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Ancora lo scorso aprile nel rispondere all’unica domanda in proposito rivoltale dai media statunitensi, Hillary si è difesa con imbarazzo: «È stata una rimozione ordinata dalla Corte Costituzionale nel solco della legge, anche se effettuata con metodi non piacevoli». Oggi l’Honduras, dopo quel golpe, è una “democratura”: dove coloro che si oppongono allo strapotere esercitato dai capi dello Stato post golpe (Porfirio Lobo Sosa e Juan Orlando Hernandez in carica dal 2014) e dai loro entourage di latifondisti, proprietari di miniere e impresari nazionali e internazionali dediti allo sfruttamento delle risorse idriche, vengono uccisi spesso dalle forze di sicurezza. Il nome più noto, tra le vittime, è quello di Berta Caceres, alla quale nel 2015 era stato assegnato il corrispettivo del premio Nobel per la salvaguardia dell’Ambiente. Ma dal golpe a oggi nel Paese sono state uccise centinaia di persone: contadini, oppositori, giornalisti.
In questa intervista esclusiva per l’Espresso, l’ex presidente dell’Honduras Manuel Zelaya (deposto, arrestato, espulso dal paese nel cuore della notte senza nemmeno essersi potuto togliere il pigiama) parla delle responsabilità di Hillary Clinton in quello che molti osservatori internazionali ritengono un golpe ispirato dal Dipartimento di Stato Usa.
Presidente Zelaya, lei era il leader del Partito conservatore liberale ma durante i due anni e mezzo al vertice dello Stato si era avvicinato al presidente venezuelano Chávez inviso agli Usa. Crede che sia stato questo il motivo scatenante del golpe militare?
«Io non mi sono mai considerato di destra o sinistra, ma se lavorare a favore della ridistribuzione delle ricchezze, a partire dalla terra, del dialogo sociale, del rispetto dell’ambiente e delle tradizioni delle popolazioni indigene significa essere di sinistra, non ho problemi a definirmi di sinistra. Quando decisi di aderire all’Alleanza Bolivariana per le Americhe, fondata da Hugo Chávez, ero motivato dal bisogno concreto di ottenere denaro per migliorare le infrastrutture e il tenore di vita della popolazione alzando il salario minimo, per consentire l’accesso al credito anche ai più poveri, per aprire nuovi ospedali e in generale per dare una sferzata all’economia. Chávez, al contrario degli Stati Uniti non mi aveva chiesto in cambio di poter mettere i suoi militari in Honduras. Vorrei ricordare che nel mio paese c’è la più grande base militare statunitense del Centro America, il Comando Sur. Del resto gli Usa vedono da sempre l’Honduras come una propria appendice meridionale. Quest’alleanza politico-economica con il comandante Chávez ovviamente è rimasta sullo stomaco a Washington. Posso dire con certezza che l’allora Segretario di Stato ha avuto fin da subito un atteggiamento favorevole alla mia deposizione, al mio arresto, rapimento ed espulsione illegale dal paese».
Hillary Clinton ha invece affermato più volte che la Corte Suprema honduregna ha agito secondo la legge mandando i militari ad arrestarla in quanto è l’esercito a dover proteggere la Costituzione quando è in pericolo. E lei aveva indetto un referendum incostituzionale per chiedere ai cittadini di esprimersi su un’estensione del suo mandato, allora non ammesso proprio dalla Carta.
«Intanto il referendum, che si sarebbe dovuto tenere di lì a poco, non aveva carattere vincolante. Secondo: Hillary Clinton non ha mai neppure ammesso che si sia trattato di un golpe, né tantomeno di un golpe militare quando invece, anche dai cablo rilasciati da WikiLeaks, è emerso che l’allora ambasciatore statunitense in Honduras, Hugo Llorens, ha confermato che si è trattato di un “coup” illegale in seguito a una cospirazione della Corte Suprema assieme al Congresso nazionale e ai militari».
Hillary Clinton dice che, se si riconoscesse ufficialmente un golpe manu militari, avrebbe dovuto sospendere gli aiuti degli Stati Uniti all’Honduras.
«Gli aiuti Usa non sono andati alla popolazione bensì ai golpisti e all’esercito che da allora hanno esautorato di fatto il parlamento, centralizzato il potere, messo il segreto di Stato su tutti i dossier e creato un clima di terrore e di impunità. Quando i miei sostenitori sono scesi in piazza per protestare pacificamente contro il golpe, le forze dell’ordine hanno sparato loro addosso, li hanno arrestati, torturati. Ancora mancano all’appello numerose persone. Nessuno sa se siano vivi o morti».
Tra coloro che avevano preso parte alle manifestazioni di quei giorni c’era anche l’ambientalista Berta Caceres uccisa nel marzo scorso. Gli attivisti e le organizzazioni per i diritti umani accusano i vertici dello Stato di esserne stati i mandanti. Oggi sono in carcere in attesa di giudizio anche due ex quadri intermedi della polizia e dell’esercito, oltre a un dirigente della società idroelettrica Desa che avrebbe dovuto costruire la diga contro cui si batteva l’attivista. È stato un omicidio politico a suo avviso?
«Sì, senza dubbio. Berta Caceres, e come lei molti altri attivisti e contadini sono stati uccisi perché lottavano contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali che sono state prese d’assalto dalle multinazionali straniere grazie alla politica dell’attuale presidente Hernandez. Il presidente sta cercando di attrarre più investimenti possibile dall’estero offrendo alle imprese la possibilità di creare Zone Economiche Speciali, cioè dei micro-stati con la propria polizia e le proprie leggi. Quando io ero presidente avevo bloccato questi progetti e il piano per la costruzione di decine di dighe, che poi sono stati riesumati dai miei successori».
Perché l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton avrebbe sostenuto a suo avviso il golpe pur essendo un’esponente del partito democratico? Questi metodi in genere li hanno usati i repubblicani, non i democratici.
«Il Segretario Clinton e l’amministrazione Obama nei confronti dell’Honduras hanno semplicemente continuato la politica di Bush. Nei confronti del “cortile di casa”, gli Usa perpetrano da sempre la stessa politica oppressiva, indipendentemente dal partito a cui appartiene l’inquilino della Casa Bianca e, di conseguenza, del Dipartimento di Stato».