Ayan, il piccolo profugo siriano annegato, quando ancora sorrideva con suo fratello. La famiglia stava cercando di raggiungere il Canada. Sono morti tutti. Tranne il padre
Come è possibile ancora sopportare? Non è solo il quanto, non è solo il dolore, non è solo l'immagine. È che sono bambini. Bambini piccolissimi. Morti annegati a un passo da Europa Fortezza 2015. Da Europa Sciacalli 2015. Da Europa “non possiamo accettare altri immigrati” 2015.
Aylan Kurdi sta a faccia in giù, su una spiaggia. Vittima ultima, di soli due anni, delle stragi nel Mediterraneo. La sua foto sulla battigia turca, davanti all'isola greca di Kos a cui non ha potuto arrivare, pubblicata dall'Indipendent, è diventata un simbolo mondiale. Perché è stata portata al pubblico, nonostante la durezza, a quello scopo: scuotere.
Ora dalla Rete, dai familiari, gli amici, sui social network, arrivano altre immagini. Che con quella, fanno ancora più male. Perché Aylan, a cui è stata strappata la vita, lì sorride. Col fratello, annegato anche lui. Aylan aveva tre anni. Il fratello Galup cinque. Sono morti con la mamma Rehan e altri otto rifugiati.
Il papà, Abudallah, è sopravvissuto. La loro speranza era arrivare in Canada, dove vive da 20 anni sua sorella, Teema, che ha parlato con un quotidiano di Ottawa. La richiesta di asilo della famiglia del piccolo Aylan era stata respinta mesi fa una prima volta. Erano rimasti in Turchia, ma volevano raggiungere i parenti. Per questo erano saliti sulla barca. Ora il padre avrebbe detto che vuole solo tornare a Kobane per poterli almeno seppellire.
Queste sono le poche informazioni disponibili. Poi ci sono i sorrisi di quei due figli annegati con la madre. Bambini come i nostri. E sono morti al confine della nostra collettiva indignazione immobile. Mentre scappavano dalla Siria in guerra.
Ora i politici decideranno, l'Europa chiederà più controlli, più respingimenti, più identificazioni, prometterà “quote” di accoglienza, spenderà giusti soldi per un tetto, per un futuro da offrire a queste persone.
La storia si ripete nell'orrore: era l'ottobre del 2013 quando l'Espresso indagava sulla strage dei bambini nella nave lasciata affondare al largo della costa libica.
Ma Aylan e suo fratello non potranno mai essere cancellati dalle coscienze delle nazioni di Bruxelles. Perché non sono simboli. Erano bambini.