
"Non abbiamo avuto il tempo di portar via tutte le attrezzature", ha spiegato in un' intervista televisiva Ivan Matveev, il responsabile retail di Unicredit Bank, divisione russa dell'istituto italiano: "Non ci aveva avvertito nessuno, né il proprietario del fondo che affittavamo né le autorità". Il funzionario non ha escluso che in futuro possa esserci una richiesta di risarcimento. Ma al momento l'atteggiamento di Unicredit "non è aggressivo", ha voluto sottolineare.
Accanto all'edificio distrutto ce n'è uno gemello. Ospita un'agenzia della Bank Moskvy, controllata dal gruppo finanziario Vtb, numero due del settore in Russia - proprietà del governo. Non è stata toccata. Vtb è l'erede della Vneshtorgbank - definita "la banca del Kgb" per le presunte attività della sua filiale cipriota a supporto della locale stazione dell'intellligence sovietica, quartier generale per le operazioni nell'area mediterranea.
"Siamo in Russia per rimanerci", è l'unico commento che arriva da Piazza Cordusio. L'Unicredit è presente da oltre 20 anni nel Paese. Attività per 18,6 miliardi di euro, secondo dati Bloomberg. Il suo concorrente diretto su questo mercato non è certo il gruppo Vtb: troppo grande e troppo russo.
La rivale italiana Intesa San Paolo ha attivi minori in Russia e metà degli sportelli, ma è protagonista per i grandi accordi industriali italo-russi. Il plenipotenziario di Intesa a Mosca, Antonio Fallico, ha facilitato in prima persona le maggiori operazioni concluse dall'Eni dell'epoca Scaroni con i giganti petroliferi statali. D'altra parte, un ruolo istituzionale in Russia è nel dna del gruppo Intesa Sanpaolo. Grazie ai geni della Comit, prima banca straniera ad aprire, nel 1973, una sede a Mosca. Arrivò nell'Urss al seguito della Fiat, che vi aveva da poco costruito la città sovietica dell'automobile: Togliattigrad. Banca Intesa ha tuttora l'esclusiva per le tasse consolari italiane in Russia.
LA NOTTE DELLE LUNGHE LAME
L'agenzia Unicredit Bank di Yuzhnaya è una vittima della "notte delle lunghe lame", come l'ha chiamata la gazzetta dell'amministrazione comunale moscovita intendendo le lame dei bulldozer e forse non cogliendo il riferimento storico al nazismo. Tra la sera dell'8 e l'alba del 9 febbraio sono stati improvvisamente distrutti circa un centinaio di edifici commerciali ritenuti "pericolosi per il pubblico". Senza neanche staccare la luce e avvertire chi era in quel momento al lavoro. Si tratta soprattutto di negozietti all'interno e all'uscita delle stazioni della metropolitana. Ma anche di centri commerciali di medie dimensioni.
A chi protestava carte bollate alla mano, il sindaco di Mosca Sergej Sobjanin ha risposto su "Vkontakte", (il Facebook made in Russia): "Non vi potete nascondere dietro a certificati di proprietà ovviamente ottenuti con la frode". Non ha elaborato sulla frode ma è stato chiaro nel paragonare i diritti di proprietà a carta straccia: "La Russia e la sua storia non sono in vendita". Poi, il grido di battaglia: "Restituiremo Mosca ai moscoviti!". Dal suo ufficio sulla via Tverskaya, il sindaco può vedere il monumento di bronzo del leggendario fondatore di Mosca Yury Dolgoruky sul suo destriero. Si sarà sentito ispirato.
Il Cremlino spalleggia Sobjanin ma è meno ispirato: "Sono stati distrutti edifici equivoci con permessi solo temporanei", ha detto il capo di gabinetto del presidente Sergey Ivanov. Equivoca un'agenzia bancaria? Intanto, gli affitti commerciali nelle aree che hanno assaggiato il "metodo Sobjanin" salgono: "Più 10 per cento, nelle zone centrali", secondo Ekaterina Podlesnykh, specialista dell'agenzia immobiliare Colliers.
Tante polemiche. Ma è il caso di Unicredit ad alzare il livello: la inopinata distruzione di uno sportello bancario, che contiene documenti riservati dei clienti e informazioni sensibili su operazioni finanziarie e industriali, mina alle fondamenta i principi stessi di un sistema economico.
SCHEMA KHODORKOVSKY
Dopo la notte delle demolizioni è arrivato un altro brutto segnale: l'arresto dell'azionista unico dell'aeroporto internazionale moscovita di Domodedevo Dmitri Kamenshchik. L'imprenditore in sostanza è accusato di criminale negligenza riguardo ai sistemi di sicurezza in funzione quando, nel gennaio 2011, un attentato suicida causò 37 morti e oltre 100 feriti nella zona arrivi. Ma, inquirenti a parte, tutti - giuristi, uomini d'affari, esperti - ritengono che lo si voglia solo costringere a cedere la quota di controllo dello scalo. La stessa Procura generale sostiene che l'accusa è infondata.
Kamenshchik in passato ha detto no ad almeno un paio di offerte. Una, rivela il Moscow Times, era di quelle che non si possono rifiutare. Alla Vito Corleone, per intenderci. Ma lui non ha mollato. Si è tenuto il suo aeroporto da sette miliardi di euro. Ora è agli arresti domiciliari. "Ora qualcuno potrà comprare l'aeroporto", scrive Vedemosti - il "Financial Times" russo. "Con Kamenshchik dietro le sbarre, il vecchio progetto di integrare i tre scali metropolitani può essere implementato", chiosa l'altro quotidiano economico, Kommersant.
Da almeno cinque anni, infatti, il governo vuol riunire i tre principali aeroporti della capitale. Sheremetevo, concorrente diretto di Domodedevo, è nelle mani di Arkady Rotenberg. E' un vecchio amico del presidente Putin: facevano judo insieme. La rivista Forbes lo ha appena indicato come il maggior beneficiario di commesse statali nel 2015, con l'equivalente di 6,7 miliardi di euro. Per le sanzioni seguite alla crisi ucraina, l'Italia gli ha congelato beni per circa 37 milioni di euro (due ville in Sardegna, un albergo di lusso a Roma e poco altro) La Duma - il parlamento russo - ha immediatamente approvato una legge per il risarcimento dei privati soggetti alle sanzioni. E' nota come "legge Rotenberg". Arkady per ora non se ne è servito.
Mikhail Khodorkovsky si è fatto dieci anni di galera in Siberia mentre il suo gruppo petrolifero Yukos veniva smembrato e inglobato nei giganti statali dell'energia - con l'aiuto dell'Eni e dell'Enel che ne comprarono pezzi per rivenderli alla Gazprom. Ora identifica uno schema preciso col quale in Russia si utilizzano polizia e tribunali per spogliare un imprenditore delle sue aziende. Lo descrive sul suo sito internet: la preda viene avvertita che l'arresto è imminente; se non lascia il Paese, gli arrestano i top manager; l'accusa utilizza contro di lui leggi entrate in vigore dopo i fatti contestati, e gli si fa intendere che la pena sarà lunga. Se proprio non vuol capire, peggio per lui: una volta che è in prigione, impossessarsi delle sue attività è facile.
"Certo che è uno schema", commenta l'enfant prodige del commercio al dettaglio di telefonini Yevgeny Chichvarkin, che nel 2009 all'arresto preferì la fuga lasciandosi dietro il suo impero, la catena Yevrosat - venduta in fretta e furia a un uomo di Putin: "Oggi Kamenshchik, ieri Khodorkhovsky. E poi Vladimir Yevtushenkov, messo agli arresti domiciliari mentre gli nazionalizzavano la Bashneft (una compagnia petrolifera, ndr). E tanti altri tra cui anch'io: sempre nello stesso modo". Dal suo esilio dorato a Londra cerca di scoraggiare ogni investimento in Russia. "Don't go there", non andateci - dice ai finanzieri della city: "La Russia è uno stato-mafia e Putin è il boss". E se gli si contesta che Putin non è un capomafia ma un capo di Stato, Chichvarkin ripete la frase, con lo stesso tono tranquillo.
DR. JEKYLL E MR. HIDE
E' naturale che Chichvarkin abbia il dente avvelenato. Ma è un fatto che la scarsa protezione della proprietà e l'incertezza del diritto siano due malattie endemiche, in Russia. E che, insieme alla corruzione e all'uso delle corsie preferenziali, spaventano gli investitori stranieri. Se si aggiungono ingredienti come l'esclusione del Paese dai mercati dei capitali causa sanzioni e l'alto costo del denaro - i tassi d'interesse praticati dalle banche sono in media del 16% - il cocktail è ancora meno invitante. Con il rublo deprezzato al posto del seltz e i petrodollari difficili come ciliegina, è quasi imbevibile anche per gli affaristi dal palato meno fine. Eppure, di capitali la Russia ha un gran bisogno.
La Duma sta discutendo una legge per facilitare gli investimenti dall'estero e premiare con la cittadinanza chi li fa. Soprattutto, il governo sta avviando politiche industriali per creare competitività: "Sono misure concrete, non fumosi progetti di riforma", commenta il senior partner di Macro Advisory Chris Weafer - considerato dalla stampa finanziaria tra i migliori investment strategist sulla piazza di Mosca. "Si vogliono creare le premesse di un nuovo modello di sviluppo che comprenda un forte export manifatturiero e la sostituzione delle importazioni alimentari, spiega Weafer. "L'atteggiamento per ora resta difensivo, si cerca solo di limitare i danni della recessione. Il governo aspetta la revoca delle sanzioni che bloccano l'accesso ai mercati dei capitali, ma vuole intanto creare un ambiente che possa richiamare investimenti subito: è uno scenario realistico, perché l'indebitamento della Russia con l'estero è basso, le tasse personali bassissime, quelle sulle aziende molto competitive e c'è stabilità politica".
In effetti, il consenso per il presidente supera l'80 per cento e l'indebitamento è limitato a circa 45 miliardi in euro: c'è spazio per la leva finanziaria, ovvero per finanziamenti terzi che rendano più di ciò che costano. Le tasse sul reddito, grazie ai provvedimenti illuminati presi durante il primo mandato di Putin, sono del 13 per cento per tutti. Quelle per le imprese, tra il 20 e il 24 per cento. Che invidia. E se davvero si volesse diversificare l'export - ora è quasi completamente petrolifero - e localizzare la produzione alimentare (nel settore la Russia importa il 50 per cento del fabbisogno), le opportunità sarebbero vaste.
A migliorare l'ambiente potrebbero esserci anche tassi d'interesse minori. Il saggio di riferimento della banca centrale ha accompagnato crollo dei prezzi petroliferi e caduta libera del rublo fino ad arrivare al 17 per cento, nel dicembre del 2014. Poi è stato riportato a un più umano ma sempre alto 11 per cento. La frenata dell'inflazione, al 12,9 per cento in dicembre dopo un anno al 15 per cento, secondo gli economisti dovrebbe continuare, nel breve termine. La banca centrale prevede il tasso del carovita tra l'8 e il 9 per cento, nel primo trimestre. Quindi è probabile che abbassi ancora il costo del denaro.
Lo scenario appena descritto non tiene conto dei rischi geopolitici, inevitabili quando ci si infila in un ginepraio come quello siriano dopo essersi appena annessi, non senza qualche ragione storico-nazionale, un pezzo di Ucraina. E poi ci sono le distruzioni di agenzie bancarie e gli arresti predatòri, appunto. Un bel deterrente per un potenziale investitore
"Ormai il danno è fatto", dice lo strategist Weafer riguardo alla notte delle demolizioni moscovite e all'arresto di Kamenshchik. "Il problema non è il governo", aggiunge: "Putin ha dimostrato più impegno contro la corruzione: è stato appena licenziato il capo delle Ferrovie, un suo amico. Chi pensa che in Russia ci sia un controllo ferreo da parte del potere si sbaglia. E' che c'è ancora molto dello stile sovietico". Secondo lo strategist, la linea di comando conserva la proverbiale elusività dei tempi dell'Urss. E i casi come quello di Domodedevo sono sì rapine, ma messe a segno da gruppi con grandi mezzi economici e che si muovono "in modo del tutto indipendente", a colpi di mazzette per chi li aiuta a realizzare i loro progetti. Il problema è che glielo lasciano fare.
"La Russia per un investitore ha due facce", conclude Weafer: "quella di Dr. Jekyll e quella di Mr. Hide". Su chi stia prevalendo dei due, preferisce non esprimersi. Sarebbe meglio comunque che Hide diventasse meno mostruoso e Jekyll si desse più daffare, vista la situazione dell'economia.
INCUBO DEFAULT E SPESA MILITARE
Il prodotto interno lordo si è contratto del 3,7 per cento, nello scorso anno. Sul dato pesano una diminuzione dell'8,7 per cento per gli investimenti, del 7 per cento per la spesa in costruzioni e del 10 pe cento per i consumi. Grazie anche all'azione della banca centrale sui tassi d'interesse mentre il rublo era in caduta libera, il deficit è stato contenuto al 2,5 per cento della ricchezza nazionale. Ma se il petrolio non risale almeno verso i 50 dollari il barile, il rosso potrebbe allargasi fin quasi al 6 per cento nel corso del 2016, avverte il ministro delle finanze Anton Siluanov. Le entrate statali dipendono dal petrolio per circa il 50 per cento, in Russia.
Niente paura, le riserve per coprire il buco ci sono. Ma uno dei fondi che le racchiude "potrebbe esaurirsi già nel corso dell'anno", ha affermato Siluanov in un'intervista con Bloomberg Television. Per evitare guai seri, è necessaria l'austerity. "Senza un taglio del 10 per cento della spesa - ha continuato il ministro - si potrebbe anche scivolare verso un default come nel 1989". Tanto per chiarire. Allora furono spazzati via i risparmi di un paio di generazioni.
La spesa militare però non si tocca, ha subito precisato Siluanov. La Russia è impegnata nel suo primo programma di riarmo di dimensioni "sovietiche" dalla fine dell'Urss, e non lo ridimensionerà adesso che l'attivismo di Putin la impegna militarmente in Siria e, in modo implicito, in Ucraina. Con gradite ripercussioni sui rating del presidente, perché toccare l'orgoglio patriottico in Russia paga.
Soprattutto se non arriveranno capitali stranieri a sostenere i conti pubblici, a stringer la cinghia dovranno essere soprattutto le famiglie, par di capire. Lo stanno già facendo, perché i salari crescono meno dei prezzi al consumo. Nei primi nove mesi del 2015, i russi che vivono sotto la soglia della povertà sono aumentati di due milioni rispetto a un anno prima, secondo i dati dell'istituto statale di statistica Rosstat.
La Russia potrebbe essere entrata in un periodo di diminuzione del tenore e della qualità della vita mai visto dai tempi del collasso dell'Unione Sovietica. Unica uscita, un nuovo modello economico.
INVESTIRE PER LO SVILUPPO
Il modello di crescita fondato sui consumi e sulle esportazioni di idrocarburi si era naturalmente esaurito già due anni fa: il petrolio era a 110 dollari, l'economia globale era in ripresa e non c'erano le sanzioni, ma nel 2013 l'economia russa frenò bruscamente la sua crescita al1'1,3 per cento. Un tasso striminzito, rispetto all'espansione galoppante degli anni precedenti. Diversificazione e investimenti sono l'unico futuro possibile, ha detto più volte lo stesso presidente Putin.
"E' la mancanza di diversificazione a rendere strutturalmente vulnerabile il sistema", spiega Andrei Movchan, direttore del Programma di politica economica del think thank Carnegie Center di Mosca. "Anche se il greggio recuperasse quota, senza cambiamenti fondamentali l'economia resterebbe estremamente fragile", aggiunge Movchan. Che sottolinea come servano investimenti per tagliare l'import localizzando le produzioni e per diversificare l'export emancipando l'economia dalla dipendenza dalle esportazioni di gas e petrolio. Ma anche per la stessa industria petrolifera.
Paradossalmente, con quotazioni del petrolio più alte l'export energetico russo potrebbe andare in crisi. Il crollo dei prezzi lo si è affrontato con la macroeconomia, lasciando svalutare il rublo e massimizzando così gli incassi - perché gas e petrolio si vendono in dollari. Ma si è anche spinto al massimo la produzione dei pozzi con costi di estrazione minori, per aumentare il volume dell'export e i margini di profitto. Si è accantonato lo sviluppo dei giacimenti dove l'estrazione costa di più. Se non si corre ai ripari investendo, la capacità produttiva futura sarà compromessa. Se le cose restano come sono, con prezzi di vendita più alti e una maggior competitività dei barili estratti con costi maggiori, le quote di mercato e l'output russi rischiano di crollare.
Ma anche le infrastrutture già esistenti e a pieno regime necessitano di investimenti. Un esempio: quando due settimane fa la Russia ha concluso un accordo con l'Arabia Saudita per "congelare" la produzione petrolifera e sostenere così le quotazioni del greggio, gli esperti delle società di trading si son fatti una risata. Perché la cosa, in Russia, è praticamente impossibile. Prima di tutto, fermando i vecchi pozzi siberiani in molti casi se ne comprometterebbe il funzionamento futuro. E poi è inverno. In Siberia ci sono 40 gradi sotto zero: a congelarsi, in senso letterale, sarebbero i residui di acqua nei gasdotti e negli oleodotti svuotati - con gravi danni per gli impianti. Si potrebbe estrarre e stoccare il prodotto senza esportarlo. Ma i depositi e le navi alla fonda sono pochi, non bastano. E affittare altre navi e troppo costoso.
Il credito inaridito per ora preclude ogni iniziativa per la diversificazione e per le infrastrutture. Negli anni dal 2000 al 2008, quando il prodotto interno lordo cresceva in media dell'8 per cento l'anno, si sarebbero potuti fare passi da gigante. Ma non furono fatti. "Gli incassi facili certo non galvanizzavano la volontà politica di fare riforme strutturali", ha scritto sul Moscow Times l'ex rappresentante del Fondo monetario internazionale in Russia Martin Gilman, professore all'Alta scuola di economia di Mosca.
"Alla radice dei guai della Russia ci sono le sue ricchezze naturali, che incoraggiano i governanti a depredare il Paese come farebbe un colonizzatore, piuttosto che ad assicurarne lo sviluppo". E' la sentenza dello storico Alexander Etkind, che insegna Relazioni tra Russia ed Europa all'Istituto universitario europeo di Firenze. La citazione è da "Long They Ruled", il libro che ha appena pubblicato sulla storia dei Romanov, gli (ultimi?) zar.