Le televisioni vicine al Cremlino non parlano degli amici di Putin implicati nello scandalo, ma si concentrano sul nemico Poroshenko e accusano un giornalista dell'Icij. Mentre la polizia ferma un politico dell'opposizione che chiedeva l'impeachment del premier

Nell'edizione delle nove del telegiornale di Primo Canale, ammiraglia delle tivvù statali russe, i Panama Papers sono al quinto posto in scaletta. Apertura sul Nagorno Karabak, dove azeri e armeni hanno ricominciato ad ammazzarsi (se mai avevano smesso). Seconda notizia: il nuovo assetto amministrativo dell'archivio di stato. Poi la guerra in Siria e un servizio anti-turco sull'accordo Ankara/Bruxelles sull'immigrazione.

Il lancio della conduttrice Ekaterina Andreeva per il servizio sui Papers cita il coinvolgimento nello scandalo dei conti off-shore di persone vicine a Vladimir Putin. E ricorda che una settimana prima l'amministrazione del presidente aveva preannunciato un attacco mediatico alla Russia. 

Il servizio dura oltre sei minuti. Parte dalle dichiarazioni del portavoce di Putin Dmitri Peskov sull' "attacco informativo" originato dalle recrudescenze "putinofobe" dell'Occidente e in pratica organizzato dalla Cia. Per questo il dossier "non coinvolge americani". Ci si ferma poi per un minuto e mezzo sul caso del presidente ucraino Pyotr Poroshenko, sottolineando come dai "Papers" risulti non avesse alcuna intenzione di vendere la sua azienda dolciaria secondo la promessa fatta in campagna elettorale.

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Poi il servizio mostra le immagini del premier islandese che scappa di fronte alle domande sui suoi conti proibiti. Infine, Primo Canale attacca per tre minuti buoni uno dei giornalisti aderenti allo International Consortium of Investigative Journalists (Icij),  Drew Sullivan americano residente in Bosnia: "è un ex comico ed è stato finanziato con sei milioni di dollari dal governo statunitense", si dice tra l'altro.

Il pezzo si conclude con i commenti di una parlamentare di Russia Unita (partito che sostiene il presidente), di un giornalista vicino a Putin e dell'ombudsman per la finanza, secondo cui ormai nelle società offshore c'è sufficiente trasparenza e lo scandalo è gonfiato. Subito dopo, un altro servizio indaga sull'utilizzo illegittimo di conti offshore da parte dell'amministrazione Usa.

DUE PESI E DUE MISURE

Dello stesso tenore l'informazione che i russi hanno avuto dai canali Ntv e Ren Tv: fino al tardo pomeriggio di ieri non avevano menzionato la notizia. Il sito del canale Life News, di proprietà del magnate Aram Gabrelyanov e specializzato nelle inchieste d'assalto con travestimenti e telecamere nascoste,  dello scandalo invece parlava. Senza fare il nome dei russi coinvolti, però. E analizzando solo il caso di Poroshenko.
L'arresto di Lyaskin - foto da Twitter

"E' singolare che sui nostri media la notizia più importante riguardo ai Panama Papers sia quella di Poroshenko e non il coinvolgimento degli amici di Putin", dice Nicolay Lyaskin, politico dell'opposizione e braccio destro dell'avvocato anti-corruzione Alexey Navalny. Risponde al suo telefonino da un mezzo della polizia. E' stato appena fermato, insieme ad altre tre persone, sulla via Teatralnaya nel centro di Mosca.

Lyaskin stava facendo una sorta di picchetto davanti alla Duma, il parlamento federale. Teneva in mano un cartello che chiedeva l'impeachment del presidente. Si alternava con due compagni per evitare l'arresto per manifestazione non autorizzata. Si suppone che una persona con un cartello in mano non costituisca una manifestazione pericolosa per l'ordine pubblico. Ma dopo mezz'ora è arrivata la polizia. "Hanno fermato anche un passante che ci fotografava: è qui accanto a me sul cellulare. Ci portano al commissariato di Tverskoye".
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Lyaskin e gli altri rischiano almeno due settimane di galera. O fino a cinque anni, secondo una norma introdotta nell'estate di due anni fa per i recidivi. "La quantità di prove e di argomentazioni contenute nei Panama Papers sono più che sufficienti per l' impeachment, anche se non ci sono le firme di Putin sulle carte", dice Lyaskin.  "Nella piccola Islanda - fa in tempo ad aggiungere - decine di migliaia di persone scendono in piazza e ottengono le dimissioni del premier  Gunnlaugsson, coinvolto nello scandalo. Nella grande Russia protestare è proibito".

Non stupisce che l'unica reazione a Mosca sia stata l'ordinata manifestazione di una persona a turno davanti alla Duma, data la severità della repressione e soprattutto la forza della propaganda di stato. I toni e i contenuti dei giornali vicini al governo sono stati simili a quelli delle televisioni, per i Panama Papers: attacco al giornalista Sullivan, accusato di essere al soldo della Cia. E negazione di un reale coinvolgimento di Vladimir Putin. Strano però che per il nemico ucraino Poroshenko gli argomenti dell'inchiesta giornalistica dell' Icij siano considerati validi.

GIORNALISMO E POTERE

Il fatto è che in Russia non esistono più media nazionali in grado di creare un dibattito di opinione sull'operato di chi è al governo, sottolineano da tempo sociologi quali il direttore dell'istituto di statistica indipendente Levada Center Lev Gudkov. La propaganda televisiva è massiccia e spiega in buona parte il supporto plebiscitario per il leader del Cremlino.

Ci sono ancora testate giornalistiche libere che sanno fare molto bene il loro mestiere, come il quotidiano Vedomosti, le web-tv Rbc e Tv Rain, la radio Echo Moskvy, i settimanali Novaya Gazeta e New Times - diretto da  Evgenia Albats, giornalista che fa parte dell' Icij. Questo dovrebbe, secondo quanto ripetono i comunicatori del regime, smentire chi dice che in Russia non c' é libertà di espressione. Il fatto è che i media che ancora criticano il governo sono pochi e di nicchia. Hanno una audience nelle grandi città, soprattutto Mosca e San Pietroburgo. Ma nessuno a Kostroma nella Russia centrale o Yakutsk nella Siberia nordorientale legge il sofisticatissimo New Times o ascolta i dibattiti di Echo Moskvy.

Vladimir Putin ha iniziato a smantellare la libertà di stampa che aveva caratterizzato gli anni '90 in Russia fin dall'inizio del suo primo mandato. E' possibile identificare un evento specifico che fece scattare la stretta sui media: la tragedia del Kursk, il sommergibile nucleare orgoglio della Flotta del Nord della marina russa affondato per motivi mai ufficialmente chiariti nell'agosto del 2000. Morirono tutti i 118 marinai a bordo.

All'indomani del disastro, il dibattito sulle sue cause, sui soccorsi e sull'atteggiamento di Putin rimase infuocato per mesi. "La storia del Kursk non è finita", disse promettendo ulteriori approfondimenti il giornalista di punta della rete pubblica Ort Sergei Dorenko al termine di uno speciale che svelava le bugie del Cremlino sulla vicenda. La Ort era di proprietà dell'oligarca Boris Berezovsky.
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Dorenko si era sbagliato. Niente approfondimenti. Il suo programma fu cancellato. Sergei Dorenko non ha mai più potuto lavorare in televisione. Un "editto bulgaro" ante litteram. Dal 2002 la Ort si chiama Primo Canale ed è di proprietà governativa. Berezovsky è morto tre anni fa nella sua residenza di Ascot, cittadina a 40 chilometri da Londra, dopo 13 anni di volontario esilio (in Russia era stato condannato per vari reati, di cui si è sempre detto innocente).

Il Kursk fu la prima bugia di Putin, afferma l'avvocato Boris Kuznetsov - che rappresentò molte famiglie delle vittime del naufragio del Kursk - nel suo libro intitolato "E' affondato" (da un' incredibile risposta di Putin a Larry King che in diretta sulla Cnn gli chiese cosa era successo al sommergibile). Da allora, spiega Kuznestzov "il governo iniziò a interferire col sistema giudiziario e a metter sotto controllo i media: l'intero processo di scardinamento della democrazia in Russia, per molti aspetti, iniziò col Kursk". Kuznetsov è accusato dalla magistratura russa di rivelazione di segreti e oggi vive negli Stati Uniti, che gli hanno concesso asilo politico.

IRRESPONSABILI BUGIE

Da allora, la verità è sempre stata tradita o manipolata - quando ne va della reputazione della élite al governo. Lo si è visto soprattutto in occasione delle tragedie. Nessuna traccia di empatia, ha scritto a la giornalista e blogger Anna Pivovarchuk parlando dell'abilità del presidente Putin nell'evadere le grandi responsabilità a colpi di propaganda, lasciandole scivolar via come piccole cose, rispetto al peso del potere. 

Nessuna responsabilità per gli errori commessi nella risposta contro gli attacchi terroristici al teatro Dubrovka di Mosca (oltre 130 ostaggi uccisi) e alla scuola di Beslan (più di 350 morti, tra cui quasi 200 bambini). Nessuna spiegazione per l'inerzia dell'intelligence e l'impassibilità del Cremlino di fronte ai più' recenti attentati alle stazioni Lubjanka e Park Kultury della metropolitana di Mosca (persero la vita 41 persone) e, sempre nella capitale, all'aeroporto di Domodiedevo (37 vittime).

Solo dubbi sconcertanti e nessuna verità per i risultati delle indagini sull'assassinio di personaggi scomodi al regime come la giornalista Anna Politosvskaya, e l'ex agente dei servizi segreti di Mosca Alexander Litvinenko e il leaeder politico Boris Nemetzov.

Due anni fa, la più internazionale delle grandi tragedie che si son susseguite sotto il regno di Putin: l'abbattimento del Boeing 777 della Malaysia Airlines nell'est dell'Ucraina, sul territorio controllato dai ribelli filo-russi. Nessun superstite fra i 283 passeggeri - soprattutto olandesi, australiani e malesi - i 15 membri dell' equipaggio.

Il mondo intero ha potuto osservare il presidente Putin dar la colpa al governo di Kiev, senza fare una piega. Mentre venivano diffuse registrazioni in cui le milizie locali spiegano a un colonnello del Gru (il servizio segreto militare russo) di aver colpito il Boeing con un missile terra-aria, probabilmente scambiandolo per un aereo militare ucraino. Mentre le indagini indipendenti, seppur ostacolate dai ribelli, sembravano sempre più confermare le responsabilità, individuando la presenza batterie di missili Buk nel territorio controllato dai ribelli.
Anche in questo caso, qualcuno a Mosca pensò bene di fabbricare informazioni per intorbidire le acque: filtrarono voci che sembrarono circostanziate e secondo le quali il vero obbiettivo del missile era l'aereo di Putin, quel giorno in volo da Mosca al Sud America. A lanciare il razzo della strage, naturalmente era stato l'esercito ucraino, si disse. La disinformazione resse per un pò. Qualcuno ne discusse anche seriamente, per un paio di giorni. Il presidente russo non disse niente in merito.

Da quando il generale Grigory Potemkin costruiva finti villaggi sul fiume Dnieper per far credere all'imperatrice Caterina II (di cui fu amante) che tutto andasse bene nel paese, i russi son considerati i campioni del mondo della propaganda. Il primo a dar loro questo deprecabile primato fu probabilmente il marchese Astolphe De Custine, quasi tre secoli fa, nel suo libro "Lettres de Russie".

La menzogna ha sempre avuto un posto importante, nella storia della Russia, e non c'è dubbio che anche il regime di oggi la stia utilizzando per puntellare il suo potere.