L'eurodeputata francese, autrice di "Goodbye Europe", analizza le ripercussioni del referendum sulla Brexit. «La cosa decisiva sarà sapere come i nostri governi prenderanno coscienza della gravità della situazione»

Manifestazioni contro la Brexit
«Se la Gran Bretagna esce dall’Europa, non ci sarà vincitore a livello economico. Perdiamo tutti. Loro e noi. Perché il messaggio sarebbe che l’Europa non va più avanti ma può frammentarsi. Seconda cosa non sapremmo bene come gestire un Paese che è un partner così vicino e che è la prima piazza finanziaria europea e mondiale fuori del mercato unico. Non sappiamo dove andremmo a finire per tutti gli accordi di commercio. Non ci sarebbe dunque vittoria per nessuno. Non può esserci nessun ‘Schadenfreude’, come gli inglesi chiamano “La gioia per qualcosa che fa male gli altri”».

Sylvie Goulard, eurodeputata francese, ha scritto  “Goodbye Europe” (editore Flammarion, lo presenta mercoledì 22 giugno alla sede di Unicredit, via Lata 3 Roma assieme a Mario Monti), un libro che é sguardo lucido sulla situazione europea al di là di quello che sarà l’esito del voto del referendum nel  Regno Unito.

Sylvie Goulard, già dal titolo il  suo libro é un saluto all’Europa...
«Vuol dire che dobbiamo chiederci se per caso anche noi non abbiamo lasciato l’Europa. Perché si sta dicendo che il Regno Unito non vuole più far parte dell’Europa ma io ho l’impressione che da anni i Paesi fondatori abbiano abbandonato l’idea europea. Volevo scuotere le coscienze di chi dà spesso agli altri la responsabilità senza vedere i propri limiti».

Tutti devono prendersi le proprie responsabilità.
«Si, lo vedo anche in Francia. C’é quest’idea che la Francia abbia sempre voluto un’Europa più integrata ma é vero fino a un certo punto. Abbiamo detto di no nel 2005 al Trattato costituzionale; nel 1954 abbiamo bloccato la comunità di difesa. A Maastricht é la Francia che ha rifiutato un’unione politica che la Germania e i Paesi Bassi avevano proposto. Volevo mostrare che forse dobbiamo prenderci le nostre responsabilità per andare avanti davvero e non fare finta».

Dal punto di vista politico come cambierebbero gli equilibri in Europa in caso di Brexit?
«C’é una visione che non condivido per la quale finalmente potremo andare avanti. Per questo ci vorrebbe negli altri Paesi una volontà politica che io non rilevo. Dopodiché é vero che se succede la Brexit probabilmente ci sarà la necessità di fare quello che era già necessario per la zona euro e per Schengen, stavolta sotto la pressione della paura della frammentazione. Una certa scossa può venire da questo ma dobbiamo stare attenti perché alla fine la cosa decisiva sarà sapere come i nostri governi prenderanno coscienza della gravità della situazione. Non é solo l’uscita del Regno Unito ma ci vuole anche da parte nostra una reazione molto decisa e creativa».

Prendiamo in considerazione l’ipotesi che la Brexit avvenga. Il progetto europeo subisce soltanto un’importante battuta d’arresto o é definitivamente compromesso?
«Nessuno può dirlo. Dipende appunto dalla reazione dei governi, spero di cuore sia abbastanza forte, coraggiosa e lungimirante per ridurre questa forza centrifuga. Dobbiamo stare attenti perché sarebbe anche un messaggio per chi vuole uscire (i partiti populisti come Front Nationale e Cinque Stelle ecc.) che l'Europa si può distruggere».

Come fare a rilanciare, nel caso, un'idea d'Europa che possa affascinare i giovani, oggi invece attratti da sirene più estremiste? Si ha quasi l’impressione che il concetto di Europa sia vecchio...
«Questa percezione c’è, non si può negarla. Mi sembra che non sia giusta per due motivi: il primo é che l’Europa, in un mondo di potenze grandi come l’India o la Cina é più moderna che mai. Nel passato avevamo una giustificazione interna, la pace tra di noi. Ma adesso per la gioventù mi sembra una sfida straordinaria dire “Vogliamo esistere nel mondo e difendere i nostri valori”. In Europa c’é un livello di protezione delle donne, dei gay, un rifiuto della violenza, della pena di morte che non è per niente vecchio. Questa é probabilmente la sfida più moderna che si possa immaginare: far vivere questi valori ed essere forti insieme nel mondo. Fare squadra, insomma. L’altro motivo è che non si può sostenere che negli ultimi anni abbiamo fatto l’Europa e che la gente non ha apprezzato: la verità è che non abbiamo fatto più Europa, quella della solidarietà dove la disuguaglianza viene combattuta. Io sono triste ma non sorpresa che la gente non sia più convinta del concetto dell’Europa. Sono incapace di dire quale sia la visione europea di politici come Hollande, Renzi o Merkel al di là di qualche slogan. È l’Europa che abbiamo che non convince. Le faccio un esempio: nel mondo monetario l’Europa esiste. Abbiamo costituito la Banca centrale, una banca comune con un presidente comune che parla a nome di tutti. Dovremmo farlo anche negli altri settori, la difesa, la politica estera, forse anche per la politica digitale: allora la gente ci crederà di nuovo, altrimenti non saremo credibili né agli occhi del mondo né per i cittadini».

Secondo alcuni l'uscita sarebbe benefica per le Borse perché Parigi, Francoforte o Milano potrebbero godere di un ridimensionamento della City. Anche lei la pensa così?
«Si e no. Non dobbiamo dimenticare che la finanza é globale. Dunque un certo business rimarrà nel mondo anglosassone, forse a New York, forse a Hong Kong. E per avere una piazza finanziaria come quella di Londra che è molto più “alta” nelle statistiche di Parigi o Milano ci vuole davvero tutto un mondo intorno di competenze, di persone capaci di fare dei contratti sui derivati. Tutto questo non si crea in poco tempo. Ci può essere un certo movimento ma chi pensa che rapidamente si possa avere un profitto immediato per Parigi o Milano sbaglia».

In definitiva lei come pensa che voteranno gli inglesi?
«Non lo so proprio. La cosa che mi preoccupa di più é che se il risultato avrà un margine stretto per il Paese può essere il caos».