Pubblicità
Mondo
giugno, 2016

L'errore di Podemos? Non aver appreso la lezione di Beppe Grillo

L'analisi critica di Juan Carlos Monedero, cofondatore del partito spagnolo: «Non si stringono accordi con i vecchi partiti. C’è stato un eccesso di flirt con il Partito Socialista. Gli elettori non hanno capito»

Juan Carlos Monedero, madrileno, 53 anni, nato a Madrid, politologo e politico, è il cofondatore di Podemos che non ha risparmiato critiche al suo partito all’indomani del voto del 26 giugno sul suo blog Comiendo Tierra. Camicia rigorosamente viola, occhialetti tondi, risponde alle domande, disegnando con la mano un cerchio immaginario sopra il tavolo, come il logo del partito che ha costruito.

Che importanza hanno avuto i social network nell’ultima campagna elettorale? Twitter ha castigato Podemos?
«No. I nuovi elettori si sono stancati della politica e l’effetto sorpresa di Podemos si è gradualmente svuotato. Soprattutto perché sono stati cinque mesi di lavoro strettamente parlamentare: un groviglio di discussioni che non ha portato alla formazione di un esecutivo. I giovani elettori hanno identificato Podemos come una delle forze politiche tradizionali e non sono andati a votare. L’elettore adulto è invece un elettore analogico e non digitale. I social network non hanno perso d’importanza, ma ci sono stati meno twitteros interessati alla politica».

Molti giornalisti hanno considerato la campagna elettorale di Podemos come un brillante artificio. Iñigo Errejón, il direttore della campagna, ha fallito?
«Non è colpa di Iñigo, le campagne sono decisioni collettive che tutti, in qualche modo, si assumono. Per questo motivo credo che non si debba identificare la campagna con una sola persona. Se ci sono responsabilità, sono di tutto il partito, non solo di una persona. Credo che Ciudadanos e Podemos abbiano commesso lo stesso errore: quello di voler arrivare all’elettore, e per farlo non hanno criticato i partiti, ma solamente i dirigenti. In un clima di enorme conflittualità, i partiti tradizionali hanno sparato missili e loro hanno risposto lanciando fiori. Questo è molto bello, ma non risulta efficace. Non puoi andare a caccia di dragoni con un acchiappafarfalle».

In molti accusano l’oratoria di Pablo Iglesias d’essere troppo incoerente. Forse questo ha spaventato gli elettori, anche se il leader aveva provato ad abbassare i toni?
«I nuovi elettori hanno molte identità, sono ampie, frammentate e spesso contraddittorie. Rappresentarle, a volte, non risulta semplice. Queste diverse identità ti obbligano a cercare di rappresentare un bacino più ampio di persone e questo può facilmente dare l’idea che si tratti di un discorso incoerente. Solo gli elettori più preparati possono capirlo».

Hanno  accusato Pablo Iglesias di essersi travestito da socialdemocratico e gli elettori non gli hanno creduto. È così?
«Con la frase “io sono socialdemocratico” Iglesias voleva sottolineare il totale abbandono da parte dell’Internazionale Socialista dei cinque grandi elementi che costituivano la socialdemocrazia degli anni 60: le politiche keynesiane, la lotta contro le disuguaglianze sociali, lo Stato sociale, l’economia mista e il liberalismo politico. Il liberalismo politico è stato abbandonato nel momento in cui si è capito che le elezioni non possono far fronte ai mercati: le elezioni non cambiano più le cose. Un socialdemocratico degli anni 60 direbbe l’esatto contrario. Hanno inoltre rinunciato alle politiche di pieno impiego e fu proprio il Psoe ad attuare una riforma sul lavoro di stampo neoliberale. Hanno rinunciato all’economia mista: hanno venduto le aziende pubbliche. Hanno rinunciato alla lotta contro le disuguaglianze, poiché non si assume una politica fiscale, per la quale i ricchi paghino di più. Hanno rinunciato allo stato sociale con la riforma dell’articolo 135 della Costituzione, per dare priorità al pagamento del debito, anziché alla spesa pubblica. Pablo Iglesias ha voluto dire che i socialdemocratici “del cuore” potevano rivolgersi al partito. In una campagna elettorale questo tipo di affermazioni sono molto complicate da pronunciare, perché i mezzi d’informazione le ritorcono contro i politici».

Iglesias ha sbagliato prima del voto a non fare il patto con Psoe e Ciudadanos?
«In assoluto, no: sarebbe stato un governo di Rivera presieduto da Sànchez, con le politiche della destra. Podemos non è nato per questo. Ma uno dei grandi errori della campagna elettorale è stato quello di fare continue dichiarazioni d’amore al Psoe: inviti al sesso romantico e intenso. Questo ha generato una certa confusione. Hanno fatto al contrario di quello che sta facendo Beppe Grillo in Italia: non si stringono accordi con i vecchi partiti. C’è stato un eccesso di flirt con il Partito Socialista».

Iñigo Errejón ha detto al quotidiano "El Mundo" che la trasversalità è il loro grande valore e che non hanno mai chiesto alla gente di darsi un’etichetta politica. Critica la trasversalità politica o il significato che Errejón attribuisce a quest’ultima?
«Il concetto di trasversalità non è di Errejón, lui è molto intelligente e puntualizza sempre. Il problema sono coloro i quali interpretano quello che dice. Iñigo ha un concetto di trasversalità che condividiamo tutti all’interno di Podemos. Oggi non puoi parlare solo a un gruppo di persone, non puoi riferirti solo a una classe sociale. La trasversalità non deve però diventare  rinuncia a qualsiasi tipo di identità. È una questione di linguaggio: devi cercare di farti capire da persone che sono state dannate dalle politiche neoliberali, e sono tante. Bisogna cercare di coinvolgere gli elettori in questa avventura politica, senza classificarli secondo una qualche etichetta. Se utilizziamo certe categorie sociali nel linguaggio, anche se corrette, molti elettori potrebbero non sentirsi identificati. Parlare di classe operaia sfruttata, anche se corretto, oggi non funziona. Boaventura de Sousa Santos sostiene che i significanti non debbano essere svuotati per essere compresi e condivisi. A me piace molto la sua teoria della traduzione: una femminista deve tradurre la sua lotta a un sindacalista, che la deve tradurre a un immigrato, e così via, affinché capiscano quali sono gli elementi di lotta in comune».

Brexit ha generato un sentimento di paura nell’elettorato? 
«Non ci sono dubbi, anche se i sondaggi dovranno confermarlo. Sono certo che gli esiti del referendum nel Regno Unito siano stati l’ultima strategia nella campagna della paura. Brexit ha generato profonda incertezza fra gli europei. In un contesto di dissoluzione dell’ordine, una forza politica che mette in discussione quest’ordine, come è Podemos, è apparsa agli elettori come quella più preoccupante e rischiosa da votare».

L'edicola

In quegli ospedali, il tunnel del dolore di bambini e famiglie

Viaggio nell'oncologia pediatrica, dove la sanità mostra i divari più stridenti su cure e assistenza

Pubblicità