Proud Women of Africa è il progetto fotografico di Julia Gunther dedicato alle donne del continente. “Mi finanzio da sola e ogni anno aggiungo un capitolo nuovo. Le mie storie documentano l’impegno contro l’ingiustizia e la voglia di farcela superando ostacoli e pregiudizi”

Guarda lontano, in attesa, tamburo a tracolla e bacchette salde nella destra. Accanto bambini di otto o nove anni con la stessa cravatta azzurra, che il vento porta un po’ di qua un po’ di là. Ruthy Jones fu costretta a lasciare la scuola adolescente dopo essere rimasta incinta, vittima di uno stupro.

Ora anima la banda parrocchiale di Manenberg, una township sudafricana della quale i giornali scrivono per le baby gang e il traffico di droga. “È grazie alla determinazione e alla voglia di lottare di donne come Ruthy che questa comunità sta ritrovando l’orgoglio” dice a l’Espresso Julia Gunther, fotografa di 36 anni nata a Berlino ma innamorata del Sud.
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Sono suoi gli scatti di Proud Women of Africa, un progetto dedicato alle donne del continente, già in mostra in Malesia e in Olanda, premiato a Mosca e New York. “Mi finanzio da sola e ogni anno aggiungo un capitolo nuovo” spiega: “Le mie storie documentano l’impegno contro l’ingiustizia e la voglia di farcela superando ostacoli e pregiudizi”.

La banda di Ruthy significa molto per i ragazzi della township. In chiesa vanno per gli strumenti e le divise. E la domenica tutti in marcia tra le baracche di lamiera. “Con flauti, sassofoni e grancasse, hanno ricevuto camicie blu e pantaloni con il bordino d’oro” racconta Julia: “È un modo per responsabilizzarli, renderli parte di un progetto, dargli un obiettivo”. Una piccola grande rivoluzione, resa possibile da chi ha buttato il cuore oltre l’ostacolo. A Manenberg e in tante altre periferie d’Africa. È stato difficile trovare i soggetti? “No”, risponde Julia, “perché non finisci di raccontare una storia che fai nuovi incontri”.

Tutto è cominciato nel 2008, quando stanca dell’industria cinematografica ha lasciato Amsterdam per trasferirsi in Sudafrica. A Città del Capo ha conosciuto Philipa, un’amica alla quale dopo poco sarebbe stato diagnosticato un cancro al seno. Proud Women of Africa è nato d’impulso, come documentazione quotidiana della lotta contro la malattia. Combattuta con mastectomie e chemioterapie, nelle stanze di ospedale, con accanto l’obiettivo della macchina fotografica, senza mai perdersi d’animo.

Spiega Julia: “Sto cercando di contrastare l’immagine stereotipata che il mondo ‘sviluppato’ ha delle donne africane. Fotografo persone orgogliose della propria vita e di se stesse. Che forse sono vittime ma non si vedono così. Sono forti, coraggiose. Attiviste, lavoratrici, rivoluzionarie: non si sono mai arrese e non si arrenderanno”.

Storie personali ma con un respiro comune, l’una proseguimento naturale dell’altra. In un reparto maternità di Kigali, la capitale del Ruanda, sorridono medici, infermiere, bambini e giovani donne. “Nei loro sguardi c’è un senso di pace nonostante le sofferenze e il dolore che hanno vissuto” sottolinea Julia: “Molte sono arrivate dai villaggi con fistole vescico-vaginali, dopo aver perso i bambini a causa della totale mancanza di assistenza”.

Orgoglio, dignità e voglia di vivere segnano le storie sudafricane di Chedino & Family e Rainbow Girls. Siamo nelle township della regione del Capo, dove essere lesbica o transessuale appare semplicemente impossibile.

Prendete Chedino, 32 anni. È nata maschio ma dall’adolescenza sfida i pregiudizi e una supposta identità afro convinta che più del genere conta la persona. Di giorno è parrucchiera, di sera canta nei club insieme con le drag queen: ama Gloria Gaynor e Donna Summer, “donne che sono state all’inferno ma hanno tenuto sempre la testa alta”.

Proprio come le Rainbow Girls, ragazze arcobaleno in ghetti dove non essere etero può costare caro. Organizzano sfilate e concorsi di bellezza sfidando stigma sociale, minacce e violenze. “I pregiudizi possono spezzarti il cuore ma dobbiamo combatterli con tutte le forze altrimenti saremo sempre vittime” ha spiegato Terra, una di loro.

Il suo sguardo fiero, camicia bianca e papillon, è stato premiato con il PhotoWorld 2014 al Festival di New York. Solo uno dei riconoscimenti ottenuti da Proud Women of Africa: lo scorso anno il progetto ha trionfato ai Moscow International Photo Awards e ora è a Houston, in Texas, per Photoville, la rassegna nata nei container sotto il ponte di Brooklyn. E far conoscere le storie significa dare un aiuto concreto. “Chedino è diventata una superstar, un riferimento per la township, che sta imparando a rispettarla” spiega Julia.

Orgogliosa delle donazioni ricevute dalle Black Mambas, 26 sudafricane in mimetica, anche loro Proud Women of Africa. In pochi mesi sono riuscite a far crollare del 90 per cento il numero dei rinoceronti uccisi nella riserva di Balule, nel Parco di Kruger. Pattugliano la savana disarmate, coinvolgendo le comunità, pronte a lanciare l’allarme contro i bracconieri. Ora sono conosciute anche all’estero. L’Onu le ha elette Champions of the Earth e quest’anno con i nuovi fondi dovrebbe nascere una seconda squadra di ranger. Tutta rigorosamente al femminile.