dal controllo dell'Isis.
Un'eventualità che secondo alcuni analisti potrebbe diventare realtà nel giro di tre mesi senza nessun intervento dall'esterno. In questo scenario Misurata, la più ricca, pragmatica e determinata città del Paese, potrebbe ancora una volta svolgere un ruolo chiave nella battaglia. E risultare determinante nel respingere l'ondata dei tagliagola vestiti di nero. Sempre che le Nazioni Unite non ci mettano mesi prima di accordare loro il proprio sostegno.
Dal 2007 L'Italia sta compiendo un ottimo lavoro in Libano, a capo della missione di pace dell'Unifil con i suoi 1200 uomini. Forse è ora che si decida a prendere la leadership e mettersi alla guida di un corpo delle Nazioni Unite che impedisca l'occupazione e lo sgretolamento della sua vecchia colonia libica. A pochi chilometri dalle coste della Sicilia.