
I dati statistici sono i seguenti: nel Paese della Merkel vivono oggi 4,3 milioni di musulmani, 2,5 milioni dei quali turchi; circa il 5 per cento cioè degli 81 milioni di tedeschi.
Eppure, a sentire Frauke Petry, presidente di AfD, questi milioni di persone non è che contino o valgano un granché: “L'islam non appartiene alla Germania”, ripete la 40enne. E la sua avversione per la comunità islamica tedesca non si ferma qui. “La concezione della politica che viene predicata nelle mosche in Germania”, continua infatti Petry, “non corrisponde a quella della nostra Costituzione”. Per questo, oltre al divieto assoluto di indossare burqa e niqab per le strade, negli uffici pubblici e scuole tedesche, il nuovo programma di AfD esige che in futuro si vietino anche i minareti in Germania. E che i muezzin non si azzardino più a richiamare i loro fedeli alla preghiera.
Nessuno in realtà sa precisamente quante moschee esistano oggi in Germania (alcune stime parlano di 2.800): nel nuovo programma di AfD si stabilisce in ogni caso che agli Stati islamici sarà proibito finanziarne e costruirne altre, “per non diffondere ed espanderne ancora il loro potere in Germania“.
È con questa cupa, deleteria immagine di una Germania già in preda al più violento fondamentalismo islamico, invasa da tetri salafiti e retta dalla Sharia che AfD sta andando a caccia di voti, fomentando nei tedeschi le paure ed avversioni più irrazionali contro la comunità islamica.
“L'islam è un'ideologia politica”, sentenzia ad esempio Beatrix von Storch, vicepresidente di Afd. E il suo vero obiettivo, sostiene Alexander Gauland, uno dei fondatori del partito, “è da sempre la conquista dello Stato”.
Frasi e pregiudizi a dir poco scioccanti, che a Aiman Mazyek, a capo del Consiglio centrale dei musulmani in Germania, ricordano (giustamente) il peggiore passato tedesco. “Dopo la Germania di Hitler”, ha detto Mazyek, “è la prima volta che un partito tedesco discredita un'intera comunità religiosa”. Da Bruxelles anche il socialdemocratico Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, ha definito AfD “una vergogna per la Germania”. E “ripugnanti” quei veleni anti-Islam sparsi a piene mani nel programma del partito d'estrema destra.
È con questa radicale deriva anti-islamica che Frauke Petry si prepara a dar nuovo filo da torcere alla cancelliera Merkel. Già i tre test elettorali del 13 marzo scorso sono stati una bruciante sconfitta per la Cdu della Kanzlerin e il suo corso delle “porte aperte” ai migranti. Nel Baden-Württemberg, il Land di Stoccarda, quella domenica AfD ha riscosso il 15 per cento dei voti (e la Cdu il 27, il 12 per cento in meno del 2011). In Renania-Palatinato la AfD ha raccolto il 13 per cento ( e la Cdu ne ha persi per strada il 3,4). E all'Est, in Sassonia-Anhalt, il partito della Petry è volato persino al 24 per cento (sgominando una Spd crollata al 10). “Il nostro successo”, così ha spiegato Petry in un'intervista a “l'Espresso”, “dipende dal fallimento della politica migratoria della Merkel”.
Dopo un milione di immigrati accolti lo scorso anno in Germania, l'accordo voluto dalla Merkel con la Turchia sui profughi sbarcati in Grecia è stato il primo passo per (tentare di) frenare, con l'arrivo di altri rifugiati in Germania, l'incredibile avanzata di “Alternative für Deutschland”. L'altro è la nuova legge sull'immigrazione che il governo di Berlino si prepara a varare il prossimo 24 maggio. Un pacchetto che prevede regole ben più vincolanti per i migranti: ad esempio, l'obbligo di apprendere il tedesco ed altre cosiddette “misure di integrazione”; ma anche la possibilità per gli immigrati di svolgere, in barba al minimo salariale, job 'da un euro', nonché tagli ai sussidi per chi non rispetti le nuove misure.

La scorsa settimana intanto i maggiori istituti economici, nel loro rapporto primaverile, hanno diagnosticato all'economia tedesca “una crescita stabile”: una crescita nel 2016 dell'1,6 per cento del Pil, sostenuta dal boom sul mercato del lavoro, la disoccupazione ai minimi storici e consumi più forti. Ma anche i nuovi trattati internazionali, le leggi più restrittive sull'immigrazione ed i trend economici positivi non aiutano, a quanto pare, la Merkel: se a marzo la cancelliera raccoglieva ancora il 56 per cento delle simpatie, a metà aprile appena il 45 per cento dei tedeschi si diceva soddisfatto della Kanzlerin (è il suo valore più basso dall'inizio della legislatura). “L'aura della Merkel”, commenta la Frankfurter Allgemeine, “inizia ad appannarsi”.
Il motivo dell'ammaccatura non si deve solo alla reazione, troppo prona, della Merkel alle denunce spiccate in Germania dal 'sultano di Ankara', un Erdogan offeso prima dalla canzonette, poi infuriato dai versetti satirici declamati in tv dal comico Jan Böhmermann (il 65 per cento dei tedeschi non ha gradito che la Kanzlerin abbia autorizzato il procedimento penale a carico del comico).
Anche le continue zizzanie e i disaccordi con il coriaceo Horst Seehofer, premier bavarese e presidente della Csu, sui temi sempre più scottanti dei profughi, della salvaguardia di confini, rotte balcaniche o della sicurezza interna non piacciono ai tedeschi, ed hanno ormai fatto precipitare l'Unione di Cdu e Csu al 34 per cento dei consensi, il livello più basso registrato in Germania dal 2012 ad oggi. Peggio sta solo la Spd del vicecancelliere Sigmar Gabriel, sprofondata - per la prima volta nella storia della Repubblica Federale - al di sotto del 20 per cento. Sarà solo un voto di protesta quello per AfD, e il suo programma blanda Anti-politica e demagogia pura?
Di sicuro c'è solo che, sinora, né gli strateghi della Merkel né quelli della Spd hanno capito bene come smontarne il fenomeno e recuperare gli elettori saltati, negli ultimi mesi, nelle fila di AfD. Il nuovo partito d'estrema destra 'made in Germany', anti-Euro ed anti-Islam che nei sondaggi viaggia comodamente oltre il 10 per cento. E che sta mettendo sempre più in crisi la cancelliera Merkel e la sua 'Grosse Koalition' al governo di Berlino.