Economia

Paradosso Spagna: senza governo da dieci mesi l'economia decolla

di Mario Magarò   18 ottobre 2016

  • linkedintwitterfacebook

Da quasi un anno manca l'esecutivo, eppure il pil iberico non sembra risentire dello stallo della politica. Anzi, gli ultimi trimestri sono una sfilza di segni più. Ma ora potrebbero finire le buone notizie

La Spagna è entrata ufficialmente nel decimo mese consecutivo senza governo. Non sono bastate due tornate elettorali, celebrate a Dicembre dello scorso anno e nel Giugno 2016, per garantire al paese un nuovo esecutivo. Una "colpa" da attribuire alla fine del bipartitismo che, dalla caduta del franchismo in poi, ha dominato la scena politica spagnola, incentrata sull’alternanza al potere tra Socialisti e Popolari.

La crisi economica che ha travolto la Spagna nel 2008, ha infatti contribuito alla nascita di formazioni come Ciudadanos e Podemos, espressioni del malcontento popolare verso l’establishment tradizionale, che hanno reso estremamente frazionato il panorama politico. I risultati delle ultime elezioni hanno registrato un’emorragia di voti in favore dei nuovi attori della politica spagnola, confermando i Popolari di Mariano Rajoy come primo partito del paese, ma con percentuali troppo basse (il 28,7 per cento a dicembre ed il 33 per cento a giugno) per ottenere una maggioranza in Parlamento. I profondi contrasti tra i partiti, in primis la ferrea opposizione del leader socialista Pedro Sanchez a formare una coalizione di governo con Rajoy, hanno paralizzato politicamente la Spagna. Soltanto il Belgio, rimasto senza esecutivo dal giugno 2010 fino al dicembre 2011, ha sperimentato un analogo impasse istituzionale nello scenario politico europeo.

A dispetto della paralisi politica, i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica spagnolo rivelano una crescita del pil nell’ultimo anno: più 3,2 per cento rispetto al secondo trimestre del 2015 e più 0,8 per cento rispetto ai primi tre mesi del 2016.

Numeri importanti, che confermano la definitiva uscita della Spagna dalla recessione (nel 2014 e nel 2015 il Pil ha fatto registrare un aumento dell’1,4 e del 3,2 per cento). "Non deve sorprendere una crescita economica a fronte della mancanza di un governo ufficiale", spiega all'Espresso Jordi Alberich, Direttore generale del Circolo di economia di Barcellona, "nel Parlamento spagnolo non esistono formazioni politiche che rappresentano una minaccia per il sistema economico, come il Fronte Nazionale francese, i nazionalismi ungherese e polacco oppure l’Ukip britannico responsabile della Brexit. Il settore imprenditoriale percepisce l’attuale caos come una grottesca e temporanea dinamica politica, consapevole che qualsiasi maggioranza venga designata a governare non stravolgerà l’economia".


"Quello spagnolo non è un caso eccezionale", precisa Juan Tugores, Professore di economia dell’Università di Barcellona, "L’economia ha una sua inerzia ed in ogni caso in Spagna c’e un governo in funzione per la gestione dell’ordinaria amministrazione. Spesso gli interventi pubblici aumentano le distorsioni ed il malfunzionamento dell’economia; quando la politica non incide per un determinato periodo (anche nel caso dell’assenza di un governo) l’andamento dell’economia non ne risente".

Nel 2012 il governo Rajoy ha approvato un pacchetto di misure di austerità con l’obiettivo di risparmiare 65 miliardi di euro nel giro di due anni, risanando così i disastrati conti pubblici. La riforma del lavoro, che prevede licenziamenti più facili e meno onerosi per le imprese, ha rappresentato uno dei punti più controversi della manovra varata dall’esecutivo di centrodestra, accusato dai sindacati di salvaguardare gli interessi della sola classe imprenditoriale. Nel 2016 l’occupazione è cresciuta del 2,9 per cento, con un incremento di circa 500 mila posti di lavoro che ha fissato il tasso di disoccupazione al di sotto del 20 per cento per la prima volta dal 2010. Statistiche che si combinano con l’aumento dei consumi privati, più 3,6 per cento nel secondo trimestre 2016, a testimonianza di una ritrovata capacità di spesa delle famiglie spagnole.

"Il miglioramento delle cifre macroeconomiche è evidente, afferma Juan Tugores, ed in parte attribuibile alle riforme di Rajoy, però la creazione di nuovi posti di lavoro è ancora modesta nei numeri ed in condizioni di precarietà: i lavoratori a tempo determinato rappresentano il 25 per cento del totale".

Un’opinione condivisa da Jordi Alberich: "La riforma ha favorito il mercato del lavoro, non c’era altro rimedio, ma è necessaria una maggiore stabilità contrattuale" che considera decisiva ai fini della ripresa economica "la decisione di non chiedere all’Unione Europea il salvataggio dell’intera economia, ma esclusivamente del sistema bancario. Si è trattato di una scelta importante perché ha permesso di risollevare il sistema bancario senza compromettersi alla stregua di Grecia ed Irlanda".

La concessione di aiuti fino a 100 miliardi di euro per garantire liquidità alle banche, è costata alla Spagna l’imposizione di rigide misure fiscali da parte dell’Eurogruppo, sollevando molti dubbi sulla reale portata del "rescate" spagnolo. L’opposizione e la stampa internazionale hanno infatti accusato il governo di aver ceduto all’Europa la sovranità finanziaria del paese non limitandosi, di fatto, ad ottenere l’apertura di una linea di credito salva-banche.

Il Banco di Spagna prevede però un rallentamento della crescita economica intorno al 2 per cento nel 2017, una stima frutto dell’onda lunga della Brexit e dell’incertezza della congiuntura politica: "Alcuni investimenti pubblici sono imprescindibili nel lungo periodo, ritardarli troppo per mancanza di un governo sarebbe pericoloso e la crescita economica non è garantita nel tempo ed ha bisogno di consolidarsi" Conclude Juan Tugores.

A poche settimane dalla deadline del 31 ottobre, ultima data utile per la formazione di un nuovo governo ed evitare il ritorno alle urne a dicembre, la crisi all’interno del partito Socialista sembra offrire una via d’uscita dall’impasse politico. Le dimissioni da segretario di Pedro Sanchez, sfiduciato dalla maggioranza del Comitato Federale, hanno aperto le porte ad un possibile accordo in extremis con Rajoy, ipotesi caldeggiata da alcuni pesi massimi del partito tra cui l’ex presidente spagnolo José Luis Zapatero.